L’ultimo ventennio della musica italiana è stato contraddistinto da un’apparente varietà di interpreti che tra hit estive e tormentoni invernali, hanno catalizzato l’attenzione di un pubblico poco pretenzioso ed estremamente fidelizzato.
Il club degli intoccabili Jovanotti, Sangiorgi, Ferro, Pausini, cantanti che hanno ottenuto un consenso diffuso, non ha di certo lasciato il segno da un punto di vista dei contenuti espressi: sole, cuore, amore e struggimento, nulla di più. Alla ricerca del ritornello da spiaggia, di una hit facile da rimandare in loop, i parolieri italiani hanno perso lo slancio e la creatività degli anni ’60 e ’70.
Tuttavia, sembra proprio che qualcosa stia cambiando. Alcuni (pochissimi), sono riusciti a scalare le vette dell’indie giungendo alle radio che li hanno consegnati al pubblico mainstream, oggi molto più aperto rispetto al passato. Un processo lungo, supportato dalle piattaforme di streaming (Spotify, Deezer e YouTube).
Alcuni negli ultimi tempi hanno avuto il merito e la fortuna di compiere il salto: dai club di provincia ai palinsesti radiofonici nazionali. Viaggi in treno, palchi polverosi e tanta dedizione per questi artisti che girano l’Italia da Nord a Sud, predicando buona musica, sovvertendo il trend dettato da interpreti impettiti e patinati che ormai non hanno più nulla da dire. Lo si sente e lo si avverte. Si sta chiudendo un ciclo.
E poi c’è Calcutta. Edoardo D’Erme, alias Calcutta, nasce 26 anni fa a Latina. Avvolto da un’apparente aura naif, con testi efficaci e arrangiamenti lineari, mira dritto al bersaglio, entrando nelle esperienze, nell’intimità e nelle vite dei giovani cresciuti a cavallo tra gli anni 90 e oggi. Ne sono successe di cose in questo arco di tempo: la crisi, la smania narcisistica innescata dai social network; elementi che hanno segnato il vissuto di una generazione destabilizzata e destabilizzante agli occhi degli over 50.
La provincia asfissiante, allietata da serate trascorse con gli amici di sempre, appese in un limbo tra il niente e il tutto assoluto. Frosinone, Pomezia, Gaetano, sono i brani che più rappresentano questi scenari, dove lo stupore si nasconde dietro la coltre spessa della quotidianità. Una routine grigia e monotona, interrotta da piccoli scampoli di felicità. Ma attenzione, a volte, basta aprire il giornale per sentirsi parte del mondo.
“Apro il giornale e c’è Papa Francesco e il Frosinone in Serie A” (Frosinone) La consapevolezza di chi sa di vivere in un luogo culturalmente ameno ma pieno di ricordi e affetti. L’ amico che ti fa riflettere per ore con una frase svogliata, buttata lì. La piazza deserta, palcoscenico di aneddoti e partire di pallone. “Gaetano mi ha detto che viviamo nel ghetto, Suona una fisarmonica e fiamme nel campo rom, tua madre lo diceva non andare su YouPorn per lasciarti andare”(Gaetano)
Adolescenze solitarie, respinte che fioriscono e mostrano tutte le sfumature che non hanno potuto mettere in mostra negli anni dell’emarginazione. L’universitario stropicciato, la matricola disorientata dalla night life e dai chupitos a un euro della città, sono questi i protagonisti delle storie di Calcutta. I bioritmi confusi dello studente fuori sede, del lavoratore part-time che non riesce a stare al passo con i ritmi dettati dai grandi centri urbani che fagocitano tempo e linfa vitale.
“Vado di corsa ma no so il perchè” “Ti chiedo scusa per l’appartamento e la rabbia che mi fa, Non ho lavato i piatti con lo Svelto e questa è la mia libertà”(Frosinone) Il distacco, la distanza, la ristrettezza economica dei giovani trasferiti nelle grandi città come Roma, Torino Milano, che Calcutta paragona alla corsia di un ospedale.
“Scusa, io non voglio fare male ma Milano è una corsia di un’ospedale”(Milano) Edoardo D’Erme, riesce a descrivere la bellezza e la decadenza di Milano in una sola frase. La città del sogno che forse non si realizzerà mai. Un perenne assaggio di glorie caduche e illusorie. “Mainstream”, l’album d’esordio di Calcutta, è un piccolo album di fotografie più o meno ingiallite che ricordano gli habitat del cantautore che, dopo aver fondato e sciolto diversi gruppi, ha finalmente trovato la sua dimensione da solista.
L’educazione filoborghese impartita da genitori che hanno già dimenticato la festa degli anni 60, impantanati tra i clichè di una società che li ha rigettati con un ghigno insieme agli ideali di quell’epoca.
“Salutami tua mamma che è tornata a Medjugorje, e non mi importa niente di tuo padre ascolta De Gregori” Storie d’amore logoranti che si accendono, si appagano e lasciano segni che fanno da monito per il futuro. Passione, litigi, convivenza, addii in stazione. “Tu vestiti da Sandra che io faccio il tuo Raimondo Ti presterò i miei soldi per venirmi a trovare” (Del Verde) “E non mi importa se non mi ami più, e non mi importa se non mi vuoi bene, vorrei soltanto reimparare a camminare, se non ci sei più con me” (Cosa mi manchi a fare)
Mainstream, l’album d’esordio di Calcutta, si articola in 11 brani. Ermetici, essenziali, immediati, descrivono non luoghi, stazioni, appartamenti abitati da fuori sede distratti che non vanno mai a lezione, che si crogiolano tra i fumi dell’insoddisfazione, tra il precariato lavorativo e sentimentale. “Tu spremi limonata e non ce la fai più. Tu giri l’insalata e non ce la fai più….” (Limonata)
Espressivo, empatico, riesce a catalizzare l’attenzione del pubblico con naturalezza, senza effetti nè sproloqui populistici pluridirezionali. Le atmosfere descritte nei brani prendono vita attraverso la voce del cantautore di Latina che dimostra una vocalità duttile e profonda in ogni sua espressione. Note alte quelle di Calcutta che sale in do facendo brillare i quadri sonori che dipinge con la voce.
Edoardo spreme la realtà, ne coglie l’essenziale e lo celebra. Forse è presto per capire quale possa sarà il ruolo di Calcutta nel panorama musicale nazionale. Godiamoci questo fantastico album, nella speranza di ascoltare nuovi brani di questo cantautore. (in collaborazione con https://blogstermind.wordpress.com)
Articolo del
31/01/2017 -
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