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Dal 10 gennaio scorso è l’unico superstite dei protagonisti dell’irripetibile avventura di Ziggy Stardust And The Spiders from Mars: Mick “Woody” Woodmansey da Hull nello Yorkshire, classe 1951, professione batterista. Tra due giorni compirà 65 anni, ma Woody è ancora super-attivo come e più di prima, tanto è vero che festeggerà mentre si troverà in tour negli Stati Uniti insieme agli Holy Holy, la band che ha messo in piedi da qualche anno a questa parte con Tony Visconti al basso, Glenn Gregory (Heaven 17) alla voce e altri membri a rotazione, e che ripropone per intero 'The Man Who Sold The World' e altri classici bowiani dell’epoca Glam. Auguro a Woody, persona semplice, affabile e sincera, ancora una lunghissima vita. E colgo l’occasione per celebrare lui – nonché l’immensa legacy del suo mentore – proponendo in versione integrale l’intervista già pubblicata in forma ridotta sul n. 35 di Classic Rock Italia uscito a settembre 2015. Enjoy! (N.B.: e occhio, perché prossimamente gli Holy Holy terranno alcune date in Europa, e forse anche in Italia. Restate sintonizzati). Quando hai iniziato a suonare con Bowie, nella primavera del 1970, eri poco più di un ragazzino. Avevi 19 anni. Com’è andata?
Io ero il batterista dei Rats, una rock band di Hull nello Yorkshire molto tosta, in cui era stato anche Mick Ronson e John Cambridge, che poi erano scesi giù a Londra a lavorare con Bowie con la sua band The Hype. Un giorno ricevetti una telefonata da Bowie. Mick gli aveva detto che ero il miglior batterista che conosceva, così mi chiese di venire a Londra per unirmi al gruppo. Seppi poi che John Cambridge aveva avuto dei problemi a suonare The Supermen, che ha un tempo molto complicato, ed era stato “licenziato”. Così arrivai ad Haddon Hall, a Beckenham, la casa dove vivevano tutti loro: David ed Angie Bowie, Tony Visconti e la fidanzata, e un paio di roadies. Era una specie di comune hippie. Arrivai vestito da rocker, col giubbotto di pelle e i pantaloni jeans sdruciti, bussai e mi trovai davanti David con una camicia floreale, i capelli lunghi con i boccoli, già un po’ Glam. Fu un po’ uno shock.
E’ vero che il primo disco che faceste insieme, 'The Man Who Sold The World', fu più di tutti gli altri un risultato collettivo?
Assolutamente sì. Molte canzoni, come ad esempio The Width Of A Circle, nacquero come frutto di jam in studio. David in quel periodo si era appena sposato con Angie e pareva distratto. A volte veniva in sala solo alla fine per registrare la voce e assistere al mixaggio.
Tutti quei brani sono accreditati al solo Bowie. Ma, dato quello che dici, non sarebbe stato più giusto accreditare tutti voi collettivamente?
Ah no, perché le idee per le canzoni, gli spunti, gli accordi e le liriche provenivano tutte da Bowie. E poi sai, quello che conta era l’accordo iniziale. Eravamo tutti concordi, fin dal momento in cui accettammo di far parte del gruppo, che Bowie sarebbe stato il songwriter. Certo: alcune frasi, certi incastri, i riff di Mick… è vero che se fossimo stati più esperti e smaliziati avremmo potuto avere il nostro nome su alcuni brani. Ma c’era un accordo fin dall’inizio.
TMWSTW è un gran disco, ma vendette poco. E voi a un certo punto mollaste Bowie.
Il fatto è che oggi è abbastanza normale pensare a Bowie vestito da donna, ma all’epoca quella scelta risultò incomprensibile. 'TMWSTW' era un disco per rockettari, e tu ce l’avresti mai visto un rockettaro con quella copertina sotto al braccio? Ma la rottura avvenne per motivi finanziari, oltre che per il fatto che Tony Visconti non sopportava il nuovo manager Tony Defries: così una sera – viaggiavamo su due macchine diverse e stavamo andando a Birmingham per un concerto – una volta arrivati allo svincolo di Birmingham sulla M1, abbiamo detto all’autista dì proseguire per Hull.
Ciao ciao, insomma. E per un breve periodo avete formato un gruppo per conto vostro, i Ronno.
Io, Ronson, Visconti e l’ex cantante dei Rats, Benny Marshall. Pubblicammo un singolo [4th Hour Of My Sleep nel gennaio ’71, n.d.r.] ma non vendette una copia ha ha!
