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Una delle più belle novità italiane di questo primo scorcio di 2015 è rappresentata dai Departure Ave, che con il loro ”Yarn”, secondo lavoro in studio dopo l'esordio “All The Sunset In A Cup”, stanno raccogliendo consensi unanimi e trasversali. Un disco a metà tra chamber-pop e psichedelia, con influenze jazz, tropicali e avant-garde, alla continua ricerca di nuovi spazi dove portare il rock 'n' roll. E per conoscere meglio questa piccola grande band romana dai sapori esotici ce la siamo fatta raccontare dal bassista Giulio Bodini.
Come vi siete conosciuti?
Il nostro incontro risale ai tempi della scuola. All'inizio militavamo in gruppi diversi, poi questi gruppi si sono sciolti e sono confluiti in un unico progetto, quello attuale, formato da noi che volevamo continuare la nostra esperienza come musicisti, peraltro senza molte velleità iniziali. Avevamo delle cose già scritte, per cui decidemmo di andare a registrare in Salento, a casa del nostro chitarrista Andrea (Coclite, ndr), l'unico non romano tra noi. Quelle registrazioni fatte in pieno inverno divennero “All The Sunset In A Cup”.
Prima il mare del Salento d'inverno, ora il verde delle campagne di Todi. Come mai scegliete sempre location isolate per registrare?
Non c'è una ragione particolare se non quella che ci piace stare “tranquilli”. La location dipende sempre da contingenze specifiche, non è che abbiamo chissà quante possibilità di scegliere. Certo, ci piace farci condizionare dall’ambiente in cui ci troviamo ma non è una scelta fatta a priori, anche se poi registrare in tutta tranquillità ci permette di dare il meglio in situazioni ben precise. Su “Yarn”, che abbiamo registrato in due diverse tranche tra aprile e agosto dell’anno scorso, credo si senta molto l’influenza delle atmosfere campestri, rurali. Anche “All The Sunset In A Cup” “profumava” del mare di Gallipoli a dicembre.
Quindi Roma, con la sua atmosfera e le sue bellezze, non è per voi una fonte d'ispirazione?
Siamo romani, viviamo la città, e ci scriviamo anche parte dei nostri pezzi, ma con la nostra musica in generale c’entra poco, non ne siamo influenzati, come credo si senta anche dai nostri riferimenti musicali.
E quali sono questi riferimenti nello specifico?
Ci piace ascoltare di tutto, siamo abbastanza eterogenei. Condividiamo lo stesso interesse per tutta quella serie di gruppi importanti degli anni 60 e 70: la psichedelia, i primi Pink Floyd, ma anche il post-punk e il pop, se di qualità. E inoltre siamo appassionati di jazz, soul, funk. Insomma, siamo onnivori dal punto di vista dell'ascolto. E nella scrittura ci piace molto improvvisare.
Come avviene il processo di scrittura?
E' un discorso collettivo, specie nell'arrangiamento. A volte sono Andrea e Lorenzo (Autorino, il cantante, ndr) a presentarsi con un’idea iniziale, una struttura, mentre in altre occasioni il canovaccio sonoro viene steso lì per lì. Tra i brani presenti su “All The Sunset In A Cup”, ad esempio, ben tre erano nati sul momento. Stessa cosa per “Yarn”. Per noi la composizione è intesa come composizione di parti, quindi la scrittura avviene quasi in contemporanea con l’arrangiamento. Però c’è da dire che raramente riusciamo a registrare qualcosa che ci mettiamo troppo ad arrangiare. Più ci vuole tempo a fissare un’idea, più è probabile che la scarteremo.
Com'è nata la collaborazione con Raffaele Casarano?
Raffaele è un amico di Andrea, anche in virtù del fatto che sono entrambi salentini. Quando gli abbiamo chiesto di suonare su Miles D. lui è stato gentilissimo a prestarsi facendoci letteralmente “svoltare” il pezzo col suo sax. E pensare che non abbiamo mai lavorato insieme nella stessa stanza. Lui ci ha mandato la sua parte e noi l'abbiamo aggiunta. E' stato carino, perché si è preoccupato di darcela al meglio, e la cosa ci ha fatto molto piacere.
Qual'è la canzone dell'album che preferite o che vi piace di più suonare dal vivo?
E' una domanda che un pò ci mette in difficoltà, ma è una pur sempre una questione che dovremo affrontare, dovendo per forza scegliere almeno due-tre singoli. Anche perché “Yarn” non è un disco fatto per avere dei pezzi che risaltino. E' un album da ascoltare per intero, venuto fuori in modo spontaneo, senza ragionarci troppo, e per soddisfare prima di tutto noi stessi. Detto questo, se proprio devo sceglierne qualcuna, oltre a Miles D., direi Worship, Everyday e Endo.
Sarete in tour nei prossimi mesi?
Abbiamo già fatto alcune date tra febbraio e marzo, e dopo la serata “Bomba Dischi” di sabato 11 aprile a Frosinone, suoneremo a maggio a Milano, Bergamo e Torino. Poi proseguiremo in estate , anche se non c'è ancora nulla di definito. Sicuramente faremo un'altra serata Bomba qui a Roma. E se ce la facciamo, a fine estate vorremmo fare qualche data all'estero, Austria, Svizzera e Germania. Ma pure qui, ancora nulla di definito.
Un'ultima domanda volevo fartela sulla copertina del disco. Come mai la scelta è caduta su un artista danese di inizio 900?
L'idea è nata per caso. All'inizio la copertina doveva essere un'altra, sempre un lavoro di Kay Nielsen, ma poi la scelta è caduta su questo particolare di un'altra sua illustrazione perché la sentivamo più nostra e si sposava meglio con l'idea del disco, in particolar modo per i suoi rimandi fiabeschi ed eterei, e per il fatto che i suoi colori sono quelli che reputiamo adatti all'album. Però no, non abbiamo scritto i pezzi pensando all'artwork, piuttosto è vero il contrario.
Articolo del
13/04/2015 -
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