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Ciò che stupisce di Paolo Benvegnù non è tanto l'intelligenza, o la simpatia, o il finissimo senso dell'umorismo, tutte cose di cui peraltro è dotato a dismisura, quanto il suo modo di vedere le cose dall'alto, in maniera distaccata, beffarda, e parlarne senza peli sulla lingua. Perché lui è una specie di asceta del rock che però mantiene i piedi ben saldi a terra. Anche perché mercoledì 18 marzo si torna a fare sul serio col tour di ”Earth Hotel”, che riprenderà da Roma (Blackout) dopo uno stop di alcune settimane. E allora, una chiacchierata con lui può essere l'occasione per parlare di tante cose, dai Cure a Beppe Grillo, passando per la legge Basaglia ed uno “scoop”: la possibile reunion degli Scisma.
Sei pronto per la ripresa del tour?
Vuoi la verità? Al momento il tour è l'ultimo dei miei problemi. Sono più preso dall'esistenza, ché quello è un dilemma ben più grave (risata, ndr).
E la tua “esistenza”, al momento, è resa o no migliore dall'idea di ricominciare da Roma?
Assolutamente sì. Roma è una città fantastica. Credo che, una volta terminato il concerto e dopo aver rimesso gli strumenti sul furgone, mi concederò una bella passeggiata notturna in centro. Mi piace l'idea che mentre tutti vanno a letto, io sarò lì a girare per la città vuota. Non mi interessa la vita notturna nel senso di “movida” quanto dell'atmosfera e della storia che si respirano in quelle strade.
Che poi, per uno che ha vissuto a Firenze, quel tipo di sensibilità dev'essere già spiccata...
Sì, anche se adesso mi sono ritirato sui monti dell'Umbria, là dove lo sguardo e il pensiero si allungano...
Lo spettacolo che porterai in scena sarà incentrato su “Earth Hotel”?
Il nuovo disco sarà sicuramente parte integrante delle scalette, ma non scordarti che io e la band siamo dei “cialtroni”, e ci piace fare scalette casuali, a seconda dell'umore e delle circostanze. Quindi daremo spazio ai brani nuovi ma anche a quelli più “preistorici”.
In “Earth Hotel” c'è una canzone dedicata a Stefan Zweig, l'autore del libro da cui è stato tratto il film The Gran Budapest Hotel, uscito l'anno scorso. Sei stato influenzato dalla pellicola di Wes Anderson nella scrittura del disco?
Il film l'ho visto, ma in realtà io il disco lo avevo già terminato un paio di mesi prima. E' stata una pura casualità. E' incredibile come due persone, cioè io e Wes Anderson, che vivono così distanti l'una dall'altra possano avere gli stessi pensieri nello stesso momento. Nel mio caso, non so se è un bel disco, ma sicuramente il film è un bel film. Ecco, se di “Earth Hotel” un giorno si dicesse che ha lo stesso valore di profondità del film mi riterrei soddisfatto.
Dal cinema al teatro. Com'è nata la tua passione per la recitazione?
Vivere in Italia è già di per sè un teatro melodrammatico, e anche molto caricato. Per cui il passo non è stato molto lungo. Però devo ammettere che ho fatto un pò fatica: dover cambiare la mia identità ogni volta mi dava noia, e allora ho preferito smettere subito. Mi trovo meglio nei panni del cantante che canta le proprie canzoni che in quelli di qualcun altro. Ci ho messo cinquant'anni a trovare un'identità, se poi devo mettermi a cercarne altre.... (risata, ndr). Diciamo che sono il contrario del superuomo.
Tornando alla musica, tempo fa hai pubblicato una cover dei Tuxedomoon. Ti ha ispirato la new-wave quando decidesti di iniziare a suonare?
In realtà io ascoltavo più che altro musica classica, per quanto non sia mai stato un profondo cultore e non ho mai avuto grandi capacità mnemoniche, nel senso che - per dire - faccio una gran fatica a ricordarmi se la sinfonia 58 di Strauss è la Domestica piuttosto che un'altra. Però sono sempre stato attirato dalla potenza straordinaria di ottanta persone che suonano all'unisono. Così come mi ha sempre affascinato la capacità di una persona di scrivere canzoni e suonarsele da solo. Diciamo che non ho avuto una formazione di genere. Se c'è qualcosa che realmente mi è piaciuto nel tempo è stato un certo jazz d'avanguardia che va dagli anni settanta di Miles Davis ai due dischi meno pop dei Talk Talk. Ecco, lì secondo me c'è un'attitudine da un lato alla canzone, e dall'altro all'autentica improvvisazione. C'è un pò di tutto.