Quindi poi tornaste con Bowie.
Sì, perché lui ci telefonò e ci disse: "Ho un nuovo management e sto lavorando su delle nuove canzoni. Sarà diverso". E così siamo tornati con lui. Allo stesso tempo Tony Visconti ha deciso che per lui era meglio una carriera da produttore (con Marc Bolan). Ma allo stesso tempo la Mainman – Tony Defries – non amava molto la band: avrebbe voluto liberarsi di noi… Non ci siamo davvero mai presi con il Signor Defries ah ah… Così siamo ritornati e ci siamo ritrasferiti ad Haddon Hall. Lui era andato in America, e credo che avesse visto i Velvet Underground, aveva visto le cose più in voga, aveva visto show forse anche di Dylan o di Stephen Stills… Tutto quel tipo di scena. E penso che avesse acquisito un tipo di fiducia in se stesso per focalizzarsi a scrivere di ciò che gli interessava – mentre prima era più interessato a “sfondare”. E penso che tutta la prima parte della sua carriera era stato solo un saltare continuo… perché lui era capace di prendere un genere, una forma di musica – sia che fosse una cosa orchestrale, un pezzo di tipo teatrale – era capace di prenderle e realizzare la sua versione. Ed era bravissimo. La faceva all’inizio, questa cosa di saltare da uno stile all’altro. Ma nessuno di questi tentativi gli aveva consentito di realizzare qualcosa di personale. E penso che il viaggio americano fu per lui uno stimolo che lo spinse a dire, dentro di sé: “Vi farò vedere che so scrivere canzoni”. Ed è così che è arrivato 'Hunky Dory'. Lo potevi sentire mentre componeva nel salone con la chitarra, e poi, alla fine della giornata, ti chiamava: “Vieni dentro Woody, ne ho finita una”. Ti faceva sentire il pezzo e tu: “Diamine, quanto è bella…” Oppure se ne stava al piano nella camera da letto, e quando aveva finito ti faceva sentire, chessò, Oh You Pretty Things, e tu: “Wow!” La sua scrittura di canzoni era diventata più diretta… C’erano alcune delle stesse idee di TMWSTW, gli stessi concetti, ma era tutto più diretto. Ti arrivava immediatamente. Con TMWSTW la reazione della gente era: "Mi piace ma non capisco di cosa diavolo parla". E forse dopo una decina di ascolti potevi tirar una specie di tuo significato. E Bowie era molto bravo a far questo: a fornirti abbastanza informazioni perché tu creassi la tua storia. Era qualcosa di molto personale, allora. Ed è sempre stata la sua migliore qualità come artista. Non ti diceva tutta la storia. La sua arte consiste nel dirti abbastanza perché tu ti possa fare una tua idea della storia. E penso che i grandi artisti debbano fare così. Non dev’essere “ragazzo incontra ragazza” o “mi hai trattato male, ora sono triste, ho il cuore spezzato”. Non deve essere così. Deve essere “più profondo”.
Credo che la prima vera canzone “alla Ziggy” – a livello di sonorità - sia Queen Bitch su 'Hunky Dory'. Come l’avete trovato quel suono?
In origine Bowie aveva dato quella canzone ai Ronno. Di modo che i Ronno l’avevano già suonata prima che la riprendesse Bowie. L’avevamo inserita nel nostro live set, con un cantante differente. Lui [Bowie] ci ha detto: prendetevela, prendete questa canzone, la potete avere. E poi, quando siamo tornati [alla base] e l’abbiamo suonata, l’ha voluta rifare lui. E’ una grande canzone. [Con i Ronno] la suonavamo già in quella maniera, con un cantante differente: l’unica differenza è che noi non avevamo la chitarra acustica all’inizio.
Quel pezzo per certi versi ha anche influenzato il suono punk del 1977. Quindi possiamo dire che il punk l’avete inventato voi di Hull?
Ah ah, forse… Voglio dire, un sacco di pezzi, su 'Hunky Dory' e (in particolare) su 'Ziggy', quando li eseguimmo nello studio di registrazione, credo che fossero “più punk”, erano più taglienti, avevano un suono più grezzo di come alla fine è risultato dal missaggio. Quando 'Ziggy' è stato mixato, [il suono] è stato molto compresso. Cioè, voglio dire: un sound bellissimo, perfetto per quell’epoca, ma c’era un oceano di distanza tra gli show dal vivo e gli album. [Dal vivo] era più raw, e a noi comunque è sempre piaciuto di più così. Ci piaceva il suono grezzo.
