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Lei è una vera signora, la signora dell’indie-rock italiano. Da PJ Harvey nostrana a cantautrice matura, elegante, multiforme, per Cristina Donà il tempo è passato ma sembra sempre fermo. Diciotto anni di carriera condensati in otto dischi e un’infinità di momenti live da ricordare che raccontano l’evoluzione di un’artista tra le più complete (e sottovalutate) d’Italia. Con ”Così Vicini”, l’ultimo disco, pubblicato a settembre, è tornata alla musica “difficile”, quella complicata, quella che servono più ascolti, ma che quando ti prende non ti lascia più. E dal 7 marzo è tornata on the road con il suo ”Special Acoustic Tour”, una serie di particolari e intimi concerti-storytelling che ce la restituiscono in una veste insolita, unplugged e confidenziale, sempre affiancata dal musicista e produttore Saverio Lanza, col quale ha realizzato anche gli ultimi due lavori in studio. E se per intervistare una rockeuse non c'è momento migliore della vigilia di un concerto, Cristina Donà non è certo una che ha bisogno di essere stimolata per parlare.
Allora, Cristina, come mai un tour acustico?
Perché il disco ha una duplice natura. Pur essendo suonato, arrangiato e prodotto, è molto legato all'idea di intimità, alla ricerca di raccoglimento, alla possibilità di guardarsi negli occhi. E quindi volevo riprodurre questa cosa anche dal vivo, suonando in due, unplugged, in posti piccoli. Pensa che avevamo anche pensato di fare un tour nei pub. Del resto, la dimensione chitarra-voce è quella con cui ho iniziato, e ci sono ancora molto legata. Poi certo, anche la veste elettrica ha un suo peso, e mi piace, tanto è vero che in estate tornerò in tour con il resto del gruppo.
Così Vicini è anche meno immediato di Torno A Casa A Piedi. Eri stanca della musica “pop”?
Non saprei. Dipende. C'è chi lo trova più difficile, chi più immediato. Certo, un pezzo come Miracoli era sicuramente più d'impatto, però anche in “Così Vicini” ci sono brani pop, oltre a quelli “sperimentali”. Non mi è mai piaciuto fare dischi monocordi, ho bisogno di avere più registri, tante tipologie diverse. Anche perchè sennò mi annoio.
Hai un metodo particolare per comporre o segui l’istinto?
All'inizio davo molto peso ai testi. Partivo da quelli, e solo in un secondo momento mi dedicavo alla parte musicale. Dal secondo album in poi, però, ho cambiato e ho cominciato a dare sempre più peso alla musica, fino ad arrivare al punto di desiderare di lavorare con qualcuno che mi aiutasse a scrivere le parti melodiche e armoniche. Oggi non m'interessa più l'idea di avere tutto il controllo, di essere l'unica autrice dei miei pezzi. Voglio solo avere delle belle canzoni alla fine, non m'importa come ci arrivo. E se la cosa richiede un processo a quattro mani, va bene. Anzi è meglio. Con Saverio mi trovo benissimo, è molto appagante lavorare con lui. Ci scambiamo idee, lavoriamo in sinergia. A volte sono io a fornirgli uno spunto (un testo, una frase, una melodia, ecc.), mentre altre volte è lui a scrivere qualcosa su cui io adatto il cantato.
Quindi continuerete a collaborare insieme?
Credo e spero di sì. Non voglio assolutamente abbandonare la scrittura a quattro mani. E se non sarà con lui, sarà con qualcun altro. Ho sempre lasciato le porte abbastanza aperte in questo senso. Perché è fondamentale lavorare con qualcuno che può arricchirti e rendere migliori le cose che fai. Al momento, io e lui stiamo rimettendo le mani su delle cose che abbiamo lasciato in sospeso mentre registravamo il disco, cose che magari svilupperemo per altri artisti, come accaduto con Arisa.
Quali tra le nuove canzoni credi che rendano meglio in versione acustica?
Accade spesso che un pezzo migliori dal vivo, però in questo caso non sono ancora sufficientemente distaccata per poterti rispondere. Tutti i pezzi di “Così Vicini” suonano diversi dal vivo - ed è un bene, altrimenti tanto varrebbe ascoltarsi il disco - però ho ancora bisogno di tempo per capire quali potranno “prendere il volo” e quali no.
Cosa pensi della musica dal vivo in Italia?
