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Dei Verdena si sa molto, ma è sempre come se non si sapesse davvero tutto. Difficile scalfire quell’aura di mistero che aleggia intorno alla più importante rock-band italiana dei nostri giorni. Vuoi per i testi, musicali ma meravigliosamente incomprensibili, vuoi per le atmosfere lugubri e perturbate che caratterizzano anche l'ultimo lavoro, ”Endkadenz Vol.1”, pubblicato a gennaio. In attesa del ”Vol.2”, in arrivo a fine estate e sul quale abbiamo provato a far sbottonare Alberto Ferrari durante una delle pause del tour col quale stanno girando l’Italia. Risultato ? Inscalfibile pure lui.
Come sta andando il tour?
Direi molto bene. Ottimo riscontro di pubblico, tanta gente in ogni città, grandi serate. Bellissimo.
Parlando del disco. Credi che Endkadenz sia il vostro lavoro più dark realizzato finora?
Magari questo “Vol.1” è leggermente più oscuro, ma io lo vedo come un unico progetto insieme al “Vol.2”, che è sicuramente più vario, più “matto”. Credo che alla fine si bilanceranno. In generale, il nostro lavoro più dark in assoluto lo considero di gran lunga “Requiem”.
Con che criterio avete suddiviso i brani tra i due volumi?
Casualmente. La scaletta l'hanno stilata Luca e Roberta una settimana prima della consegna. Abbiamo diviso i brani cercando di bilanciare il più possibile alcuni aspetti sonori, tipo mettere un'acustica di qua e una di là, una batteria elettronica di qua e una di là, e così via.
So che l'avevate pensato come un unico progetto.
Sì ma la casa discografica ci ha chiesto di separarli. E col senno di poi sono anche contento di averlo fatto: dura quasi il triplo di “Wow”, per un totale di quaranta minuti in più di musica peraltro non facilissima. Ammetto che tutto insieme sarebbe stato un bel mattone. Va bene il disco lungo ma la gente deve pur ascoltarlo, e allora facciamoglielo ascoltare con calma.
Quando uscirà il Vol.2?
Fine agosto.
Inserirete pezzi nuovi in scaletta prima di quella data?
Ci avevamo pensato, ma non è proprio cosa nostra. Romanticamente, ci piace suonare il materiale quando è fuori, non quando deve ancora essere pubblicato. Anche per evitare che ci vengano fuori versioni troppo fighe, ché poi magari quella del disco non è all'altezza e si resta delusi. Per adesso continueremo a dimenticarci di aver fatto il “Vol.2”. Fermo restando che tra una settimana potremmo cambiare idea.
C'è qualche pezzo del Vol.1 che sta migliorando nella versione live?
Direi un pò tutti. In generale, i nostri pezzi migliorano sempre quando li suoniamo dal vivo. Tanto è vero che mi piacerebbe un giorno registrare un disco alla fine di un tour, con tutti i pezzi perfettamente rodati. Anche se ammetto che è un'idea un pò strana.
Pubblicherete un live prima o poi?
Credo di sì. Un live a questo punto della nostra storia ci sta tutto. Anche perchè in giro non c'è niente di nostro, a meno di non andare a cercarselo su Youtube. Certo, è una cosa molto dispendiosa. Servono più serate, più registrazioni. Per adesso abbiamo registrato solo il concerto dell'Alcatraz a Milano, ma cercheremo in tutti i modi di portarne a casa altri due o tre entro la fine del tour, che ci vedrà impegnati fino alla fine del prossimo inverno.
Gli ultimi tre dischi sono stati pubblicati a distanza di quattro anni l'uno dall'altro. Subite mai pressioni della casa discografica per uscire più spesso , magari con lavori più brevi?
In verità, stavolta eravamo partiti per fare un disco corto ma poi ci siamo ritrovati per le mani qualcosa tipo 400 pezzi, che poi abbiamo scremato fino a 26. Pressioni? Ogni tanto succede, ma rientra nel corso normale delle cose. Magari c'è da lottare un pò per il doppio, magari ti fanno “sentire in colpa” per 2-3 settimane, ma poi si adeguano e finisce lì. Con loro (Universal, ndr) siamo sempre stati benissimo, non abbiamo nessun tipo di problema. Ci danno soldi per fare i dischi, hanno una bella potenza mediatica, e al contempo ci sentiamo felicissimi e liberissimi. I discografici non sono animali. Chiunque può essere felice e libero, basta dire di no, ogni tanto. Il problema è che molte band accettano i compromessi.
