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No, non c'eravamo dimenticati di lui, anche se lui ha fatto di tutto perché ciò accadesse sparendo dalla circolazione per un bel pò e facendo perdere le sue tracce anche sui social. Elvis Perkins è uno dei cantautori più illuminati della scena americana ed è appena tornato con un nuovo lavoro in studio, a sei anni dalla precedente prova. Lui è figlio del grande Anthony Perkins, l'indimenticabile “Psycho”, morto di AIDS nel 1992, e della nota fotografa americana Berry Berenson, tragicamente scomparsa l’11 settembre 2001 durante l’attacco alle Torri Gemelle. Inoltre, sua bisnonna era la stilista Elsa Schiaparelli, a sua vuolta pronipote dell'astronomo Giovanni, sua zia l'attrice Marisa Berenson e suo fratello l'attore Oz. Insomma, il talento per lui è una cosa di famiglia, ma che non sia un raccomandato lo dimostra ”I Aubade”, il suo terzo full-lenght. Un disco onirico, visionario, disturbato, surrealista. Un album che ha richiesto tempo per la sua realizzazione così come richiede tempo per essere ascoltato e compreso per bene. Stavolta Elvis ha fatto tutto da solo. Ha registrato con un quattro-piste nella sua casa di New York catturando anche i rumori di sottofondo: fruscii, arpeggi, voci appena sussurrate che collocano questo lavoro in uno spazio senza tempo, in un’atmosfera ovattata dentro la quale ci si sente protetti e cullati dalla sua voce così lontana e così vicina. Il tutto in attesa del suo tour europeo che toccherà l'Italia a novembre.
Sono passati un pò di anni dal tuo ultimo disco. Cos’hai fatto nel frattempo oltre a lavorare al nuovo materiale?
Oltre a scrivere e registrare, ho suonato vari concerti a Ney York e Hudson con una band nella quale ci esibivamo con strumenti creati a mano da un talentuoso artista e fabbro che vive ad Hudson, Kristopher Perry. Divertentissimo. Si trattava di strumenti tratti da materiali industriali di scarto che lui chiamava semplicemente “macchine”.
OK, ma al netto delle distrazioni, quanto ci è voluto a realizzare quest’album?
Circa tre anni, durante i quali - comunque - ho alternato anche periodi più o meno lunghi di inattività. Ma c'è voluto tempo principalmente perché ho scelto di fare tutto da solo, senza studio né produttore nè ingegnere del suono, il che era l'unico modo per improvvisare, sperimentare liberamente e mettermi al lavoro solo quando mi veniva l’ispirazione, oltre che per evitare la sterilità e l'asetticità di uno studio. Ed aveva anche a che fare con la mia voglia di tornare alle origini, quando - poco più che ventenne - registravo in casa su un quattro-piste.
A giudicare dai testi, questo disco si direbbe un “concept”.
Non lo chiamerei così, anche se è innegabile che certi argomenti siano collegati tra loro. L’ispirazione per i testi è varia, non segue una regola generale e arriva ogni volta in modo differente.
Cosa significa il titolo?
Un “aubade” è la versione mattutina di una serenata, che invece si canta di sera. Non conoscevo la parola finchè non ho iniziato ha lavorare al disco. L'idea era quella di creare suoni che potessero accompagnare l’arrivo di un nuovo giorno, inteso come nuova èra per l'uomo, così come ci hanno tramandato molte civiltà antiche secondo le quali un nuovo giorno sarebbe appena iniziato. Ma il titolo è anche un invito a riconsiderare a cosa e a chi riteniamo di dover obbedire. Perchè, sebbene i miei antenati francesi potrebbero storcere il naso, io lo leggo anche come “obeyed”. La domanda che dobbiamo farci è se obbediamo alle leggi umane a detrimento di quelle naturali (io credo di sì), ossia se ci fidiamo di più di quello che ci dicono media, governi e mercato rispetto a quello che ci suggeriscono le nostre percezioni della realtà e della moralità.
Il suono dell'album è espanso, sporco, disturbato da interferenze, ma allo stesso tempo vario e rifinito. E’ stata una scelta precisa fin dall’inizio?
All’inizio volevo fare un disco non troppo arrangiato, da registrare velocemente. Ma strada facendo mi si sono aperte un sacco di nuove possibilità di stratificazioni, combinazioni e manipolazioni, e ho finito col prenderci gusto.
L’atmosfera è sognante, evocativa, sospesa. Hai scritto più d'istinto o razionalmente?
Direi un mix tra i due approcci. Le idee sono frutto dell'immaginazione ma dopo richiedono una mente razionale per essere portate a termine in un modo che abbia ragionevolmente senso.
Hogus Pogus parla di un uomo a cui è stato trapiantato il cuore di un maiale. Un'idea curiosa, come ti è venuta?
Per quanto possa sembrare strano, alcuni essere umani se ne vanno davvero in giro con valvole di bovino e suino impiantate nel cuore, così non ho dovuto tanto lavorare d'immaginazione quanto scrivere una storia su come queste persone possano trarre beneficio dall'avere nel petto il cuore di un essere sicuramente più coi piedi per terra e meno auto-distruttivo di noi.
Quali artisti ti hanno maggiormente ispirato, sia in generale che per quest'album?
Ho fatto caso che ho imparato molto dagli artisti il cui cognome finisce per “n”: Jackson, Cohen, Beethoven, Wilson, Lennon, Anderson, Dylan, Simon, Van Morrison, Malmsteen. Eccezioni sono state Jobim, Shankar, Coltrane. Prima e durante la realizzazione di questo disco, invece, ho ascoltato parecchia musica sudamericana tradizionale, in special modo andina, oltre a Yma Sumac.
Quando è nata la tua passione per la musica?
Da piccolo ho preso lezioni di piano e sax ma ho deciso di mettermi a fare musica sul serio solo quando ho preso in mano la chitarra elettrica. Ho iniziato in solitaria, poi con una band alle superiori, ma le mie prime composizioni sono arrivate solo in tarda adolescenza.
Nell'essere artista sei stato influenzato dalla figura di tuo padre ? E se sì, in che modo?
A casa, mio padre suonava il piano e cantava, e inoltre aveva una meravigliosa collezione di LP che ebbero ovviamente una grande influenza su di me quando iniziai a scrivere musica. Lui e gli altri “creativi” nella mia famiglia hanno fatto uno splendido lavoro, e ciò mi ha ispirato nel provare a fare lo stesso.
C'è qualche relazione tra suoni e immagini nella tua musica ? E se sì, quanto forte?
Vorrei ma non riesco a stabilire quanto sia forte. Non saprei descrivere come nasce la mia scrittura, è un processo misterioso e in fondo penso sia bene che rimanga tale.
Quanto credi sia importante per un musicista, oggi, il rapporto coi social media?
Mi è stato detto recentemente che la mia presenza sui social media non è abbastanza forte da infastidire. Quindi va bene. I social sono un ottimo medium più che altro per tenere informate le persone su tour e pubblicazioni.
Suonerai in Europa a breve. Verrai anche in Italia?
Sì, a Bologna e Milano, il 14 e 15 novembre. Finora ho fatto solo un concerto in Italia e non vedo l'ora di tornarci.
(la foto di Elvis Perkins è © DanielleAykroyd )
Articolo del
21/09/2015 -
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