Neanche 'Hunky Dory' vendette molto al momento in cui uscì. Ma voi che ci avevate lavorato vi rendeste conto che era un capolavoro, uno dei grandi Lp degli anni 70? Alcuni lo preferiscono allo stesso 'Ziggy Stardust'.
Sì, l’ho sentito dire da un sacco di gente. E anche da molti artisti di grosso calibro: Dave Stewart degli Eurythmics, Rod Stewart… Un sacco di grossi nomi preferiscono – o il loro album preferito è - 'Hunky Dory'. All’epoca credo che noi fossimo nel mezzo di cambiamenti musicali come band. Quando facemmo per la prima volta Life On Mars? arrivò Rick Wakeman a suonare il piano. Quando lo sentimmo suonare pensammo: “Wow!”. David suonava il piano ma non si avvicinava lontanamente al livello di Rick Wakeman. Le parti di Rick su quel pezzo sono fenomenali. All’inizio la ascoltammo in una versione grezza (anche se c’era già l’arrangiamento d’archi di Mick Ronson) e suonammo su quella. La mia attitudine era: “John Bonham che suona la musica classica”, la suonai in quella maniera. E quando la riascoltammo in una versione ancora grezza, era davvero ottima, pensammo: “Uuh, questa è davvero buona!” Ma poi, quando Ken Scott la mixò, ci chiamò ed entrammo nello studio, e mise su Life On Mars?... era come se non fossimo noi a suonare… Come ascoltare un pezzo di qualcun altro per la prima volta. Pensammo che … "wow", era fenomenale! Ma poi immediatamente subito dopo, pensai anche: “Non ci stiamo spingendo troppo in là? Questo non è rock’n’roll… Sul mercato non c’è niente di questo genere. I ragazzini a cui piace Queen Bitch o The Width Of A Circle riusciranno a capire Life On Mars?” Ma, sai, tutto quello che abbiamo fatto, ci divertivamo a creare, a suonare sui brani, a trovare un modo di suonare queste canzoni dal vivo. Noi eravamo una rock band. Aldilà del lavoro in studio, il problema era trasporre queste canzoni e suonarle tutti insieme come una rock band. Perché le dovevamo suonare dal vivo… Così finimmo 'Hunky Dory' e pensammo tutti che fosse un album eccezionale. Ma sai, non pensavamo certo che 40 anni dopo tutti l’avrebbero celebrato come un “album classico”. Ognuno di noi ha dato il suo meglio, e ci rendevamo conto che ogni canzone era fantastica. All’epoca David non scriveva neanche una canzone scadente, non ci sono brutte canzoni, sono tutte buone. Ma allo stesso tempo non si sapeva se avrebbe venduto. Anche quando abbiamo fatto 'Ziggy': anche lì abbiamo pensato che fosse brillante. Facemmo Moonage Daydream, e quando la risentimmo pensammo: “Dio mio!” Poi fu mixata… ed era fenomenale. Ma comunque pensavi: “Spero che alla gente piaccia”. Non lo sapevamo… capisci cosa intendo?