Hai citato una grandissima band.
Eh già, grande esempio quello della band di Mark Hollis. Avrebbero potuto andare avanti tutta la vita a fare It's My Life, e invece hanno tentato strade nuove e sconosciute per primi a loro stessi. Che poi attenzione: i loro pezzi pop erano meravigliosi. Avevano una scrittura eccelsa. Molti avrebbero continuato ad usare quella formula, ma loro hanno capito che non volevano restare uguali.
Che poi molti di solito fanno il contrario, penso a Battiato...
Sì anche se lui lo stimo molto. Il maestro Battiato sa anche quando è il momento di fare il sofista, oltre al filosofo o al drammaturgo. La sa molto lunga. Sa essere qualcosa di diverso da sè, se vuole. Io sono stato toccato da queste funzionalità inverse: uno trova una formula, e poi continua a cambiarla fino a trovare qualcosa di irripetibile. Un pò come, per certi versi, il tropicalismo brasiliano. Quella è la musica che mi ha colpito nel tempo. Per tornare alla tua domanda iniziale, la new-wave la conoscevo perchè erano le cose che si sentivano in giro. Dai The Wall Of Voodoo agli Adam And The Ants, da ragazzo ascoltavo un pò tutto.
I tuoi Scisma, invece, sono un'esperienza ormai conclusa?
Ti dico una cosa. Pensavo di sì. Ma recentemente ci siamo ritrovati e ci siamo detti per quale motivo non provare a vederci per un paio di settimane e vedere cosa succede. Non tanto per fare la solita reunion quanto per tentare di far uscire in maniera degna i due dischi che abbiamo fatto con la EMI (“Rosemary Plexiglas” e “Armstrong”, ndr) e fare qualche concerto. E' un'idea che stiamo valutando, forse per settembre-ottobre Però prima c'è la prefazione che dobbiamo trovarci in sala prove, tirare fuori gli archetti dagli astucci e vedere se abbiamo ancora qualcosa da dirci. Che poi tra noi non c'erano problemi dal punto di vista umano nè anomalie dal punto di vista dell'interlocuzione. E se anche ci fossero stati, il tempo li avrebbe inevitabilmente stemperati. Il fatto è che avevamo semplicemente esaurito i nostri obiettivi come musicisti, e al momento ci sembrò giusto terminare quell'esperienza. Però adesso mi piacerebbe vedere quello che può succedere se torniamo insieme, e anche a loro penso faccia piacere.
Mi hai appena regalato uno scoop...
(Risata, ndr). Bene. Tra l'altro è una cosa di pochi giorni fa. Sono contento di averti fatto un favore.
A questo punto speriamo che le prove in studio vadano bene.
Speriamo. Più che altro spero che loro siano pazienti con me, perché io nel frattempo, come chitarrista, sono diventato uno schifo. Sai, col tempo deterioro.
Negli anni novanta le major erano molto attente alla scena indipendente italiana. Come mai, secondo te, oggi l'attenzione è diminuita?
Non so se è diminuita. La musica indipendente in Italia c'è sempre stata. Da un lato è cambiato tutto, dall'altro è rimasto tutto uguale. Anche il pubblico è sempre stato lo stesso. La differenza l'hanno fatta i soldi. Ti spiego. Nel 1991 esce “In Utero”, vende 10 milioni di copie, e tutti iniziano a chiedersi se anche in Italia c'è qualcuno che suona la chitarra elettrica. Capito? Se ne sono accorti nel '95! E' lì che c'è stata la grande “caricata”. Poi, nel giro di tre anni quei soldi sono finiti. Sono durati tre anni, dal '95 al '98. E c'è da considerare che all'epoca gli uffici stampa delle varie EMI, Universal e compagnia bella, erano molto più potenti, pertanto quella musica raggiungeva più persone perché arrivava alle radio. Oggi quello che c'è in radio è inascoltabile. Le stesse radio sono tremende. Radio DJ è la più inascoltabile del mondo. Se qualcuno ha idee diverse deve prendersi i dischi o andarseli a cercare in Rete.
Ecco, la Rete. Che rapporto hai con la tecnologia e con i “social”?
