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(SEGUE DALLA PRIMA PARTE)
Come sei passato da membro degli Stormy Six ad autore al primo 45 giri da “cantautore”?
Vedi, lì dentro alla Ariston Records, grazie un po’ al look, ai modi, al linguaggio - perché ero un po’ pazzoide, stravagante - non passavo inosservato... E il presidente era Alfredo Rossi (il fratello di Carlo Alberto Rossi) che era anche il presidente della SIAE. E a lui devo un altro credito imperituro, perché grazie a lui io sono socio SIAE, non sono solo un iscritto. Solo che ai tempi per avere i requisiti…! E ora, come socio SIAE da più di 25 anni, incredibilmente io ho diritto a una pensione in SIAE come autore, come socio, oltre che un fondo di solidarietà della SIAE, che nella circostanza copre e indennizza incidenti, infortuni… Cioè, tutta la mia vita. Poi, dal punto di vista tecnico e amministrativo… vabbe’, lui mi ha fatto diventare socio perché era il presidente. Così, dopo l’album [con gli Stormy Six] e grazie a quel pezzo Sotto i portici di marmo, la direttrice delle edizioni Ariston di allora, che si chiamava Giusta Spotti, ha spinto verso Rossi, dicendo: secondo me questo ce la può fare… Ragionavano in termini di personaggio, di look, di immagine complessiva e tutto…. Mi hanno chiesto se avessi del materiale per fare un album mio da solo. Per cui io di fatto, quando ancora ero con gli Stormy Six a suonare, ho cominciato a pensare a mettere da parte dei pezzi per il mio album, e quando ne ho avuto 12 sono andato in studio. Io ero ancora con gli Stormy Six, però già in via di [uscita]. In quel periodo ho conosciuto i fratelli Salerno, Alberto e Massimo. Alberto è il marito di Mara Maionchi. Loro sono i figli di Nicolo Salerno detto “Nisa”, l’autore di Tu vuò fa’ l’americano. Massimo è l’arrangiatore. Grande musicista, per me è un maestro, nel senso che ho imparato da lui, non sapevo nulla di un arrangiamento, di partiture… L’ho visto lavorare sui miei pezzi. Neanche sul pianoforte, scrivere con la testa, scrivere la linea del basso, i celli, i bassi, i fiati… Per me era un mondo sconosciuto, quindi mi ha insegnato un sacco.
Massimo Salerno quindi fu il tuo primo produttore. Mi parli di questo primo 45 giri, “La televisione accesa/ Indiscutibilmente”, uscito ai primi del 1970 poco prima dell’LP?
Loro volevano farmi fare il cantante pop. E Indiscutibilmente io l’avevo scritta pensando a Celentano, era in quello stile lì. Infatti fu proposta a Celentano. Io l’ho scritta all’Ariston come autore, insomma, ho fatto il provino per farglielo sentire, ma poi l’ho preso io e ho utilizzato i miei provini in studio per andare avanti. Mentre il lato A La televisione accesa, era un po’ più pop-rock… Io sentivo la musica inglese, per cui era già un po’ meglio strutturato, mentre Indiscutibilmente è uno di quei pezzi di cui mi sono vergognato per anni. Mentre il secondo 45 giri…
Parli di “Cerchi / Grazie”, uscito nel 1971 dopo l’LP “Viaggio”?
Sì, e prima di 'Volo Magico N.1'. Curiosamente del secondo 45 giri esistono dei filmati, circolano in rete, li ho visti su Youtube, li hanno usati anche su Rai5 recentemente… [sul programma Cool Tour]. Massarini intervistava tutti e poi c’erano dei contributi d’immagine… E hanno ripescato questo dagli archivi RAI: io ho fatto uno di quei programmi che allora si chiamava “15 minuti con..” in bianco e nero “…con Claudio Rocchi”. Con una presentatrice tutta cotonata che parla: “Claudio Rocchi ha 20 anni, è iscritto a filosofia”, E c’erano quei pezzi: io ho fatto La tua prima luna, La realtà non esiste, Cerchi e Grazie. Per cui: quei due pezzi suonati con la chitarra seduto per terra, un po’ all’indiana, con l’amico Pezza che suona l’harmonium indiano… Grazie è un pezzo comunque orientaleggiante nella struttura. E Cerchi è un pezzo per il quale ho scritto anche l’orchestra: un disco pop-rock arrangiato anche con gli archi. Ovviamente, insomma, io ascoltavo la musica inglese di quei tempi, per cui ero pieno di riferimenti. E sono pezzi dei quali non mi vergogno per niente e ascolto volentieri. Mi sembrano più che dignitosi per i tempi. Cortini era il chitarrista elettrico, in uno. Nell’altro c’era Zocchetto della Nuova Idea, che era un mio carissimo amico, chitarrista.
