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Lui si definisce “cantautorap”, ed è un bene che una volta tanto a darsi un’etichetta sia l’artista stesso, chè inventarsene una ogni volta è dura anche per chi lo fa di mestiere. Ma in fondo le definizioni contano poco quando si sceglie di essere se stessi come Dargen D'Amico, il volto nuovo dell'hip-hop italiano. Uno per cui molti suoi colleghi, da Morgan a Max Pezzali, hanno avuto parole d'elogio descrivendolo come l’unico musicista in Italia a saper davvero usare le parole. Parole che, evidentemente, il buon Dargen preferisce mettere tutte in musica, almeno a giudicare dalla stringatezza delle risposte che ha dato a noi. Ma poco importa, perché in fondo quello che aveva da dire lo trovate nelle tredici tracce di ”D'Io”, il suo nuovo album pubblicato a febbraio. E se qualcosa non vi è chiaro potete sempre farvelo ripetere dal vivo andando a vederlo in concerto in una delle tappe del tour che lo terrà impegnato fino a fine maggio nelle principali città italiane.
Com’è lo spettacolo che stai portando in tour, dai molto spazio ai nuovi brani?
Sì molto spazio, è un live che ripropone la dimensione in cui è stato scritto “D'iO”, tra me e me, e con l'importante apporto nella trama del violoncellista Matteo Bennici.
Proseguirai con i concerti in estate?
Proseguirò per tutta la vita.
Com’è stato lavorare a “D’Io”, gestazione complicata o è filato tutto liscio?
E' sempre la cosa più semplice e complicata del mondo, il parto.
Com’è nata l’idea per la copertina, e cosa rappresenta?
Rappresenta la nuova generazione, quando si genera qualcosa di nuovo e lo si ammira affascinati e timorati, che sia un disco, un figlio, un'umanità.
Che rapporto hai, se ce l’hai, con la religione?
Il mio rapporto è tutto ciò che è successo nella storia delle religioni dall'inizio alla fine.
Tu sei sempre stato diverso dalla figura del rapper classico. E’ una precisa scelta?
Essere me stesso non è mai stato una scelta, non so andare oltre questo universo dentro e fuori, mi piacerebbe ma non so.
Credi che l’hip-hop, come linguaggio ed estetica, abbia ancora oggi la stessa forza propulsiva?
No, non credo che la musica oggi ne abbia per me.
Ti sei definito un “cantautorap”. Quali sono, oggi, gli artisti che ti ispirano?
Un cantaurorap è un cantautore ai tempi del rap e quindi un essere senza più riferimenti.
Nel brano Crassi fai riferimento all’ex-leader del PSI, Bettino. Quali differenze ci sono, secondo te, tra la “Milano da bere” e quella di oggi?
La differenza principale è che le feste private erano davvero private, oggi c'è sempre qualcuno che carica dei video delle fotografie su facebook-twitter-instagram.
Della tua città parli anche in una altra canzone, “Amo Milano”. Come mai questa dedica?
Perché è il mio punto di convergenza effettiva e di scrittura delle idee. E' una città che merita una lettura romantica in questi tempi pragmatici di Expo.
Articolo del
04/05/2015 -
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