E’ qui che anche voi Spiders foste costretti ad adottare un look Glam e teatrale. Contro la vostra volontà? Be’, fu una decisione derivante dall’ascolto della musica. Noi a quel punto ci eravamo abbastanza abituati al fatto che David indossasse ogni giorno un diverso stravagante capo di vestiario. E poi lui ci diceva: "Vi va di andare a teatro stasera? O volete andare a vedere un balletto?" Noi ovviamente pensavamo: “Di cosa cavolo stai parlando?” E comunque: andammo a vedere a teatro a vedere un musical, ma lui ci disse: “Non seguite la trama, a me non mi importa niente del musical: guardate piuttosto le luci quando cambia la musica”. E’ quello che abbiamo fatto, e lì ci siamo resi conto di cose che non avevamo mai notato prima. Perché in quei giorni una band aveva un faro rosso, uno verde, uno giallo e una luce stroboscopica. E basta. E alla fine dello show, per il gran finale, tutte le luci venivano accese in contemporanea e quello era il “light show”. Ma [Bowie] ci fece capire che l’illuminazione andava controllata. E così, quando si trattò di mettere in piedi lo show, ci mettemmo a pensare quale luci sarebbero state adatte per una certa canzone. Ci portò anche a un balletto, e guardammo pure quello. E poi si mise a fare dei disegni di come ci saremmo dovuti presentare in scena. Per cui io e Mick Ronson ce ne andammo in giro per Londra per negozi di stoffe, pensando tra noi: “Ma cosa stiamo facendo? Queste sono stoffe, non è rock’n’roll…” Dopodiché decidemmo: io indosserò questo, tu indosserai quest’altro, e penso che tu dovresti indossare questo… Ma Mick ebbe una discussione con Angie, fece la valigia e si diresse verso la stazione. “Non indosserò mai e poi mai questo vestito”, le aveva detto. E David mi pregò: “Vai a recuperare Mick, fallo ritornare”. Così sono andato alla stazione e ci ho messo più di un’ora per convincerlo. Perché lui diceva: “Cosa diranno i miei amici quando mi vedranno vestito così? Io ho una reputazione, sono un chitarrista”. Non gli piaceva per niente. Per cui gli dissi: “Quando eravamo nei Rats, tu qualche volta indossavi degli stivale da Apache e un marsupio da pellerossa. L’hai fatto, e non eri un pellerossa. E questa è la stessa cosa. Non possiamo andare in scena con dei jeans sdruciti e una camicia, e suonare Moonage Daydream o Life On Mars?, sarebbe fuori luogo.” Insomma, alla fine è tornato all’ovile. E si è trattato di scegliere in quali colori vestirci: David pensava che a Trevor stesse bene il blu, e a Mick stesse bene il giallo dorato. E’ rimasto il rosa, e me lo sono beccato io, ha ha. Devi essere un vero uomo per indossare abiti rosa e avere un aspetto figo… Hanno detto che eravamo un Glam Rock Band. Ma, per quanto mi riguarda, non lo siamo mai stati. Non ci siamo mai visti in quel modo. Certo, ci siamo messi quei vestiti perché andavano d’accordo con la musica. Ma non l’abbiamo fatto per essere glamorous… E lo stesso vale per il make-up. La prima volta che siamo andati in Tv, David ci ha chiesto se ci saremmo messi il trucco. E noi siamo caduti dalle nuvole. “Stai scherzando?”, gli abbiamo chiesto, “Non esiste…” E lui: “Be’, è un peccato” (Lui il make-up ce l’aveva). Gli abbiamo chiesto: “Perché?” E lui: “Perché le luci in uno studio televisivo fanno in modo che quando poi appari in Tv la tua faccia sembri di un verde pallido, è per questo che ti devi truccare”. “Davvero?” E io non volevo certo apparire verde in Tv di fronte a milioni di persone. Così ci siamo messi il make-up. E poi è diventato una componente di tutto il nostro spettacolo. Era sempre per lo show, sempre per fare maggior effetto, piuttosto che per essere glamorous. Ma non ci siamo mai davvero considerati una band Glam Rock. E’ piuttosto buffa questa cosa.
Qual è stato il momento in cui avete realizzato che le cose stavano decollando?
E’ stato quando Starman ha iniziato a scalare la classifica. La seguivamo alla radio, e vedevamo che andava su, sempre più su… In particolare dopo l’apparizione a Top of The Pops. Top of the Pops era una sorta di punto d’arrivo della tua carriera. Perché noi avevamo sempre guardato le band che ci piacevano, a TOTP, dagli anni Sessanta in poi… Ricordo che eravamo in sala d’attesa alla BBC con gli Status Quo, e Francis Rossi mi disse: “Ragazzi, voi mi fate sentire davvero vecchio!” E poi, dopo quella performance, è diventato tutto una follia. Siamo davvero decollati. Non riuscivamo più ad uscire per strada: c’era gente accampata fuori dall’appartamento che passava lì tutta la notte.
Vivevate a Penge a quel tempo?
No, vivevamo ancora a Beckenham. Quindi, c’era gente, fans accampati in giardino tutta la notte. Dovevamo uscire dalla porta laterale. E andavi a fare shopping e chiedevi: "Questo quanto costa?" E ti rispondevano: "Nulla". “Ma no, abbiamo preso del cibo e della roba da bere..” “Oh no, è gratis. Vi abbiamo visto in Tv l’altra sera. Potete prendere tutto gratis”. Così abbiamo fatto il giro di tutti i negozi, ha ha…! E nessuno ci voleva far pagare. In effetti non avevamo soldi in quel periodo, ma nessuno lo sapeva, era una cosa carina. Ma se andavamo a fare shopping sulla King’s Road o High Street Kensington, non riuscivi ad entrare per via della gente che ti circondava e ti chiedeva l’autografo. Non riuscivi a fare shopping. Fu da queste cose che capimmo che stavamo esplodendo.