L'LP, 'Viaggio' invece lo avevi inciso in compagnia del solo Mauro Pagani....
Mah, e pensa che dovevo essere da solo. Poi a una festa di compleanno, da un amico mio a Brescia, alla quale ero invitato – io già suonavo, avevo le mie canzoni – ho tirato fuori la chitarra e mi sono messo a suonare. C’erano una trentina di ospiti, cinquanta forse, in un locale che lui aveva… E di colpo mentre io suono, a sorpresa, sento un flauto che mi accompagna dal pubblico. Benissimo, mi accompagna, straordinariamente bene. Al che finisco il pezzo e dico: “Ma chi è?” Si alza il flauto ed era Mauro Pagani. Perché lui è bresciano, ed era capitato in quella festa…. Ci siamo conosciuti così, e io, proprio, tipo…quel giorno era giovedì e lunedì avrei dovuto iniziare da solo, andare in studio. Io avevo in mente di fare un disco di solo voce e chitarra.
…e piano?
E piano… e un po’ di elettronica, perché già mi deliziavo di elettronica. Infatti il primo pezzo di ‘Viaggio’, sono credo 7-8 minuti, è una suite elettronica assolutamente. Dentro ho campionato una chitarra elettrica di George Harrison girata al contrario. Sì, perché allora tutto era analogico, squisitamente. Quindi, che so… gli sciacquoni dell’acqua registrati, poi rallentati…in modo da espandere i suoni… Cioè: esperimenti da studio di fonologia. Io frequentavo da curioso “allievo di bottega” lo studio di fonologia della RAI al Sempione, che era gestito da Severino Paccagnini, che era tipo “camice bianco”, sai, come alla BBC, ad Abbey Road. C’è un libro di George Martin, “The Making of Sgt. Pepper” che io ho letto con un gusto esagerato. Quando i sound engineers erano col camice bianco, tutti perfetti… Anch’io: quando sono andato a registrare all’Angelicum (lo studio della Ariston) 'Viaggio' c’era l’ingegnere del suono che aveva il camice bianco. Erano robe veramente fortunosissime, antidiluviane. Per cui, la creatività, la voglia di sperimentare, lì avevano grandi spazi, perché c’era poco di consolidato tecnicamente. Quindi a Fonologia avevo chiesto umilmente di assistere: c’era questa sala bellissima, con i proto-sintetizzatori. C’erano oscillatori, filtri, robe antidiluviane, molti magnetofoni… Ho imparato lì, mi hanno insegnato a fare il cutting, editing, slicing… Lì ho imparato a mettere in serie registratori, tre-quattro-cinque, per fare gli anelli, per fare i loop, in modo da sovraincidere. Va be’, insomma, c’era questo gusto misto un po’ sperimentale, avanguardistico. Per cui ho conosciuto Mauro Pagani, si è presentato da solo. Tre giorni dopo io entravo in studio. Gli ho detto: “perché non vieni anche tu? Devo fare un disco, sono da solo…” Poi lui mi ha detto: “io suono il flauto”… aveva dietro anche il violino… Era già Mauro Pagani. Molto più che in nuce: era già un ottimo strumentista. E così ci siamo conosciuti. Lui è venuto con me a Milano, e siamo stati insieme quella settimana… Non credo che siamo stati in studio più di una settimana. Ho chiesto in prestito la chitarra al fratellino di una tipa inglese che conoscevo che era sulla scena a Milano in quei giorni. Perché lui aveva una chitarra da “giovane musicista inglese”, molto migliore delle mie. Un’altra cosa! Infatti la foto di retrocopertina di Viaggio, dove sono io con la cuffia in studio con la chitarra, è la sua chitarra, che era una Martin. Puoi immaginare cosa fosse una Martin a quei tempi. Era un sogno. 'Viaggio' in particolare è il disco da collezione che vale di più anche sul mercato adesso. Soprattutto nella prima edizione. Hanno fatto quattro edizioni perché ha venduto molto più di quello che immaginassero. La prima edizione, fatta con una tiratura veramente limitata, aveva il mio nome in nero, che si vedeva poco, pochissimo. La seconda edizione – che è circolata di più – ha il nome in bianco, perché si legge di più. Quindi questa è una rarity, che nel mercato del vinile credo valga 180 euro, una cosa del genere. Mentre quell’altra, col nome bianco, ne vale la metà.