Disco dopo disco, siete migliorati tantissimo dal punto di vista tecnico. Credi che ciò dipenda dalla musica che ascoltate, o sono questi miglioramenti ad imporvi un certo tipo di ascolti?
Quello che mangi, sei. La musica che ascolti ti influenza sempre, poi sta a te decidere in che modo farti influenzare. Copiare pari pari non è mai un bene, carpire l'anima di ciò che ascolti, sì.
Quindi portate sempre avanti il percorso di ricerca e di studio dei vostri strumenti.
Assolutamente sì. Io, ad esempio, in questo disco ho usato molto il diaframma, anche se non si nota. Non l'avevo mai usato in nessun disco. Anche Luca si dedica continuamente alla ricerca di nuovi effetti, nuovi ritmi. Per questo disco ha ascoltato molta musica africana, ma anche i Rush.
In effetti, le parti di batteria di Luca sono molto complesse.
Lui dice che sono facili. Ma forse lo sono per lui.
Quanto a lungo vi vedete ancora nella dimensione di musicisti in una band ? Vi siete posti un limite temporale?
No. Se finisse questo lavoro dovremmo trovarcene un altro, ma non penso che avremmo molte possibilità nella società, avendo tutti lasciato gli studi presto per dedicarci a questa cosa. Andremmo a fare lavori molto “normali”, tipo - chessò - il muratore. Luca, per esempio, ce lo vedrei bene (ride, ndr).
Che dischi hai ascoltato di recente?
Mi è piaciuto molto l'ultimo di Io Sono Un Cane, un nostro amico sardo che fa musica elettronica. Poi l'ultimo de Le Capre A Sonagli, una rock-band di Bergamo, e il nuovo di Brian Wilson. Luca invece ha scoperto di recente gli Ancoressid, band stoner-psich con doppie voci alla Beatles. Molto strani, molto satanici.
Di satanico, invece, i tuoi testi non hanno mai avuto nulla. Ovviamente. Ma neanche hai mai affrontato argomenti politici. Come mai?
Cerco di non dare mai un senso preciso ai testi, per non distogliere l'attenzione dalla musica. Non concludo mai le frasi per bene, preferisco lasciarle in bilico tra più interpretazioni. Scrivere di politica per me sarebbe un delirio, perché andrebbe un pò a troie tutto quello che intendo io per Musica. Noi siamo musicisti, non poeti. Costruiamo canzoni che suonano. I miei testi cantano, non parlano.
Nel luglio del 2001 apriste per gli U2 allo stadio Delle Alpi di Torino. E’una giornata che ha lasciato in voi ricordi particolari?
Sì, abbastanza. Sembrava di suonare su un pavimento di persone, visto che già alle cinque del pomeriggio era tutto pieno. Noi suonammo mezz'ora. Fu un lampo. Incontrammo Bono prima di iniziare, arrivò direttamente dal G8 di Genova, e nello scendere dall'elicottero si spaccò tipo una costola. Mi ricordo il via vai nei camerini, con lui sdraiato sul lettino e tutto intorno il viavai di medici e infermieri. Venne ugualmente a salutarci prima che salissimo sul palco, ci disse semplicemente “good luck”. Era bianco cadaverico, non so che roba gli avevano dato.
E a voi, giovanissimi, che effetto fece suonare davanti a tutta quella gente che non vi conosceva?
Eravamo abituati alle grandi adunate. Al Gods of Metal, per esempio, non era andata male: ci aspettavamo le bottiglie, e invece ci tirarono solo la carta igienica. Quando suonammo a Torino avevamo appena fatto Solo Un Grande Sasso, che era un disco strano, psichedelico, molto strumentale. Eravamo parecchio lontani dall'idea di concerto pop, per cui non penso che il pubblico abbia apprezzato. Si saranno detti ma chi cazzo sono questi. Poi entrarono i Timoria e si divertirono molto di più.
Sempre in tema di grandi adunate, tra le date del tour estivo è prevista quella al Rock In Roma.
Speriamo bene. L'ultima volta all’Atlantico (9 marzo scorso, ndr) è andata alla grande. C'è stata un'ottima ricezione da parte del pubblico per quella che, credo, sia stata la data più bella finora, sia come risposta della gente che come esecuzione sul palco. Insomma, ci siamo tutti divertiti un sacco.
(Foto di Paolo De Francesco – Moltimedia.it)
Articolo del
14/04/2015 -
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