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Il 1 giugno del 2017, Sergeant Pepper’s lonely hearts club band compie 50 anni. Molti ragazzi oggi forse neanche sanno precisamente chi siano i Beatles, e la loro importanza storica nella musica, nell’arte e nella società, quindi nella storia.
Nell'evoluzione epocale di questo gruppo ognuno può additare un momento più o meno importante, in base a gusti personali, o a pseudo-analisi musicali che scoprono l’innovazione in un dato album, in una certa canzone, addirittura in un piccolo fraseggio di note. Oppure può scegliere, per sua grande vergogna e ignoranza, un clamoroso successo. In realtà, come ogni fenomeno artistico a eccezione forse delle avanguardie storiche, la ventata di innovazione che hanno portato questi quattro ragazzi nel mondo, insieme, non scordiamolo, ai loro produttori, è lenta e graduale, ma per questo inesorabile.
Sorrido sempre, e mi si scuserà lo snobismo, quando sento un artista in tv presentato come colui che ha radicalmente cambiato le cose, come l’innovatore geniale del momento; a parte l’analisi fallimentare che viene smentita in qualche anno, ciò che mi fa sorridere è la repentina scoperta del cantante di turno, che si crede innovativo solo perché dice una parolaccia, o usa un suono mai abusato, o persino mette un vestito diverso o un cappello messo in un’angolazione ancora scoperta. Le vere rivoluzioni sono sempre graduali in realtà, e pochi ne intuiscono la portata, anzi di solito la maggior parte della società le sminuisce o le condanna.
Nonostante tutto, c’è sempre un Rubicone: c’è sempre un limite, un varco, un confine che varcato rende effettiva la svolta. Cesare che varca un fiume, dei francesi che assaltano una prigione, un Martin Lutero che affigge alla porta delle tesi. Ecco, nella rivoluzione che hanno portato i Beatles nel mondo, quel giorno è il 1 giugno 1967, quando uscì Sergeant Pepper’s lonely hearts club band. E si può non essere d’accordo, per carità; e se non si è d’accordo, di solito è per due motivi. Il primo riguarda le mie stesse premesse, ovvero l’album ha una storia molto lunga, quindi mi si potrebbe dire quel particolare giorno in cui John Lennon o Paul McCartney decisero di cambiare quel particolare accordo, o scrissero quel particolare pezzo; perfetto, ci può stare, ma la portata innovativa di tutto l’album ha il suo effetto da quando il pubblico di tutto il mondo può ascoltarlo, cioè: non si può cercare il momento magico dell’ispirazione, ma quando questa viene comunicata sì, ed è quello il vero momento culmine. La seconda obiezione può riguardare la scelta dell’album in sé dei Beatles, e allora bisogna rispondere all’analisi che segue.
Mao direbbe che la rivoluzione è sempre un atto di violenza. Ebbene si sbagliava: a volte è un atto di non violenza, e nell’arte ci sono vari esempi, ma anche nelle rivoluzioni sociali. Certo la violenza in qualche modo c’è sempre, se si intende un senso allargato di essa, che vede la forzatura di convenzioni sacre, violentate al fine di ottenere uno scopo ben preciso: il cambiamento. In questo tipo di violenza anche Sergeant Pepper’s rientra a pieno, una violenza pacifista, una rivoluzione artistica.
Detto questo, parte tutto dalla musica: la bellezza dell’album intero e di alcune delle canzoni è la prima vera innovazione. La svolta consiste prima di tutto nel tentativo di rendere la popular music un genere alto grazie alla struttura e alla fantasia, quindi di eguagliare la musica classica rimanendo però popular music, e in questo caso rock. Ogni genere della popular music d’altronde non ha bisogno di altro per acquisire valore, ma all’interno delle sue dinamiche se ne può fare di alto livello e di basso livello. Successe già nel jazz, se lo si vuole considerare popular, ma anche nel tango, nella canzone d’autore e in numerosi altri generi. Non si può però affermare con certezza che fino al 1967 fosse successo nel Rock. Sì, nel rock ‘n’ roll alcuni lampi di freschezza di Elvis o Chuck Berry… ma il rock era altra cosa, e proprio con quest’album se ne può sancire la nascita.