Oltre a Pagani chiamasti due coriste. Chi erano?
Compagne di liceo. Roberta Rossi e poi Annie Lerner, la sorella di Gad, che aveva una voce fantastica, roca, sensuale… Mi affascinava tantissimo. Ai tempi con loro due ho fatto anche un lavoro teatrale al Teatro dell’Arte a Milano che si chiamava 'Il fatto è' - giocando sul “fatto” anche come “stoned” - con una serie di artisti guidati da un cantastorie/cantautore siciliano che faceva cabaret a Milano, Jerry Palamara, che aveva messo in piedi una produzione teatrale e aveva chiamato me e altri: il marito di Paola Borboni, Bruno Vilar, attore, e poi altri musicisti, tipo Alberto Colombo, Norman Popel mi ricordo… e basta. Ognuno faceva dei pezzi…Era una specie di musical sullo stile di 'Hair', su quella suggestione lì: cinque-sei musicisti artisti e autori, con vari quadri, ognuno cantava la canzone, le canzoni erano sceneggiate dalla compagnia, tutti gli altri partecipavano al quadro di ognuno… Quindi eravamo dieci in scena però di volta in volta l’accento era su uno o sull’altro. E io lì suonavo dei miei pezzi. Roberta Rossi faceva danza classica, e con me faceva una coreografia in tutù danzando. Roberta ha cantato, su La tua prima luna, un’armonia vocale – Annie invece aveva questa voce supersexy, l’ho chiamata a recitare un pezzo di testo proprio perché mi piaceva il suono della voce. E insieme abbiamo fatto questo lavoro teatrale.
‘Viaggio’ fu un disco certamente non commerciale e “rischioso” per gli standard dell'epoca (1970) ma comunque cantautoriale…
Sì. Ma mi hanno messo nel prog…Ma solo perché [il disco successivo] “Volo magico”, è entrato in quell’immaginario lì, ma in realtà no: io ho sempre fatto le canzonette con i testi dominanti sulla musica. Per anni e anni ho suonato voce e chitarra in giro.
Chi erano i tuoi “pari” nell’ambito dei cantautori dell’epoca?
Nessuno dei cantautori storici. Quelli che sono diventati i “cantautori italiani” son venuti un attimo dopo. Non c’erano. Fui il primo in assoluto. Se tu vai a vedere le note di copertina di ‘Viaggio’, scritte da un giornalista musicale dei tempi che poi diventò più avanti il direttore generale dell’Ariston, Giampiero Simontacchi… Lui ha scritto le note di copertina di quel disco e ha inquadrato perfettamente il momento storico, dicendo che: “la canzone d’autore italiana oggi” – oggi, lui scriveva le note – era: “Bindi, Endrigo, Lauzi e Tenco”. E io uscivo da questo gruppo con un linguaggio che non era in nessun modo assimilabile ai loro, e che non era assimilabile praticamente a nulla nella scena italiana in quel momento. Difatti, per una serie di circostanze, è andata così, perché i miei modelli non erano nella scena italiana, né, come per tutti loro, questi citati, nella scena francese, nell’esistenzialismo… Loro erano tutti più grandi di almeno 10-15 anni, quindi erano un’altra generazione. Quelli erano ragazzi negli Anni 50, quando io sono nato. Nessuno, quindi. Qui a Roma, non lo so di preciso, ma con tutta probabilità facevano i loro esperimenti quelli che poi successivamente, almeno un anno o due dopo, hanno cominciato a registrare. Tipo Venditti, De Gregori… Ecco: l’unico che esisteva sicuramente era Guccini. Io avevo il suo album ‘Francesco due anni dopo’. Poi lui aveva fatto i testi dei Nomadi, certe canzoni belle, importanti… Però comunque come scrittura non è mai stato un mio riferimento o un modello, onestamente.
