Sulla statura artistica e sull'importanza del suo operato, musicale e non, ci sarebbe da scrivere un libro, d'altronde Roebuck “Pops” Staples sembra essere stato, fin dalla giovane età, un predestinato. Nato e cresciuto nella piantagione di cotone di Winona, Mississippi, inizia presto il suo approccio la chitarra, strumento che non avrebbe abbandonato fino alla sua morte, per poi ritrovarsi a suonare al fianco di autentiche leggende quali Charlie Patton, Son House, e Robert Johnson. Trasferitosi negli anni Cinquanta, con la propria famiglia, in quel di Chicago, insieme ad essa inizia ad esibirsi nelle chiese della città, per poi arrivare, nel 1952, ad apporre la propria firma su di un primo contratto discografico. Ha quindi inizio l'avventura “familiare” a nome The Staple Singers, della quale egli è fondamentale elemento catalizzatore, non solo grazie alla maestria del proprio picking chitarristico, quanto per una voce dalle vellutate tonalità soul, alla quale si uniscono, armonizzandosi, quelle dei figli Pervis, Cleotha, Yvonne e Mavis. Amico fraterno di Martin Luther King Jr., Pops ha sempre cercato di veicolare attraverso la propria musica un messaggio di amore, speranza e giustizia sociale, in contrapposizione alle barbare violenze razziste dell'America bianca. Canzoni nelle quali gospel, folk, blues e soul si fondevano in un tutt'uno, andando a scandire ritmicamente i passi delle freedom march, lungo l'irta e difficile strada dell'emancipazione nera.
E proprio come epitaffio di questa straordinaria avventura familiare era stato originariamente concepito ”Don't Lose This”. Si tratta infatti di canzoni, incise dallo stesso Pops in compagnia delle proprie figlie, nel 1999, giusto un anno prima che egli lasciasse questo mondo, e purtroppo mai completate, anzi rinchiuse in un cassetto per oltre quindici anni. Nastri custoditi gelosamente da Mavis, la quale, oggi, rispettando la promessa fatta al padre, ovvero quella di non abbandonare queste registrazioni all'oblio ma di far in modo che tutti potessero ascoltarle, decide che è finalmente giunto il momento di pubblicarle. Al suo fianco, in questa impresa, troviamo un suo “vecchio” amico, quel Jeff Tweedy avente rivestito già parte attiva nei suoi ultimi, meravigliosi lavori solisti, e qui nuovamente chiamato in veste di produttore. Ma si sa, dalla produzione al contributo in prima persona il passo è breve, ed ecco quindi che troviamo lo stesso Jeff, al basso, e suo figlio Spencer, alla batteria. Da una parte abbiamo pertanto lo scheletro originario dei brani, con la voce e la chitarra di Pops, alle quali sono stati aggiunti, oltre a quelli già presenti, nuovi apporti vocali della stessa Mavis, mentre dall'altra troviamo, per l'appunto, la sezione ritmica “Tweedy & figlio”, con l'ulteriore presenza, in alcuni brani, dell'organo di Scott Ligon. Apporti quest'ultimi mai invero invasivi, volti anzi a preservare, su volere dello stesso Tweedy, la primigenie, scarne registrazioni.
Ciò si evince in particolar modo in brani dove queste ultime sono lasciate per lo più immacolate, se non per qualche sparuto, nuovo contributo vocale, nelle quali ad emergere sono per l'appunto la voce e la chitarra elettrica di Pops, come nella purezza adamantina di Sweet Home (commoventi i dialoghi tra padre e figlia lasciati alla fine della stessa) e della quasi omonima Better Home, entrambe in duetto con Mavis, o altresì una solitaria Nobody's Fault But Mine, dalla lancinante sofferenza bluesy. Notevoli sono, tuttavia, anche i brani “d'assieme”, come il fiero declamare soul di Love On My Side, affidato alla voce solista di Mavis, o una sublime Friendship, a rimembrare l'universalistico, speranzoso messaggio staplesiano. Negli enfatici incroci vocali dell'opener Somebody Was Watching, così come nelle sincopi funk di un altrettanto energica No News Is Good News, maggiormente si avverte, invece, il contributo percussivo tweediano, volto ad irrobustire il rapimento mistico derivato dal dilatato riverberare della chitarra elettrica. D'una bellezza cristallina è, d'altro canto, Will The Circle Be Unbroken, già registrata dagli Staple Singers ai loro esordi discografici, e qui riproposta in una nuova versione a “chiudere un cerchio” aperto quasi cinquanta anni fa, essendo questa la prima canzone che Pops insegnò ai propri figli. La dylaniana Gotta Serve Somebody, unico brano non appartenente alle primitive registrazioni, viene qui accluso in una prorompente rivisitazione live dalla chiesastica solennità devozionale.
L'opera è quindi compiuta, il volere del vecchio musicista è stato rispettato e come la stessa Mavis spiega; «I’m so happy; my job is done, I’ve done what I was supposed to do... Pops is smiling and I can just see that twinkle in his eye. That was Pops Staples; he lived the life he sang about». Mai parole avrebbero potuto essere più esaurienti, e sono sicuro che da lassù Pops starà davvero sorridendo soddisfatto, ringraziando la figlia per quest'ultimo, partecipato atto d'amore.
Articolo del
25/02/2015 -
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