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Il nu-metal italiano sono loro, i Linea 77, da Venaria Reale (Torino). Un passato che è già storia, vent'anni sulla cresta dell'onda, in giro per il mondo a schiena dritta tenendo alta la bandiera del made in Italy tanto da essere già considerati un piccolo classico. Insomma, se gli altri hanno Korn, Deftones e Incubus, noi abbiamo loro. Vi pare poco? E adesso, a cinque anni di distanza da “10”, eccoli con ”Oh!”, un disco cupo, potente, intimista, dai sapori 90's che guardano alle origini della band quasi a voler recuperare il tempo che fu. Incazzati, però, lo sono sempre. Una rabbia diversa, più matura e consapevole ma pur sempre dirompente. Ne abbiamo parlato con Dade, componente storico dell’ensemble, una vita al basso e dal 2012 voce della band (insieme a Nitto).
Allora, Dade, vorrei partire dal titolo del nuovo album. Come mai questa scelta? Il titolo ci è stato suggerito dalla copertina. Non siamo mai stati bravissimi nella scelta dei titoli, abbiamo sempre optato per titoli non in italiano ma in inglese, o tutt’al più misti. In questo caso, partendo dalla copertina abbiamo pensato che un'espressione di stupore come “Oh!” potesse essere l'ideale in relazione alla musica contenuta nel disco. Che poi lo stupore è la sensazione che cerchiamo sempre di ottenere dalle persone che ascoltano la nostra musica.
Le atmosfere del disco sembrano molto cupe. Nel complesso direi che si tratta di un album arrabbiato. A che ‘livello’ di rabbia lo collochi rispetto ai vostri lavori precedenti?
Oggi siamo diversamente arrabbiati rispetto a quando eravamo adolescenti. A 17-18 anni sei arrabbiato in modo diverso da come puoi esserlo a 37-38. Da adolescente hai dentro una rabbia indistinta, per partito preso, stai combattendo una guerra che non sai contro chi è, fondamentalmente contro te stesso, perché devi ancora conoscerti. Oggi, invece, sappiamo cosa vogliamo, sappiamo cos'è la nostra vita, abbiamo dei figli. E' tutto molto diverso. Ma resta lo sguardo verso l’esterno e verso la deriva morale che caratterizza oggi la nostra società.
Avete recuperato due brani dall'EP, mai pubblicato, “C'eravamo Tanto Armati” (andato perduto all'inizio dell'anno scorso a causa di un black-out elettrico in sala di registrazione che fece saltare l'hard-disk contenente il materiale, ndr) ossia “L'Involuzione della Specie” e “Io Sapere Poco Leggere”. Quanto le versioni presenti su “Oh!” differiscono dalle originali?
Sono praticamente identiche, mentre a cambiare è stato l’altro materiale che abbiamo recuperato dagli HD bruciati. Diciamo che il 50% - e anche qualcosa di più - di “C’eravamo Tanto Armati” è finito in “Oh!”, seppur in un'altra forma. Ma è stato meglio così. Anche perché quando ti succede una cosa del genere è un pò come un lutto, devi interiorizzare l’accaduto, e allora meglio cambiare per cancellare il più possibile il ricordo di una cosa così brutta. In questo caso, dopo averci rimesso le mani il materiale è sensibilmente migliorato.
Le tematiche affrontate nel disco provengono da vostre esperienze personali o avete guardato più alla realtà circostante?
Io, come autore dei testi, stavolta sono entrato molto nella parte dello scrittore. Ho avuto una figlia da pochissimo. Mentre facevamo il disco la stavo aspettando. Ho cercato di guardare al peggio della nostra società, tutto quello che non volevo vedere associato a mia figlia, e ho cercato di parlarne proprio per esorcizzarlo. Questa è stata la mia ispirazione maggiore, però nel disco non c'è un tema comune, i testi sono un pò surreali, anche intimi in certi casi, e possono essere interpretati in vari modi a seconda di chi ascolta. Ognuno può trovarci il significato che vuole, non ci interessava lanciare messaggi ma tirare fuori le “nausee” che avevamo dentro.
Di solito qual'è il vostro approccio alla composizione? Improvvisate in studio? La nostra musica nasce dall'improvvisazione, però il metodo non è sempre lo stesso, è un pò casuale. Per alcune cose ci vuole tempo e vari tentativi, altre invece vengono di getto. Alla fine, però, quello che conta e che siano canzoni oneste.
Quella di “Oh!” è stata una gestazione più lunga o più corta rispetto ai vostri lavori precedenti?
Direi abbastanza uguale agli altri dischi, né corta né particolarmente lunga.
Guardandovi indietro, avete particolari rimorsi o rimpianti riguardo la vostra carriera, o rifareste tutto così com'è?
Credo - e parlo per me – che rifarei esattamente tutto. Se ci pensi, non esistono molte band che fanno la nostra musica in Italia. Siamo stati fortunati perché abbiamo potuto toccare con mano il successo estero, siamo esplosi prima in UK, poi nel resto d'Europa, e una volta tornati in Italia finalmente si sono accorti di noi. Abbiamo viaggiato moltissimo, abbiamo registrato tre dischi in America, abbiamo lavorato coi migliori produttori...Insomma, se domani dovesse finire tutto di colpo, mi riterrei più che soddisfatto.
C'è un vostro disco che credete vi rappresenti al meglio e/o che preferite?
Togliendo l'ultimo, che secondo me è uno dei nostri dischi migliori - e non lo dico perché siamo in promozione - direi il primo. C'è qualcosa di speciale lì dentro, c’è la rabbia di quando hai 17 anni, una roba che anche se ti sforzi non puoi più rievocarla.
Che rapporto avete con la vostra città d’origine?
Per noi Torino è sempre stata importante, siamo cresciuti con lei. Agli inizi un po’ la odiavamo, negli anni novanta non era proprio il massimo. Non tanto Torino quanto Venaria, che è un sobborgo. Fondamentalmente è stata quella la molla che ci ha fatto evadere. Prima volevo scappare, vedere il mondo. Adesso il mondo l'ho visto e penso che non ci sia città più bella. Torino è “strana”, ti dà e ti toglie molto. C'è il mito di città magica che la caratterizza, e sotto certi aspetti lo è davvero. Ma devi viverla, non basta venirci da turista.
Come vivete il fatto di essere famosi quando siete a casa? A Torino giriamo tranquillamente per strada, ci riconoscono in tanti ma noi siamo tipi tranquilli, non siamo delle superstar. E anche se lo fossimo sarebbe lo stesso. Guarda i Subsonica, sono molto più famosi di noi eppure in città girano pure loro senza stress.
E' facile armonizzare la vostra vita privata col fatto di essere in una band? Mah guarda, fare questo lavoro è un pò come fare il camionista, si conducono due vite opposte e complementari. Io vivo gli eccessi dell’una e dell'altra, e ho imparato a gestire questa cosa con disinvoltura. Anche per i miei compagni di band è lo stesso. E in questo siamo sicuramente agevolati dalle nostre mogli e compagne.
Darete molto spazio ai nuovi brani dal vivo?
Avranno tantissimo spazio, questo disco l'abbiamo fatto apposta per suonarlo live. Ci sono pezzi vecchi che ci hanno stancato, che non sentiamo più nostri. E allora abbiamo pensato ad un disco da portare dal vivo quasi per intero, in modo da rinverdire il nostro repertorio live. Credo che all’inizio almeno 7-8 pezzi entreranno fisse in scaletta, ma poi il numero crescerà.
Articolo del
16/02/2015 -
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