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Tango, samba, valzer, classica, tzigana, mediterranea, rock, jazz, blues. Tutti insieme appassionatamente. Sono i mondi musicali che convivono nella musica dei Guappecartò, fenomenale combo italiano da dieci anni trapiantato in Francia. Da Perugia a Parigi il salto fonetico è breve, quello artistico lunghissimo. Loro sono Dr. Zingarone alla fisarmonica, Frank Cosentini alla chitarra, Mr.Braga al contrabbasso, O’Malamente al violino e O’Professor alle percussioni. Da dieci anni, prima come trio e adesso come quintetto, attraversano l’Europa e suonano per le strade e tra la gente di Germania, Francia, Svizzera, Spagna, Portogallo e Italia partendo sempre dalla capitale transalpina, la loro seconda casa. Grazie a questo continuo viaggiare i Guappecartò hanno dato vita ad un genere totalmente trasversale che si nutre di tutte le sonorità specifiche dei paesi che li hanno accolti. ”Rockamboles”, il loro terzo lavoro, pubblicato ad aprile, è uno dei più belli usciti quest’anno. Un potpourri di generi e stili che Dr. Zingarone ci racconta in questa nostra chiacchierata. In attesa dei prossimi concerti in Italia.
Com’è nato “Rockamboles”?
Dopo il secondo album decidemmo che per il prossimo avremmo composto tutti quanti. E così ognuno di noi ha portato due o tre pezzi. Anche O’ Professor, il percussionista, che di solito non compone, qui ha scritto due brani, Samba Dell’Uccello e Martin Il Pescatore. Le bozze, inizialmente solo piano o chitarra, sono state poi arrangiate full-band nelle versioni presenti sul disco. Di solito chi porta il brano è il leader dello stesso, mentre gli altri sono arrangiatori. E’ così che si spiega la grande varietà di influenze presenti in questo lavoro, dalla musica classica allo swing alla musica tzigana. Dopo la fase di scrittura siamo poi passati alla registrazione, che è stata fatta un po’ dappertutto. In “Rockamboles” c’è un pezzo registrato in un ristorante, un altro in un’abbazia, un altro in un casolare nel centro della Francia. Poi abbiamo mixato e masterizzato il tutto. Come suggerisce il titolo, è stata una sfida rocambolesca, sia per la scelta dei brani che per l’idea di promuovere l’album in Italia.
Sarete in tour quest’estate?
Il calendario è in fase di definizione. Abbiamo fatto una prima leg italiana tra aprile e maggio. Ora siamo fermi ma da metà giugno si ricomincia, fino ad agosto vogliamo dedicarci solo all’Italia. E’ da dieci anni che viviamo fuori e a dire il vero eravamo un po’ timorosi all’inizio. Ma la paura è passata subito perché il pubblico ha risposto bene ad ogni concerto. A Milano abbiamo fatto 3 date ed è stato un successo. E’ venuto a vederci anche Mauro Pagani, che ci ha fatto i complimenti. Sono soddisfazioni. Noi all’Italia ci teniamo tanto. Poi da settembre torneremo a suonare in Germania.
Perché avete scelto di trasferirvi a Parigi?
Il nostro violinista c’era già stato qualche mese prima per lavorare ad un suo progetto, e aveva tastato il terreno. All’inizio volevamo solo dare un’occhiata, poi le cose si sono messe per il meglio e ci siamo stabiliti lì. Adesso siamo francesi a pieno titolo, con tutti i diritti di cittadinanza connessi.
Com’è stato adattarvi a questa nuova realtà?
Il confronto è stato mostruoso. Basti dire la differenza in fatto di offerta giornaliera di concerti, o all’impressionante numero di locali, sale e caffè dove suonare. Noi ci siamo evoluti come band proprio grazie ai caffè.
Avete uno zoccolo duro di fan che vi seguono?
C’è un nugolo di 250-300 persone che ci conoscono abbastanza, ed è un pubblico abbastanza misto. Anche perché poi ognuno porta l’amico, l’amico dell’amico, ecc. Il passaparola è importante. Senza contare che Parigi è una città che sta cambiando tantissimo ultimamente.
Che generi suonavate con le vostre band di provenienza?
Io suonavo la chitarra in gruppi rock, hard-rock, metal, cross-over. Poi è nata la passione per la musica tradizionale. Sono impazzito per il tamburello, ci ho anche fatto la tesi di laurea. Infine, sono passato alla fisarmonica. O’ Malamente, invece, suonava psichedelia, punk. Insomma siamo tutti di estrazioni diverse. E credo si senta. L’unico per cui non vale questo discorso è Frank: lui ha avuto un solo gruppo nella sua vita, i Guappecartò.