Tu piuttosto guardavi al mondo anglosassone, tipo a Donovan o Roy Harper?
Sì, sì esatto. Mentre lui, Simontacchi, in quella presentazione, probabilmente non si era accorto di Guccini. Non l’aveva notato, l’aveva lasciato completamente fuori mentre invece in quel momento, sicuramente, io credo che fosse l’autore italiano più importante. Però non era ancora esploso.
Lo conoscevi personalmente Guccini?
In quel periodo no. L’ho conosciuto molto dopo, e lui è sempre stato molto affettuoso, paterno, gentilissimo, con me, riconoscendomi a modo suo una cifra di singolarità che apprezzava molto.
Lo stesso Guccini comunque ha una decina di anni più di te.
Ma certo. Infatti in Italia sia a livello di immagine che di contenuti, gli unici riferimenti possibili per me da una parte sono stati i Rokes, che avevo visto suonare dal vivo in una tournèe teatrale a Milano in circuiti di avanspettacolo… C’era l’avanspettacolo allora: compagnie, un po’ col burlesque, il mago, l’acrobata… E poi c’era anche il numero del complesso, e c’erano i Rokes, che mi sono piaciuti. Ovviamente già erano una declinazione dei Beatles, comunque, tutti vestiti uguali, così… E l’Equipe 84. L’Equipe 84 sono gli unici in Italia che a quei tempi - quando ero ragazzino, comunque - vestivano il paisley, erano colorati, fumavano l’hashish, queste cose… Erano un pochino assimilabili ai modelli che mi piacevano in Inghilterra e in America. In Italia non c’era proprio nulla da guardare. Io sono stato [unico] non per meriti particolari ma per fortune particolari… - le circostanze fortunate che hai detto tu, la radio, questo disco, queste cose… - un po’ di disponibilità economica che mi è venuta molto presto… … Io stesso ho cominciato ad andare a Londra regolarmente tutti i weekend, per cui tornavo da Londra “pieno”, per 15 giorni avanti rispetto alla scena musicale della Galleria del Corso milanese. Ma io dopo il mio primo disco ho avuto una fortuna sconvolgente. Suonavo tutti i fine settimana, da solo con la chitarra, prendevo nel (1969-70) 500-600.000 mila a data, da solo, di quei tempi, che per andare a Londra l’aereo costava 45.000 lire. Per darti un’idea. Tu prendi il costo del biglietto aereo a tariffa piena adesso, fai per dieci, e vedi il cachet di una data da solo con la chitarra.
‘Viaggio’, quindi, esce nel 1970, quando andavi ancora al liceo, e a quel punto inizi a fare i festival.
Ho fatto Villa Pamphili a Roma. Caracalla non credo... No, non c’ero. Caracalla era ancora un cartellone misto. Capitava spesso all’inizio in quei festival lì di trovare anche dei “pop” - proprio “pop” - che non c’entrava nulla con la scena.
Tipo Mal dei Primitives.
Sì, bravo. Ma c’era anche qualcuno ancora più clamoroso di Mal. Perché bene o male i Primitives erano un gruppo inglese, ancora non si era capito bene come “buttassero”. No, ma ce n’era qualcuno imbarazzante… A Caracalla non c’ero, però [ne ho fatti] tanti tanti e tanti. E’ uscito di recente questo libro ['Re Nudo Pop & altri festival', Vololibero 2011] di Matteo Guarnaccia su Re Nudo e altri festival. C’è anche un DVD e un CD con degli inediti, tra cui una mia versione inedita dei Portici di marmo, registrato alle Rotonde di Garlasco nel ‘73 o ‘74… Matteo ha fatto un lavoro preciso proprio storico, storiografico, preciso… Ha attraversato tutti i festival di quel periodo. E se lo vedrai, io ci sono sempre. Me li son fatti tutti.
E’ stata un’epoca incredibile. Woodstock da noi arrivò in ritardo ma fece molta presa.