Dei due dischi live degli Spiders, qual è quello che preferisci?
Credo quello di Santa Monica, anche perché ce lo ricordiamo, fu davvero un buon concerto. Avevamo fatto 190 spettacoli di fila, pressappoco. Suonavamo non-stop. Qualche volta anche due show al giorno, uno al pomeriggio e uno alla sera. Così, nel momento in cui siamo arrivati a Santa Monica, eravamo una macchina da guerra.
Arriviamo alla fine degli Spiders: quanto rimanesti deluso dalla decisione di Bowie di sbarazzarsi di voi il 3 luglio 1973?
Molto deluso, all’epoca. Perché si era già parlato di un prossimo album e di un prossimo tour americano. Ne avevamo tutti discusso. Ma sai, erano successe un sacco di cose durante quell’ultimo tour. David stava incontrando delle difficoltà a separare se stesso da Ziggy Stardust. E lo potevi vedere mentre avveniva. E non ci potevi fare nulla. Il primo tour che facemmo, salivamo sul palco, suonavamo, e poi salivamo tutti sulla limousine sera che ci avrebbe portato all’hotel dove avremmo fatto baldoria, feste ecc. Era tutto piuttosto normale – o meglio, normale per una rock’’n’roll band. Ma poi, nell’ultimo tour, c’era Ziggy sulla limousine che non smetteva di essere Ziggy. Ed era molto difficile avere una conversazione con Ziggy Stardust. (ride) Era abbastanza fuori di testa. Ma era potente… era un personaggio potente quello che [Bowie] aveva creato. Certe volte prima di salire sul palco dava un’intervista a una Tv, e non volevano davvero parlare con David Bowie, volevano Ziggy Stardust. E lui era rimasto incastrato in questo gioco: “Questo è quello che volete, questo è ciò che vi darò”. E non riusciva a “smontare”, non riusciva a separare tra le due persone. E poi si era messo a parlare di voler fare qualcosa di “soul”, di volere che la band rimanesse nell’ombra per il tour successivo: “Nessuno saprà chi siete, sarete tutti vestiti di nero, ci sarò solo io”. Ma dopo tutto quello che avevamo passato con i tour di Ziggy, non era quello che volevamo fare. Glielo dissi proprio: “No, David, non mi ci vedo proprio”. E a lui non piacque che io dicessi che non mi piaceva la sua idea. Ma noi, vedi, eravamo una rock’n’roll band in effetti. Non eravamo una band alla Let’s Dance. Non eravamo il tipo di band alla Young Americans. Non avrebbe funzionato. Inoltre avemmo dei contrasti su questioni finanziarie con il management. Quindi, la sera in cui disse: “Questo è il nostro ultimo tour”, noi [io e Trevor Bolding] non sapevamo se stesse scherzando o se si trattasse di un trucco pubblicitario… Perché era una cosa che [Bowie] faceva abitualmente, quella di dire e fare delle cose senza parlarne prima a nessuno. Era molto “artista”, nel senso che inventava delle cose seguendo l’ispirazione del momento. Perciò pensammo a una cosa del genere. Fu qualche giorno dopo che ci disse – definitivamente - che non intendeva più andare avanti con Ziggy. E a quel punto fu uno shock, perché avevamo già cominciato a fare dei piani del futuro… E ci sentivamo come parte di una famiglia, avendo passato un sacco di anni sempre con le stesse persone, lavorando tutto il tempo. Sì, è stata dura.
A proposito di pianificare il futuro: tu sposasti tua moglie June due giorni dopo quel concerto…
Sì… esatto.. ! Con June abbiamo tre figli, due dei quali suonano la batteria.
Dopo, ci hai messo un po’ a rimetterti in piedi. Nel 75 con Trevor Bolder avete rimesso in piedi gli Spiders con un nuovo cantante. Poi nel ’77 una nuova band, U-Boot. Niente male, ma forse il timing era sbagliato.
Be’ sì, anche in quel caso, la mia idea – che non è andata in porto – è che volevo un sound molto ruvido. E quando suonavamo in sala, era uno stile molto grezzo, quasi punk, avevamo sicuramente una vena punk. Ma poi assoldammo un produttore – che era anche il proprietario della casa discografica – a cui non interessava quel suono grezzo. E noi dovemmo accodarci al produttore. Quel disco comunque vendette più di quelli di Uriah Heep e gruppi del genere. E facemmo un sacco di tour. In seguito ho formato un paio di altre band. Una band con un chitarrista, Tony Schmidt, chiamata Lone Star. Facemmo un album e anche qui andammo in tour in Europa e Regno Unito. E’ durata un paio d’anni. Poi ho fatto un album con i Dexys Midnight Runners – 'Don’t Stand Me Down'.