Forse alcune avvisaglie c’erano già state: da parte degli stessi Beatles, o esperimenti di Beach Boys e Jefferson Airplane. E stavano nascendo allora Pink Floyd, Genesis, Doors, Led Zeppelin e tutti gli altri grandi nomi; è solo un caso che nascano in questi anni? Ma non è corretto dire che siano stati i Beatles a inventarlo, piuttosto il contrario, ovvero: sono stati gli altri che l’hanno finito di inventare sul modello del pop beatlesiano, e i Beatles ne hanno colto immediatamente le componenti fondamentali e hanno creato il capolavoro che ne sancisce lo spartiacque. Ecco il primo discrimine storico importante per passare al capolavoro in sé.
Partiamo dalle canzoni, perché bisogna in realtà sempre partire dalle canzoni. E qui nasce un primo problema, più o meno per la prima volta: si possono scindere le canzoni dal concetto dell’album intero, cioè dal concept album? Ecco, perché per chi non ne sapesse proprio nulla, questo è considerato se non il primo concept album della storia della musica, almeno il primo definitivo. Significa che le canzoni incise su un disco non sono una mera raccolta tenuta insieme da uno stesso sound o da una vaga tematica comune, ma costituiscono un’opera unica, pur rimanendo piccole opere separate che hanno senso anche da sole. Quest’opera non è palese come in un melodramma, o come in quelle che poi saranno le cosiddette opere Rock, anche se quest’ultime vengono considerate una forma estrema di concept album (Tommy degli Who, Dracula della PFM o Metropolis pt. 2 dei Dream Theater per citare pochi esempi di un repertorio sconfinato).
La storia all’interno del concept non è lineare quindi, ma alcune fila la mantengono ben salda, e la difficoltà di cui parlavo riguardo la discussione sulle singole canzoni comincia subito, perché proprio il primo pezzo di Sergeant Pepper’s lonely hearts club band si chiama come l’album, rappresenta un’introduzione fortemente strutturale a tutta l’opera, e in più ha un collegamento con la penultima traccia che si chiama allo stesso modo più la dicitura (reprise), a concludere la cornice del disco prima della gloriosa conclusione.
Giusto per fare una parentesi artistico-sociale, già solo la dicitura “reprise” diventerà il termine per eccellenza denotante una ripresa di uno stesso tema all’interno di un’opera, non solo rock. Come se non bastasse, la canzone non ha stacchi con la successiva, il che rende tutto molto omogeneo. Altra difficoltà che è il caso di introdurre ora, è quella di non poter parlare di alcuni assenti illustri: voglio dire che nonostante sia un concept c’erano molti candidati a far parte dell’album, magari poi scartati per ragioni commerciali o di spazio. E i candidati di quel periodo si possono rintracciare nel film Yellow submarine, cartone animato con gli stessi Beatles protagonisti, e la cui trama non ha niente a che vedere con il filo conduttore dell’album, nonostante esista una Band dei Cuori Solitari del Sergente Pepe, e alcune canzoni vengano cantate per l’occasione. È quindi un’operazione inversa quella che si deve fare, cioè vedere quanto delle idee scaturite in quel periodo e funzionali per l’album hanno preso un’altra strada. Per quanto anche canzoni come Hey bulldog! possano costituire materiale buono per Sergeant Pepper’s, sono principalmente due gli illustri assenti: Yellow submarine e All you need is love, scartate, diciamolo fin da subito, soprattutto per motivi commerciali: entrambe hanno raggiunto la prima posizione nella classifica dei singoli in Gran Bretagna e in molti paesi del mondo, e a quell’epoca inserirle nell’album avrebbe significato dare una battuta di arresto al fenomeno commerciale.