Vero. Una stagione veramente sorprendente, irripetuta e probabilmente irripetibile. Scimmiottando un po’ i modi di oltreoceano e d’oltremanica, e con gli stessi riferimenti musicali e vagamente ideologici, con l’hashish e l’erba che giravano abbondantemente anche qui e che erano sufficiente comun denominatore, per cui anche grosse diversità esperienziali, culturali, venivano azzerate. Perché quel tipo di esperienza crea una traccia trasversale dove ti puoi agganciare dove vuoi, e qualcosa da dire con un linguaggio comune viene sempre. Per cui molti si sono sentiti vicini. E’ stato veramente un paio d’anni incredibili. Fra il ‘70 e il ‘73. Poi è finito tutto, grazie a Baraghini e a Stampa Alternativa che hanno distrutto la musica in Italia, il circuito musicale, con l’idea declinata dalla lotta politica, di entrare gratis, “riprendiamoci la musica” e tutte queste storie. Perché fino ad allora per quei tre anni s’era creato veramente un circuito esagerato, dove a parte i grandi raduni.. ma proprio grandi, anche nell’ordine delle varie decine di migliaia di persone. Tipo, non so, ne ho fatto uno a Palermo, il primo grande che ho visto alla Favorita nell’estate del 1970, dove c’era il bassista degli Stones [Bill Wyman] con i suoi Cold Turkey, il progetto parallelo ai Rolling Stones. Al Parco della Favorita, al Palermo Pop, organizzato da un mafioso, Joe Di Maggio, una roba ai confini della realtà. E c’erano 60.000 persone. Cinque giorni di festival con gli headliner la sera stranieri importanti, tra cui i Colosseum, i Ten Years After di Alvin Lee, poi c’erano questi Cold Turkey di Bill Wyman la terza sera… Poi c’era Mungo Jerry. La quinta sera non mi ricordo. Questi erano gli headliner. E poi c’erano altre categorie di cartellone. Tutti i gruppi italiani del tempo, il cosiddetto prog-pop italiano: Quella Vecchia Locanda, Locanda delle fate, Latte & Miele, i Trip, il Rovescio della Medaglia, il Balletto di Bronzo… Forse gli Showmen, c’era Elio d’Anna che suonava insieme. E io, è stata la prima volta che ho avuto la percezione che veramente stesse succedendo qualcosa a me nella mia tra virgolette “carriera”.
Dopo l’uscita di ‘Viaggio’ succede anche un’altra cosa: diventi speaker alla trasmissione radio Per Voi Giovani di Paolo Giaccio sulla RAI.
Quello è merito di Giaccio. E’ arrivato il disco in redazione quando Arbore e Boncompagni stavano passando il testimone a un gruppo di giovani che stavano mettendo insieme il gruppo redazionale. Giaccio ha ricevuto ‘Viaggio’ – tutti i giornalisti musicali ricevevano le uscite… - non so cosa gli ha preso, gli è piaciuto e mi ha chiamato a Roma per un provino.
Era l’estate del ’70?
Sì. Sono andato a Roma, ho fatto un provino, mi hanno portato su negli uffici del direttore di allora, si chiamava Paolo Valmarana… Che mi disse - io già capelli lunghi, ero molto strano comunque rispetto a… - E mi disse testualmente, sentendo il nastro nel suo studio di direttore accompagnato da Giaccio: “Ah finalmente uno che non parla romano!” Non c’erano le radio libere, molta fortuna, molta esposizione…
Passavi anche i tuoi dischi?
Anche. Lì è stato tutto molto facile, in quegli anni, veramente facile.
Questa fase coincide con il tuo trasferimento a Roma.
Sì. Avevo un giro di amici a Roma e conoscendo questi amici ho trovato motivi per accasarmi a Trastevere. Avevo appena finito di registrare ‘Volo Magico N.1’, l’abbiamo registrato credo a ottobre–novembre del ‘70. Appena finito di registrare, sono venuto a Roma per lavorare a Per Voi Giovani. Ho iniziato però mentre era fuori ‘Viaggio’.