Perché vi siete dati questo nome?
Lo propose lo stesso Frank, essendo napoletano. Che poi all’inizio eravamo “I compari di Guappecartò”.
Oltre alla qualità dei brani mi ha colpito anche l’ordine degli stessi nella tracklist.
Non siamo molto bravi in queste cose perchè non riusciamo mai a metterci d’accordo. Così ci siamo affidati ad una terza persona, il nostro produttore Stefano Piro. Ci fidiamo ciecamente di lui perché ha un orecchio finissimo, tant’è vero che ha curato anche la parte artistica dandoci consigli preziosi su suoni, arrangiamenti e – appunto – la scaletta finale. Ci è talmente piaciuta la sua che gli abbiamo chiesto di scriverci pure quella dei concerti. E stiamo lavorando con lui anche per un altro progetto, il nuovo album di Neripè, che conterrà canzoni dedicate alle donne che hanno lasciato il segno nella storia passata e recente. Il primo clip uscirà a fine giugno ed è stato girato da Isabelle Montoya, la stessa regista del nostro video per La Luna Di Giorno.
A proposito, sei d’accordo se dico che è il pezzo più bello dell’album?
Al concerto è anche più veloce, quindi spacca di brutto. L’ha scritta Mr. Braga, il contrabbassista, ed è un pezzo nato quasi per scherzo. Venne in studio con questa cosa fatta su una tastiera anni ottanta, e noi ogni volta che l’ascoltavamo scoppiavamo a ridere. Poi ci siamo messi a lavorarci sul serio ed è diventata quello che si sente.
Anche November Wave è molto bella, particolare.
L’ha scritta O’Malamente, ed è ispirata alle onde del mare, quelle onde che chissà dove vanno, come se trasportassero un messaggio ad una persona lontana. Ed è stata proprio quella che, involontariamente, ci ha suggerito l’ispirazione per Dicembre, che ne è un po’ la continuazione.
Perché nei vostri brani non sono presenti i testi?
E’ una cosa venuta da sé e che abbiamo mantenuto nel tempo. La musica strumentale è universale, rivolta a tutti, comprensibile a tutti. Dove vai ti capiscono. In Francia, in Germania, in Italia. Non c’è bisogno di parole.
Puoi parlarmi, invece, dei vostri progetti cinematografici e teatrali?
Il teatro è un’esperienza magnifica. Avendo iniziato come musicisti di strada abbiamo sempre cercato il contatto con il pubblico. Facevamo i buffoni, proponevamo gag. Però mancava un filo conduttore. E lo abbiamo trovato grazie all’incontro con il regista e autore napoletano Fabio Marra. Lui ha trasformato il nostro concerto in uno spettacolo teatrale, “Allegro ma non troppo”, che abbiamo presentato a Parigi lo scorso dicembre e che torneremo a proporre nel 2016. Per quanto riguarda il cinema, invece, va detto che la musica strumentale è perfetta per le immagini. Per quanto riguarda noi, abbiamo partecipato ad un festival di cortometraggi organizzato sempre da Isabelle Montoya in cui in 48 ore bisognava girare un corto, compresa la musica; poi abbiamo preso parte alla colonna sonora del film “L’arte della felicità” (2013) diretto da Alessandro Rak; e infine stiamo lavorando ad uno spettacolo di circo romano insieme al Five Quartet Trio che presenteremo a breve.
Avete parecchi impegni extra-musicali.
La cosa che ci ha fatto cambiare negli ultimi anni è stata proprio la volontà di aprirci a qualsiasi esperienza artistica, e nel momento in cui è successo sono venute fuori parecchie cose belle.
Voi utilizzate molto i social per promuovervi. E’ più o meno facile emergere ai tempi di Internet?
E’ una domanda a doppio taglio. Da un lato i social sono uno strumento fantastico, puoi far sapere a molte persone che suoni e non devi andare in giro ad attaccare i manifesti. Dall’altro, però, è più difficile emergere. C’è talmente tanta di quella roba che è difficile per una persona media fare una selezione. Devi essere bravo davvero, non ti puoi presentare con una bassa qualità. Però io sono decisamente pro-internet. A fare danni non è mai il mezzo in sé ma l’utilizzo che se ne fa.
Articolo del
12/06/2015 -
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