Hai suonato la batteria su tutti i pezzi di quell’album (fra l'altro, bellissimo)?
No, no. O meglio: ho suonato su tutto l’album ma poi hanno reinciso diversi brani. Sono stato alcuni mesi con i Dexys. E’ stata una bella esperienza. Cioè, [Kevin Rowland] era un tipo buffo con cui lavorare. Quando ci siamo messi a girare per sale di registrazione per vedere dove potevamo ottenere un buon sound, registrammo alcune canzoni che non sono mai state pubblicate. E che erano fantastiche. Le abbiamo registrate, e poi mi sono messo a ballare in mezzo alla sala, ma poi mi sono guardato intorno: nessun altro della band si era nemmeno mosso. Nessuno si muoveva al ritmo della musica, e io non capivo quale fosse il problema, perché se ti divertiva era ovvio scatenarsi. Mi hanno guardato, mi hanno sorriso e mi han detto: “Non devi farlo”. E io: “Ma questi pezzi sono fantastici! Sono dei numeri uno!” Ma [Kevin Rowland] mi ha fulminato: “No, queste non le consideriamo”. E in effetti non le abbiamo mai più suonate. Ma erano fantastiche. E’ stato un periodo molto strano. In seguito ho fatto delle cose con Nicky Hopkins, che aveva suonato con i Beatles e con gli Stones, un po’ con tutti. L’avevo incontrato a Los Angeles e abbiamo fatto qualche concerto insieme. E poi lui si è trasferito qui, a casa mia, in Inghilterra. E per un po’ ha vissuto insieme a noi, [a me e a June]. E a un certo punto - nell’84 o 85 - Art Garfunkel l’ha incaricato di mettere insieme una band. E [Nicky] mi ha chiesto se volevo farne parte. Sai, Art Garfunkel, - quel tipo di musica – era così lontana da quanto avessi mai suonato. Dapprincipio ho pensato: Art Garfunkel, è davvero strano. Mi ricordavo di quando avevo 16 anni, nei coffee bar dello Yorkshire, nel Nord dell’Inghilterra, quando ascoltavo le sue cose, e non mi prendevano per niente… Ma alla fine ho pensato: vabbè, lo faccio per vedere com’è. Così ho detto: ok, lo faccio. E mi sono davvero divertito, a essere sincero. Ho dovuto imparare, principalmente, lo stile di Steve Gadd. Lui era uno dei grandi session drummers. Ed è stato davvero difficile, perché Garfunkel voleva la parte di batteria suonata esattamente come nel disco, con lo stesso feeling. E’ stato un incubo. Ho dovuto passare tre settimane ad ascoltare i pezzi. E nonostante ciò, alcuni pezzi durante le prove non mi venivano ancora bene. Ma poi mi sono reso conto che all’epoca [delle incisioni] Steve probabilmente non era sobrio, ha ha. Era sotto l’influenza di “qualcosa”. Nel momento in cui l’ho capito, ho capito anche come suonarli. Perché si tratta di una sorta di “L.A. Sound”, è molto pigro, sempre a tempo, ma lazy. Una volta che l’ho capito, l’ho rifatto alla perfezione. Durante il tour abbiamo fatto un concerto ad Anversa. 20.000 persone. Era una “prom night”. C’era un’orchestra di 100 elementi e un famoso direttore d’orchestra danese, e io ero dietro al mio kit quando si sono accesi 20.000 accendini. E io mi sono dimenticato di iniziare a suonare…! Era così spettacolare sentire la sua voce mentre cantava Bridge Over Troubled Water, con quest’orchestra che suonava, che sono rimasto fermo. Nicky Hopkins mi ha lanciato un’occhiataccia che mi ha rimesso in moto, e ho iniziato a suonare, ha ha!
Hai collaborato anche con Paul MacCartney?