Parlo per Milano, essendoci nata, ma vale anche per altre città. Milano è una città che offre molto, però mancano i locali per i concerti che siano della dimensione che potrebbe interessare ad una come me. C'è stato un periodo in cui hanno chiuso un sacco di locali medio-piccoli. E’ vero, ci sono molti posti dove suonare, ma rispetto a Londra o Parigi, Milano fa ridere. Poi un'altra nota dolente, e vale per tutta Italia, sono gli orari: da noi si suona troppo tardi. In questo modo si penalizza tantissimo la gente. Iniziare un concerto alle dieci di sera non favorisce chi il giorno dopo deve alzarsi per andare al lavoro o a lezione all’università.
Con “Così Vicini” sei tornata ad incidere per un'etichetta indipendente (Quibaseluna, ndr). E’ stata una tua scelta?
Sì. Con la EMI mi sono trovata benissimo, mi reputo fortunata ad aver lavorato con loro, però eravamo giunti alla fine di un ciclo, e con la scadenza del contratto mi sono detta che forse era meglio tornare ad una dimensione più piccola. All'interno di una major, a fronte di un catalogo enorme, è difficile ottenere attenzione. Io non sono nè la Pausini nè Tiziano Ferro, i riflettori su di me si accendono (relativamente) solo quando esco con qualcosa. E allora, col mio manager ci siamo detti proviamo a lavorare in un altro modo, a tornare a gestirci noi le cose. Certo, un pò mi mancano le radio e tutto il resto, però anche così mi trovo benissimo. Che poi dici le radio, ma per il 90 sulle nostre stazioni gira musica straniera. E da italiana, la cosa mi fa girare le “cosiddette”, perché in questo modo si penalizza la nostra cultura.
Qualche anno fa anche gli Afterhours del tuo amico Manuel Agnelli hanno lasciato una major per una label indipendente, e sul tuo nuovo disco c’è un pezzo - Imprevedibile - che ricorda molto il loro sound. E’ stata una cosa voluta?
Ma Dai! Non ci avevo pensato. Però mi fa piacere. Assolutamente no, non era voluta. Cercherò di farci caso riascoltandola. Tra l'altro mi piacerebbe fare un album tutto così, ostico intendo. Perché sì, adoro il pop ma mi piace anche mettermi alla prova con cose diverse, un po’ più “strane”.
Cosa pensi dell’attuale scena musicale italiana?
Di tempo per ascoltare musica nuova non ne ho molto. A volte mi capita per le mani il materiale che mi mandano le giovani band per sapere cosa ne penso. Ultimamente mi hanno molto incuriosita Io e La Tigre, un duo indie-pop al femminile. Anche il nuovo disco di Simona Norato mi è piaciuto molto. Al livello internazionale, invece, attualmente direi gli Other Lives su tutti.
Per chiudere, una domanda che non c’entra niente. Tu sei sposata con Davide Sapienza, che oltre ad essere un giornalista e critico musicale è stato anche il fondatore della prima fanzine italiana sugli U2. E tu stessa hai spesso citato la band di Bono tra i tuoi ascolti giovanili. Dal momento che, almeno fino a qualche anno fa, la passione per i quattro irlandesi è sempre stata vissuta dai fan come una fede, volevo chiederti se per te e Davide è ancora oggi così o se il “fuoco” è ormai spento.
Pensa, prima stavo per citarti proprio “Fire” (il nome della fanzine, ndr), ma poi mi sono detta figurati se lo conosce. Ad essere sincera, oggi la viviamo un po’ meno intensamente. Però agli U2 siamo affezionati. E’ un po’ come se fossero nostri familiari. Devo dire che l'ultimo disco mi piace. All’inizio non l’avevo ascoltato con grandissima attenzione. Non perché ce l’avevo con gli U2 ma perchè oramai mi sono allontanata da parecchie cose che ascoltavo prima. “No Line On The Horizon” mi era piaciuto, mentre l'ultimo, siccome avevo sentito un sacco di critiche, l’avevo lasciato un pò da parte. Poi l’ho riascoltato e non l’ho trovato così male. In molti pezzi non sembrano nemmeno loro, si sente che hanno osato. E questa è una cosa positiva.
Quindi apriresti un loro concerto se te lo chiedessero?
(Risata, ndr) Che domanda?! Sì, certo! Anche solo per andarli a conoscere personalmente. Ma non credo che me lo chiederanno mai.
Articolo del
13/03/2015 -
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