Anna Gandolfi, fiorentina di nascita e da qualche tempo residente a Los Angeles è diplomata in violino alla scuola di Musica di Fiesole e si è trasferita negli Stati Uniti per specializzarsi in Music Business. Il tema “Case discografiche e Music Business” è da sempre argomento scottante tra i musicisti, chi sostiene che alcuni generi musicali non vengano mai presi in considerazione, chi invece sostiene che il business ucciderà la musica…ma firmare un contratto discografico può essere ancora un’opportunità per un gruppo o artista emergente?
Hai una pagina Facebook molto attiva sulla quale pubblichi vari video. Spiegaci di cosa si tratta Mentre vivevo qua a Firenze mi sono accorta che non sapevo quasi niente di diritti musicali e case discografiche e, come me, molte band e artisti emergenti. Da quando vivo a Los Angeles, invece, ho iniziato ad interessarmi molto a questo argomento. Il punto fondamentale è che, negli ultimi anni, con l’avvento dei social media, anche le case discografiche si sono convertite a questo tipo di mezzo di diffusione, ed essendo un mezzo perfettamente accessibile a qualsiasi tipo di utente le stesse etichette non offrono servizi particolarmente innovativi e, dato che il loro guadagno è tendenzialmente diminuito, arrivano spesso ad offrire contratti molto svantaggiosi per l’artista o il gruppo di turno. Sulla mia pagina Facebook tratto quindi di come funziona il mondo del Music Business, cercando di dispensare alcuni consigli per i nuovi musicisti e spiegando come funziona l’economia della musica in generale
Come si sono evolute le case discografiche negli ultimi anni? Che ruolo ha avuto lo sviluppo tecnologico in tutto ciò? Le case discografiche, come approccio, sono rimaste più o meno invariate. Se fino a qualche anno fa le radio erano il tramite principale per cui una canzone poteva avere successo, ora invece è determinato dallo streaming, in cui gli utenti hanno un ruolo molto più preponderante, e le etichette hanno così meno potere. Fondamentalmente il modus operandi delle case discografiche è rimasto pressoché immutato, ma con guadagni molto minori in quanto lo streaming permette all’utente di ascoltare la musica prodotta senza per forza essere obbligati all’acquisto. Si giunge quindi a dei contratti molto restrittivi come il contratto a 360°, dove la casa discografica guadagna su tutto quello che fai e produci (concerti, pubblicità, merchandising… ndr). Esiste una nuova casa discografica che a parer mio è perfetta per l’era digitale: se le altre non si sono molto aggiornate per l’epoca in cui viviamo, AWAL è nata ad-hoc per le esigenze smart che caratterizzano gli ultimi anni
Credi che attualmente ci siano generi musicali in cui le case discografiche preferiscono nettamente investire? Tendenzialmente si. Si sente spesso dire ultimamente che il rock è morto, anche se non sono del tutto d’accordo. A livello di popolarità è innegabile che al primo posto ci siano il Pop e l’ R’n’B seguiti dal Rap e i suoi sottogeneri. La popolarità in questo caso va, ovviamente, di pari passo con gli investimenti delle case discografiche
Cosa pensi dei “talent Show” musicali televisivi? Credo che i talent show abbiano diverse parti negative ma anche molte positive, ecco perché mi risulterebbe difficile parlarne male. Non è un aspetto negativo il fatto di dare un’opportunità di notorietà musicale a chi non ne ha mai avuta, in tanti vanno alle selezioni con l’intenzione “o la va o la spacca” e, ogni tanto, qualche talento effettivamente riesce ad arrivare fino in fondo. L’aspetto principalmente negativo è quello riguardante i contratti che le case discografiche fanno firmare a questi artisti: arrivano fino a fargli dichiarare a stampa e tv quello che vogliono loro o, ancora, ritagliano le parti di video in trasmissione nelle quali è andato in onda e le assemblano a loro piacimento. Dipende dalla popolarità che hanno deciso debba avere un determinato artista
Negli ultimi anni hanno riscontrato molto successo, sia a livello nazionale che mondiale, cantanti rap e trap. Cos’è, secondo te, che attira così tanto di questo genere? Bisogna intanto fare una distinzione di generi. Il Rap a cavallo tra gli anni ‘90/’00 di Eminem, 2Pac, 50Cent parlava di argomenti soprattutto politici e sociali. Il genere che “va più di moda” ultimamente e la Trap che, invece, parla di soldi, di potere, di divertirsi, di donne ecc… Credo sia molto apprezzato in quanto parla di quello che la gente vuole. Anche io mi sono chiesta più volte come fosse possibile che avesse fatto molto successo, ad esempio, Eminem che ha trattato di argomenti anche profondi con una “melodia” che li accompagnava, mentre adesso nella Trap (anche se come genere nasce a metà degli anni ’90 nei sobborghi delle grandi città americane, ndr) la melodia è pressoché inesistente e gli argomenti sono molto diversi. Allo stesso tempo però è un genere che fa divertire la gente, quindi il consenso del pubblico è da ricercare principalmente in questo
Oltre ad occuparti di case discografiche sei anche una violinista. Come si pongono gli strumenti classici, e la musica che ne deriva, nel mondo musicale moderno? C’è un divario abbastanza grosso fra il mondo classico e il resto della musica, sono come due binari che non si incontrano. Questa divisione è forse da ricondurre, però, ad una chiusura mentale da parte sia dei musicisti classici che degli altri, e questo fa in modo che questo genere non sia così conosciuto. Ritengo che un qualsiasi buon musicista sia quello che riesce a cogliere quello che c’è di qualità in ogni genere
Da qualche tempo sei residente a Los Angeles. La visibilità di band ed artisti emergenti è molto diversa dalla realtà italiana? Los Angeles, in particolare, è la patria dell’intrattenimento e di conseguenza ci sono molte più possibilità: non è raro che uscendo e andando in un pub trovi un produttore importante. Allo stesso tempo, però, c’è anche molta competizione tra gli artisti. La differenza sostanziale con gli italiani è la consapevolezza. Se gli ultimi sono rimasti un po’ “all’antica”, negli U.S.A. i musicisti sono consci del fatto che, ultimamente, ci si può produrre e promuovere anche da soli. Conosco diverse persone a L.A. che usano AWAL, l’app di cui parlavo prima, per produrre la propria musica e farsi un nome, e alcuni di loro effettivamente hanno raggiunto un pubblico notevole
Articolo del
18/01/2019 -
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