Facesti parte del team della prima “storica” edizione di Per Voi Giovani…
C’era Carlo Massarini, Paolo Giaccio, [Mario Luzzatto] Fegiz… C’era una ragazza, Marilù Safier. Richard Benson fu anche lui del gruppo di PVG. Non subito ma un po’ dopo.
Quante edizioni di PVG hai fatto in tutto?
Il ‘70, ‘71, ‘72… Poi abbiamo fatto Pop-off. Insomma, quattro anni di PVG e due di Pop-off. Fino al ‘74.
E in quel periodo escono altri due tuoi LP: ‘Volo magico N.1’ (1971) e ‘La norma del cielo – Volo magico N. 2’ (1972). Come mai n.1 e 2?
Perché numero 1 e numero 2 in realtà era lo stesso disco. Doveva essere doppio, ma poi non hanno avuto il coraggio di stamparne due e si sono mangiati le mani perché il primo ha venduto tipo il quadruplo del secondo. Ma perché io devo dare credito – l’ho fatto altre volte, però lo rinnovo – a un libro di Ugo Leonzio: si chiamava ‘Il Volo Magico’ ed era un trattato sulle sostanze psicotrope molto rigoroso, scientifico… Io ero molto interessato. Studiavo proprio tutto con attenzione, documentato al massimo, con l’idea - come succedeva a quei tempi e poi sempre più raramente è successo – di fare le esperienze con un piglio proprio sperimentale, esperienziale, conoscitivo… Poi, subito dopo, addirittura mistico. Insomma, i riferimenti che ti ho dato del mio immaginario erano quelli. L’assenzio, l’hashish, erano già storie “vecchie”, nulla di nuovo sotto il sole. Io avevo fatto la mia tesina alla maturità sul futurismo e Marinetti. E già loro fumavano, abbondantemente. Marinetti aveva una tata coloniale in casa, abissina, con altri servitori. Era una famiglia borghese medio-alta, e avevano servitori di colore in casa. E questi normalmente fumavano: lui aveva imparato a conoscere le sostanze perché fumavano i servitori in casa. Per cui, ecco, per dirti, l’intonarumori di Balla, il ristorante futurista a Milano… che c’è ancora tra l’altro (non nello stesso luogo perché era in Via Manzoni). Ma loro avevano fatto questo intonarumori che era un protosintetizzatore fantastico. Da queste cose, da queste esperienze, ero molto affascinato. Per tornare al 'Volo Magico', il libro di Leonzio 'Il Volo Magico': l’avevo appena letto o lo stavo leggendo in quel periodo. Allora, ho levato l’articolo “il” e - per comunque differenziarlo un attimo - ci ho messo il numero 1 anche per dargli il senso della partenza. Tipo: è vero che la cosa più difficile è atterrare - dice Tom Petty - però in effetti allo stesso modo è difficile anche prendere il volo.
C’è uno stacco anche stilistico tra ‘Viaggio’ e il primo ‘Volo Magico’.
Be’, c’è la psichedelia di mezzo. Non so se hai mai visto quel documentario di Harvard, dell’università americana, con i PhD Ralph Metzner e Timothy Leary, che parte con le loro facce di professori accademici nel database fotografico dell’università, tutti tirati con le facce, le cose, precisi… e alla fine del documentario, tutti sbragati, camicie a fiori, le bende in testa, gli occhiali…! La psichedelia.
Anche diverse influenze sonore però.
Sì, ma comunque in quel mondo. E’ successo tutto insieme in quegli anni. E per una serie di circostanze, io ero lì in sintonia. ‘Volo Magico N.1” quando è uscito è stato molto bene accolto. E’ uscito a gennaio ’71 nei negozi. E’ stato registrato nell’inverno del ’70, però è uscito a gennaio ’71. E’ andato bene, è stato molto ben accolto, anche perché non assomigliava a nulla che ci fosse in Italia in quel periodo. Assomigliava a un disco - che so… - a ‘If I Could Only Remember My Name’ di David Crosby, una Family californiana, i Jefferson Starship… Infatti dentro, anche nel mio immaginario, quello era il riferimento. Dentro c’erano tutte le fotine, Alberto Camerini, Donatella Bardi, tutti i musicisti così, tutto questo spirito di grande [comunanza].
CONTINUA NELLA TERZA PARTE
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09/10/2014 -
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