Ragioni artistiche sono semplici anche da rintracciare per Yellow submarine: una canzone cantata da Ringo Starr c’è già in Sergeant Pepper’s, e ha un valore forte e programmatico all’interno dell’opera; inserirne un’altra, con questa portata esplicita di gioco, avrebbe significato spostare il senso di tutta l’opera su qualcosa che assomiglia molto al film, e la Band dei Cuori… sarebbe diventata band che suona in un sottomarino. Più difficile trovare una giustificazione all’esclusione di All you need is love: si possono azzardare ipotesi anche qui di significato, ma non ne vedo di convincenti; lo stile è perfettamente conforme all’album; per quanto risulti composta timbricamente come un inno, i suoi tempi strani non l’avrebbero certo eletta a canzone manifesto, e se questo rischio c’era, la si poteva mettere al centro, dove manca una canzone forte dal punto di vista dell’esplicitazione artistica; perciò mi sembra più plausibile che la sua assenza sia dovuta più a fini commerciali che altro, ma noi dobbiamo studiare l’album che è nella sua fenomenologia, e non per quello che sarebbe potuto essere. Quindi perché ne sto parlando? Perché l’assenza di una così chiara manifestazione verso l’amore libero che sarà tipico del ’68, salva Sergeant Pepper’s dal diventare il semplice inno di una generazione, per essere soprattutto opera musicale a sé stante, fuori dal tempo per molti versi, anche se perfettamente inserita nella sua epoca; il compito di diventare un inno allora andrà alla sola All you need is love, ed avrà tutto il fascino di quelle canzoni che diventano generazionali nonostante non siano semplici, come We are the champions dei Queen.
Quindi il concept album inizia con la canzone eponima, anche se comincia con qualcos’altro, qualcosa che credo si fosse sentito solo su album live fino a quel momento: il pubblico. Con un mormorio di un finto pubblico, che evidentemente assiste alla performance del Band dei Cuori Solitari del Sergente Pepe. Durante il bridge orchestrale del pezzo si sentiranno risate e altri mormorii, e alla fine gli applausi, che collegano direttamente alla traccia successiva anche tramite un piccolo coro di tre battute, che non si sa bene dove collocare strutturalmente, se alla fine del primo pezzo o all’inizio del secondo. Per quanto riguarda la struttura dell’album potrebbe bastare questo a renderlo innovativo. E invece diciamo subito che anche la terza traccia sembra molto unita con la seconda anche se niente di così evidente. Poi c’è la parte centrale, quella costituita dalle canzoni che potrebbero stare in un altro album, ma che sono qui, e quindi ricevono senso anche dalla macrostruttura in cui sono inserite. Ciclicamente gli ultimi tre pezzi chiudono il concept, perché collegati proprio come i primi tre, non in maniera banalmente simmetrica, ma con un sistema che mescola le corrispondenze per sottolineare i valori diversi di ogni brano nell’economia del concept. Alla n.1 Sergeant Pepper’s… corrisponde la penultima Sergeant Pepper’s (reprise), mentre la n.2 With a little help from my friends cantata da Ringo Starr e la n.3 Lucy in the sky with diamonds di John Lennon (per modo di dire, sappiamo infatti che le canzoni venivano quasi sempre firmate Lennon-McCartney, anche se scritte da uno dei due, ma spesso sappiamo la vera paternità come in questo caso) si possono opporre rispettivamente alla terzultima Good morning good morning e all’ultima A day in the life, entrambe cantate principalmente da John Lennon. La preponderanza di John Lennon come cantante e forse come compositore in queste fasi cruciali, fa da contraltare al fatto che il progetto dell’album è notoriamente di Paul McCartney. Comunque di queste considerazioni sul senso della struttura interessa qui solo per inquadrare la prima canzone nel senso palese del concept, anzi nel senso subito dopo il palese, quindi a una prima fase interpretativa, che è poi la base su cui si instaurano i pezzi che con i loro significati partecipano del tutto (segue seconda parte)
Articolo del
09/05/2017 -
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