Tremendo! Essendo “sottoproletario” (ride, ndr) ho grandi problemi a riuscire a connettermi. I “social”? Ma per carità! Che aberrazione! Che tristezza! Tu pensa a questi non pensanti che esistono in questo post-capitalismo, in questo post-ideologismo, in questo post-tutto, in questa cecità assoluta, in questo grugnire da oranghi. Lo volete un consiglio? Ritirate le falangi, uscite e cercate di trombare se vi riesce!
Tornando al “mainstream”, che ricordi hai di quando hai aperto per i Cure a Roma nel 2012?
Io e la band ci sentivamo in un mondo surreale, noi che siamo sempre stati abituati a suonare nelle peggiori “bettole” (ride, ndr), davanti a non più di cento persone. Era chiaramente una dimensione non nostra. Gli altri li trattavano come divinità scese in terra, tipo camerini, gente al seguito, stanzoni enormi; a noi, come se fossimo lì per caso. Era divertente però. Che poi i Cure non li abbiamo visti neanche da lontano, nemmeno ci siamo incrociati. Finito il nostro concerto, ci hanno fatto uscire subito dal retro. Vuoi saperne un'altra ? Ti do un secondo “scoop”: noi abbiamo suonato lì perché, all'epoca, la nostra agenzia di concerti era la Barley Arts, ossia la stessa che portò in Italia i Cure. Ebbene, a noi la Barley quell'anno doveva procurarci un sacco di concerti, ma poi finì che ce ne procurò soltanto alcuni. Noi ci arrabbiammo, loro si scusarono, ma non potemmo comunque impugnare il contratto per le vie legali perché loro erano ricchi, e noi siamo sempre stati poveri, sicché per darci il contentino ci fecero suonare due ore prima dei Cure.
E che effetto ti ha fatto suonare davanti a così tanta gente?
Guarda, ti dirò che anche tre anni prima avevo fatto il 1 maggio a San Giovanni, quello con Vasco Rossi, e mi era sembrato di suonare davanti ad un poster con un milione di persone davanti, un milione di scimpanzé in fila per la femmina. Ai Cure è stato più o meno lo stesso, anche se in realtà ci siamo sentiti accettati dal pubblico, abbiamo sentito il rispetto in quell'occasione.
E del concerto Woodstock 5 Stelle nel 2010 che ricordi hai ? E soprattutto, dopo due anni di M5S in parlamento ti sei “pentito” di aver partecipato a quell'iniziativa?
Guarda, rincarerò la dose, nel senso che di raduni con loro ne ho fatti due. Prima di Woodstock, avevo già fatto Torino l'anno prima. Ma mentre a Torino sembrava più un comizio che altro, con Grillo nei panni della rockstar (la qual cosa mi agghiacciò non poco), a Cesena le cose andarono meglio. Quello che posso dire è che in entrambe le occasioni notai un sacco di voglia di cambiamento. Cambiamento in generale, senza sapere come. Se sono pentito ? No, perché non ho fatto niente di male. Mi dispiace solo che poi quella voglia di cambiamento sia diventata voglia di nulla, di vuoto, di impossibilità di fare qualsiasi cosa. Inutile che ti dica che non mi interessa minimamente il M5S in senso politico. Non ho mai mescolato l'espressione con la politica. Anche perché la propria espressione ha già di per sé un senso politico altissimo.
Segui la politica italiana attuale?
La politica attuale non ha senso. L'unica vera rivoluzione politica e sociale che ci sia mai stata qui da noi, e che nessun altro nel mondo ha fatto, è stata la legge Basaglia, quella che ha fatto uscire i matti dai manicomi. Quella è stata veramente una rivoluzione. Era l'irreale che entrava nel reale. Per il resto, di che ci meravigliamo? Questa è una nazione nata da uno stupro, quello dei Savoia ai danni dei Borboni (e non che i Borboni non fossero stupratori a loro volta). E' un paese dove ci si stupisce della “trattativa”, ma la trattativa c'è sempre stata, fin dai tempi di Crispi, fin da prima dell'Unità d'Italia. Il nostro è un paese diviso in enclavi, in tribù, gli italiani sono così da sempre, ed è bellissimo guardarli. E la cosa divertente è che non c'è la minima percezione di quello che sta accadendo. Per quello che mi ricordo io a livello di percezioni, più che a livello di sapere, tutte le cose che sono velate di mistero, da Moro a Pasolini, io che avevo 11 anni avevo già capito tutto. Era semplicissimo, era leggibile. Le facce del regime di allora sono le stesse del regime di adesso. Da quando è morto Andreotti - accidenti ! - io mi sento davvero più solo.
Articolo del
16/03/2015 -
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