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A quattro anni dall'esordio 'E forse sono pazzo', e a tre da 'A ritrovar bellezza' - raccolta di cover interpretate durante la collaborazione con la trasmissione TV "Che tempo che fa" -, torna Diodato con un nuovo album d'inediti. Il 27 gennaio è uscito su Carosello Records 'Cosa siamo diventati', un lavoro nel quale la verve epica e rock del cantautore aostano (ma cresciuto a Taranto e poi romano d'adozione) riemerge prepotente, lasciando però anche spazio alla melodia e a momenti di estrema dolcezza. L'occasione per scambiarci due chiacchiere è il kick-off del tour che, in questa prima fase, lo terrà impegnato per tutto il mese di febbraio.
Come ti sei ritrovato nel passaggio dalla dimensione minimale a quella rock?
Benché siano due lavori molto diversi, quest'album è stato parecchio influenzato da 'A ritrovar bellezza'. Il mettere mano a quei capolavori della canzone italiana, e reinterpretarli, ha avuto per me un peso sulla stesura del nuovo materiale. Ad ispirarmi è stata la leggerezza di quei pezzi, e con leggerezza non intendo superficialità ma capacità di toccare le corde più profonde con parole semplici. E' questo il filo che - credo - lega i due lavori. Poi certo qui vengo fuori un po' di più io, l'anima rock mi appartiene e volevo comunque che il nuovo disco mi rappresentasse appieno.
Un'anima rock evidentemente figlia di ascolti come Afterhours e Radiohead, tanto per dire. L'opening Uomo fragile sembra scritta da Agnelli.
Pensa che è il pezzo preferito di Manuel. E comunque hai citato due gruppi che amo tantissimo. Ma quando si fanno cose proprie tutto quello che ascolti, volente o nolente, esce fuori. Molte influenze sono completamente involontarie, vengono da ascolti anche comuni alla band in qualche caso. O dalla necessità di esprimere le cose in una determinata maniera, e allora è quella che detta la direzione.
Tra l'altro sul disco suona Fabio Rondanini (attuale batterista degli Afterhours, ndr).
Sì e su una buona metà dei brani. Ci conosciamo da tanti anni e abbiamo fatto un sacco di cose insieme, per questo ci tenevo che alcuni pezzi fosse lui a suonarli. Tra l'altro sono quasi tutti registrati in presa diretta, con basso, batteria, chitarre e tastiere in una stanza e io dall'altra parte a cantare. E' un approccio che Fabio conosce bene, è abituato a lavorare così, e mi sembrava interessante portare lo stesso metodo nella mia “famiglia” musicale.
Nella scrittura dei brani, comunque, parti sempre da un approccio intimo?
Direi di sì, scrivo sempre in solitudine, chitarra e voce, per poi sottoporre le idee agli altri e arrangiarle full-band. Mi fido molto di loro visto che ormai è tanto che lavoriamo insieme.
Perché come titolo dell'album hai scelto una domanda che potrebbe essere anche una risposta?
'Cosa siamo diventati' è anche il titolo di uno dei brani. All'inizio non era questa l'intenzione ma poi riascoltando tutte le tracce alla fine delle registrazioni ho potuto avere una visione d'insieme e ho pensato che quel titolo rappresentasse bene il senso di tutto il lavoro. E poi il brano parla di un rapporto che, giunto a conclusione, lascia in sospeso quella domanda a cui ho cercato di dare una risposta con le 12 canzoni.
C'è un filo che le lega? Sembrerebbe un concept ma non sono sicuro di aver ben interpretato.
Probabilmente il filo c'è ma è involontario. In fondo è il racconto di un vissuto, e quindi potrebbe trattarsi di questo. Molte persone mi dicono che sembra un concept, ma non era mia intenzione, non l'ho pensato così.
E' vero che lo avete registrato nella vecchia casa di Renzo Arbore?
Sì, è un'abitazione - che credo sia ancora di sua proprietà - all'interno della quale è stato realizzato uno studio. Ma c'è anche una fornitissima collezione di vinili e oggettistica varia. Eravamo circondati dalla storia della musica, dello spettacolo, dell'intrattenimento, e non potevamo non sentirci a casa. E' stato molto divertente aggirarsi per quelle stanze, nelle pause di lavoro, alla ricerca della chicca del giorno.
Quindi erano disponibili all'uso?
Beh sì, ma ovviamente dovevamo prestare massima attenzione a non rovinare nulla.
A proposito di tradizione, il 27 gennaio - oltre ad essere la data d'uscita del tuo disco - è stato il cinquantesimo anniversario della morte di Luigi Tenco. Ha avuto qualche influenza su di te?
Come si fa a non riconoscere la grandezza dell'artista che è stato...? E riconoscerla significa implicitamente subirne l'influenza, l'esempio. E' stato un innovatore, era avanti, ha cambiato il paese. Dopo di lui è iniziata una musica più impegnata, attenta, consapevole. Anche l'approccio del pubblico è cambiato.
E tra i cantautori di oggi ce n'è qualcuno che stimi in particolare?
In generale, questo è un ottimo momento per la musica italiana. Escono di continuo artisti molto bravi, magari alcuni non conosciutissimi dal grande pubblico ma interessanti, originali. Basta solo avere un po' di curiosità per andarseli a cercare, cosa che peraltro oggi non è così difficile. Uno degli autori che apprezzo di più è Giovanni Truppi, ma ce ne sono anche altri validissimi.
Articolo del
03/02/2017 -
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