Sì, ho suonato su un suo singolo. Era per [la fondazione benefica] Children in Need. Sono andato al suo studio, e lui ha detto: voglio suonare la batteria con te. Così abbiamo fatto una jam in stile reggae, e poi abbiamo registrato il singolo. Una bella cosa. Ho anche fatto delle cose con Edgar Winter. E poi ho fatto una cosa con i miei due figli [il progetto 3-D], basato sulla batteria. Non se ne è parlato molto, ma è stato molto divertente farlo. Ho lavorato anche a un film di Steven Soderbergh, perché lui voleva che fosse “il batterista di Ziggy Stardust” a suonare sulla colonna sonora. L’ho fatto con la produzione di Ken Scott. Non è ancora uscito, però: non è ancora disponibile. Aveva ancora un working title: CLEAR. Ma non so se resterà quello il titolo. La storia è una sorta di versione moderna di Romeo e Giulietta (un po’ contorta credo).
Come è capitato di formare la band (Holy Holy) per rifare 'The Man Who Sold The World'?
Circa un anno e mezzo fa [due anni fa ormai, n.d.r.] sono stato chiamato dall’Institute of Contemporary Arts (ICA) di Londra e mi hanno chiesto di parlare di fronte a una platea e poi di fare un Q&A con il pubblico. Due ore. Io non avevo mai fatto niente di simile. “Di cosa devo parlare?”, gli ho chiesto. “Be’”, hanno detto, “della tua carriera, della tua esperienza di batterista eccetera”. Ok, mi sono detto, ci posso provare. E’ stata una bella serata, era tutto esaurito, e le domande erano molto intelligenti. Mi sono divertito, insomma. E poi mi hanno detto che avevano messo insieme questa band, per fare dei pezzi di Bowie, principalmente quelli in cui avevo suonato io. Clem Burke, dei Blondie, era il batterista. James Stevenson, che in quel momento suonava con i Cult, Bob Geldof alla chitarra, Steve Norman degli Spandau Ballet, un bassista dei Big Audio Dynamite… Era un bel gruppo di musicisti. C’era tantissimo pubblico, e hanno suonato un sacco delle canzoni su cui avevo suonato io la batteria. In quell’occasione suonai anch’io - un paio di pezzi - ma per la maggior parte del tempo sono rimasto a guardare Clem Burke dei Blondie pensando che avrei voluto essere al suo posto. E’ stato davvero frustrante. Comunque: dopo il festival [all’ICA, a quella band] hanno chiesto di fare un altro paio di concerti, e stavolta sono venuti da me e mi hanno detto: “Woody, suona tu su tutti i pezzi”. Erano tantissimi anni che non suonavo quelle canzoni… E il pubblico per cui abbiamo suonato è stato fantastico! Ed erano davvero delle bellissime canzoni. Così abbiamo fatto circa sei o sette concerti. E alcuni di noi ne avrebbero voluto fare ancora altre. E a questo punto mi sono ricordato che [con Bowie] non avevamo mai suonato dal vivo 'The Man Who Sold The World', non eravamo mai andati in tour perché in quel periodo ci eravamo separati. Ne avevamo fatte solo due, The Supermen e The Width Of A Circle, da quell’album, durante il tour di Ziggy. Ho telefonato a Tony Visconti e gli ho detto: “Ho avuto quest’idea di fare queste canzoni dal vivo…” E lui ha detto subito: “Sì”. “Ma non ti ho ancora neanche chiesto nulla…” E lui: “No no, lo voglio fare! Uno dei più grandi rimpianti della mia carriera è che non andammo in tour a suonare TMWSTW dal vivo”. E poi ha aggiunto: “Non vendette molto all’epoca, ma da allora ha venduto un paio di milioni di copie… Quindi sarebbe bello rifarlo. Io ci sono. Dimmi quando”. Così abbiamo organizzato 4 concerti lo scorso settembre [del 2014, n.d.r.], a Londra, a Sheffield, e a Glasgow mi pare… Tony aveva lavorato con Glenn Gregory degli Heaven 17 e ha detto: “E’ un cantante favoloso, lui lo può fare”. Così abbiamo fatto entrare Glenn e abbiamo iniziato a provare… Fin dalla prima prova ci siamo buttati su The Width Of A Circle… Tony era appena sbarcato a Londra. In teoria avrebbe dovuto avere un giorno di riposo per superare il jet-lag ma non se l’è preso, è venuto direttamente alle prove e ha chiesto: “Allora, che si suona?” E noi: “The Width Of A Circle”. Così si è subito unito a noi, e alla fine ci siamo messi tutti a ridere: era come se l’avessimo suonata il giorno prima. Però aveva un suono più moderno. E poi abbiamo fatto [questo secondo tour] che è finito a luglio [2015].
