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Approfittando del temporaneo stand-by dei Subsonica, Samuel lancia il suo progetto solista con un singolo, Vedrai (tra i più apprezzati dell’ultima edizione di Sanremo) e un album di dodici brani inediti, IL CODICE DELLA BELLEZZA, da lui definito «un’ode all’essere umano, “fucina di idee e disastri”, un congegno che funziona ad emozioni, che ama, odia e tradisce, che si prende e si lascia». Abbiamo incontrato il neo-cantautore torinese proprio alla vigilia di questa nuova avventura.
Mi pare che IL CODICE DELLA BELLEZZA, rispetto a quelli dei Subsonica, sia un disco più “cantautorale”. E’ una mia impressione o era proprio questa l’intenzione?
No, è un’impressione giustissima. Io nei Subsonica sono quello più affezionato alla forma canzone, perché sono il cantante e per ovvi motivi il mio linguaggio è sempre stato più portato alla scrittura di una canzone. E quindi quando lavoriamo con i Subsonica, c’è una destrutturazione della canzone per arrivare al suono di quell’insieme musicale. Da solo, io ho praticamente sostituito i miei soci con me stesso. Quindi è inevitabile che poi tutto prenda una forma più cantautorale, più verso la canzone proprio.
Hai fatto i provini in Italia ma poi sei andato a Los Angeles a registrare. Come mai? Cosa hai trovato lì che in Italia non c’è?
In realtà il motivo è che in Italia non trovavo il mio produttore, perché lui [Michele Canova ndr] vive lì. Quindi son dovuto andare per forza a Los Angeles a registrare… Io l’avrei fatto volentieri a casa perché non amo volare. Le canzoni sono state scritte quasi tutte girando per l’Italia. Tante le ho scritte a Roma, ho scritto molto a Palermo, a Venezia e ovviamente anche a Torino perché è la mia città e da qui parte un po’ tutto. Però poi quando per necessità son dovuto andare [a Los Angeles], dopo qualche giorno mi sono reso conto che quel clima, quell’aria che si respirava lì stava entrando all’interno dell’album. Io sono convinto che il luogo geografico in cui ti trovi entra a far parte della canzone, entra a far parte di quello che scrivi. Di come vivi anche mentalmente la registrazione.
Poi c’è anche un po’ di New York ne IL CODICE DELLA BELLEZZA…
Quando con Michele Canova abbiamo iniziato a scrivere le prime canzoni, lui, essendo anche il produttore di Lorenzo [Cherubini, “JovanottI”], gli ha fatto ascoltare delle cose, gli ha chiesto qualche parere. E Lorenzo si è subito appassionato a quello che stavamo facendo, mi ha mandato una mail molto carina, di apprezzamento. Abbiamo iniziato a scriverci, e questa cosa poi si è evoluta… Quando due musicisti si trovano a parlare di musica, poi è inevitabile che gli venga voglia di farla, la musica. Lui a un certo punto mi ha detto: “Io sto a New York”… E io ho preso un aereo e sono andato a trovarlo, pensando più che altro di concretizzare la nostra amicizia, nata in modo epistolare. E in realtà poi siamo entrati in studio ed è successa la magia: abbiamo scritto 5 pezzi in tre giorni, che è una cosa incredibile: 5 pezzi che poi sono finiti nell’album.
Questo è il primo disco a tuo nome. Sei da solo, adesso. Hai trovato delle difficoltà?
Be’ sì, quando mi sono messo a pensare a questo lavoro ho riscontrato una difficoltà emotiva. Perché io da sempre ho lavorato in un gruppo. Ho sempre creato in gruppo, ho sempre avuto delle dinamiche di gruppo, Stare in gruppo è bellissimo, perché ti dividi le difficoltà, e i successi arrivano a tutti in maniera uguale. Gli insuccessi invece li dividi, cioè li spezzi a metà: nessuno si riesce ad assumere la completa responsabilità di quello che è successo. E questa era la cosa che mi mancava. Con questo lavoro, anche per la mia crescita personale, anche come artista, volevo assumermi la piena responsabilità di tutto quello che usciva dalla mia bocca. E quindi è stato più complicato – sarà più complicato ed è più complicato – però in questo momento è, credo, quello che mi serve per evolvermi.
Finito il disco, adesso andrai in tour. Come l’hai pensato?
Quando io scrivo, scrivo anche pensando che quelle canzoni debbano salire su un palco. Il palco dona una seconda vita alle mie canzoni. Io mi accorgo che dopo una tournèe i miei brani sono cresciuti, sono diventati grandi. Però mi opprime un po’ l’idea di vedere Samuel senza i Subsonica intorno. Per le persone che amano i Subsonica potrebbe essere un trauma [ride ndr]. E lo sarebbe anche per me, vedendomi. Quindi mi è venuta l’idea di salire sul palco solo con un batterista, [Christian Tozzo, ndr] che suona in un gruppo di Torino, i Linea 77.
Ti sei ispirato a Jean Michel Jarre, che suona accompagnato solo da un batterista e tanti effetti speciali? Io l’avevo visto quel concerto, ma ero rimasto più focalizzato sulla musica. Anche perché loro sono molto più musicisti che intrattenitori. Mentre io ho un atteggiamento più da cantante con il microfono in mano che gira per il palco. E’ un concetto estetico abbastanza diverso.
E con i Subsonica come siete rimasti? Perché il gruppo c’è ancora…giusto?
Il gruppo c’è ancora. Siamo amici, non abbiamo litigato. Semplicemente ci ignoriamo amabilmente in questo periodo in cui ognuno di noi ha deciso di fare il proprio percorso in solitaria. Non sono l’unico, eh: anche gli altri lo stanno facendo. Andiamo in giro a raccogliere castagne per poi metterle sul fuoco tutti insieme in un futuro prossimo. Non ci siamo ancora dati una tempistica. Nella creatività la naturalezza è sempre necessaria. In maniera naturale succederà che ci rincontreremo e inizieremo a parlare di musica insieme.
Articolo del
29/03/2017 -
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