Con voi c’erano anche Steve Norman (Spandau Ballet) e la figlia di Mick Ronson.
Sì. E ognuno è stato bravissimo. Credo che la gente ami davvero tanto quei primi album [di Bowie]. E molte di quelle canzoni non erano mai state suonate dal vivo da nessuno. Poi noi abbiamo suonato anche qualcosa di 'Hunky Dory', 'Ziggy' e 'Aladdin Sane'. E c’era gente che non le aveva mai sentite fatte dal vivo. Voglio dire: tra il pubblico c’erano ragazzini di 16 anni che avevano quegli album e li hanno portati per farceli firmare. Dicevano: “Questi sono i nostri dischi preferiti”. E c’era anche gente di 65 anni… E’ stato fantastico. Così, quando siamo arrivati a Shepherd’s Bush lo scorso anno, suonavamo così bene che abbiamo deciso di registrarlo. E’ questo il motivo per l’album [il CD degli Holy Holy 'Live The Man Who Sold The World!']. E’ stato affascinante. In particolare TMWSTW io non avrei mai pensato che fosse un album da “singalong”. Non avrei mai pensato che un pubblico avrebbe cantato le parole di All The Madmen o di alcune delle canzoni più “dark”. Ma si sono messi a cantarle come se fossero delle canzoni pop.
Bowie stesso in qualche modo vi ha supportato: sul suo sito web ha costantemente pubblicizzato le vostre date. Ma tu sei rimasto in contatto con lui da quel fatale 3 luglio 1973?
Sì, l’ho rivisto [nel 1976] durante la registrazione di 'Low', in Francia, allo Chateau. Io ero in tour in Europa. Ho telefonato a Tony e gli ho chiesto: “Che combini?” E lui “Sono con David. David dice se ti va di fare un salto”. Così sono passato allo studio di registrazione e ho passato la serata lì. E in seguito, ero in tour con Joe Elliott e Phil Collin dei Def Leppard e Trevor (Bolding), stavamo facendo un tour, e Bowie era in tour con il Reality Tour. Era il 2003. Lui mi ha mandato un messaggio dicendo: “Se vuoi venire al concerto…” Così siamo andati a vederlo a Dublino e ci hanno assegnato il palco reale – non so se hai in mente il Muppet Show… - eravamo un po’ come i Muppets, affacciati dal palco reale: “Chi è questo tipo? E’ spazzatura! Cacciatelo via! Ha ha!” Avremmo dovuto incontrarlo dopo il concerto ma abbiamo fatto un po’ di confusione – forse avevamo bevuto troppo – e alla fine non ci siamo trovati. Credo che lui non ne sia rimasto troppo contento. Dopodiché ci sono state conversazioni [telefoniche], è tutto quello che posso dire ha ha! Siamo rimasti in contatto principalmente attraverso Tony, o attraverso la persona che cura il suo sito web, che conosco molto bene. Principalmente attraverso messaggi email e attraverso i manager.
Che dici, potrebbe venire a fare l’ospite d’onore a un concerto degli Holy Holy?
Con David non si può mai sapere. Potrebbe decidere di venire in un posto fuori dalle rotte e dire: “ho pensato di cantare un paio di pezzi con voi”. Lo potrebbe fare. O potrebbe non venire mai. E’ imprevedibile.
State pianificando altri concerti della band, magari anche in Europa o in Italia?
Sì, stiamo cercando di venire in Europa a essere sincero, vogliamo venire in Europa. Stiamo cercando un promoter che possa essere unico per tutta Europa, senza dover avere un promoter per un Paese e un altro per un differente Paese. Ne abbiamo uno per l’America e un altro per Australia e Nuova Zelanda mi pare. Ma non abbiamo ancora fissato nulla, è un momento di trattative. Ma vogliamo continuare. Di base vogliamo portare [lo spettacolo] in giro per il mondo. Perché la band è andata sempre migliorando, è diventata così brava… a un livello che non avrei mai immaginato. Tutti – come dire … - si fanno un culo così…! E’ buffo perché sono tutti fan della musica, oltre a essere dei grandi musicisti. Ma sono anche fan, così ottieni due elementi: hai un fan che sa davvero suonare bene, che è una gran bella cosa. Ma scrivilo nell’articolo: se c’è un promoter interessato si metta in contatto con noi.
(In loving memory of David Robert Jones - David Bowie: London, 8 January 1947 – New York City, 10 January 2016)
Articolo del
02/02/2016 -
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