Un trio che fonde stoner, rock sperimentale con una forte componente di blues classico. Sono queste le caratteristiche dei Domovoi, gruppo romano di recente nascita che ha recentemente pubblicato il disco dal titolo omonimo per l’etichetta Filibusta Records.
I membri che fanno parte di questo progetto, ovvero Daniele Failla alla Slide guitar, chitarra elettrica e voce, Matteo Failla alla batteria e voce e Valerio Cascone al Basso sono da tempo attivi nella scena indipendente romana. Daniele Failla ha raccontato ad Extra Music Magazine come è nata questa avventura…
Buongiorno ragazzi e bentrovati su Extra Music Magazine. Per cominciare l’intervista volevamo chiedervi subito cos significa per voi il nome della band “Domovoi”… Ha a che fare con qualcosa di mitologico forse? Sì esatto, ma non la mitologia classica, bensì quella slava. Il Domovoi (in russo Domovoj) è uno spiritello domestico che viveva tra le mura di casa e aveva il compito di vigilare sull’unità familiare. Sebbene minore, questa divinità veniva tenuta molto in considerazione soprattutto dai contadini e per lui erano regolarmente previste offerte in cibo e addirittura avevano il dovere di invitarlo a trasferirsi con loro nel caso la famiglia avesse cambiato casa All’inizio non sapevo cosa fosse un Domovoi, quel nome mi piaceva e basta. È preso da un personaggio di un videogame con cui giocavo nel periodo in cui ho iniziato a scrivere i primi riff con la slide e ho pensato che mi sarebbe piaciuto come nome per una band. Il fatto curioso è che poco dopo averne scoperto il significato mio fratello è entrato nel progetto, a quel punto ho capito che era il nome giusto.
Parliamo ora del disco: abbiamo notato tante influenze e una chitarra slide davvero molto presente. Vi va di descriverlo brevemente ai nostri lettori? La slideguitar è, in qualche modo, il nucleo dei Domovoi. Tutti i riff sono stati scritti con questa chitarra e possiamo dire che abbiamo costruito il nostro sound intorno alla slide e questo probabilmente è quello che ci caratterizza di più. I nove brani che compongono il disco attraversano, fondendoli tra loro, quasi tutti i generi musicali che amiamo. In ogni brano spicca un’influenza diversa più o meno marcata. Per fare qualche esempio Randall Graves è un brano decisamente stoner, mentre Come ieri, soprattutto nei ritornelli, ha un suono anni ’90 che richiama Seattle. Marinetti nella strofa può ricordare il funky sporco e acido dei Red Hot Chili Peppers e Un blues parla da sé già dal titolo. In generale ascoltiamo molta musica italiana e straniera di diversi generi e diversi periodi, ma nel disco le influenze maggiori arrivano da Ben Harper, Jack White, i Queens of the Stone Age, i Nirvana e sicuramente i Verdena mentre il blues è quasi una costante. Abbiamo cercato di unire tutto quello che ci piaceva di più dei nostri artisti preferiti in qualcosa di nostro, non abbiamo cercato l’originalità a tuti i costi, abbiamo voluto fare un disco sincero che in primis piacesse a noi
Tutti voi siete molto attivi in diverse situazioni live che ruotano nella capitale. Volete raccontarci la vostra storia e soprattutto come siete arrivati a questa line up finale? Io e Matteo abbiamo sempre frequentato la scena indipendente romana facendo parte di progetti musicali diversi, ma è capitato più di una volta di condividere il palco, naturalmente con lui è stato semplice parlare del progetto e coinvolgerlo, visto che è mio fratello. Abbiamo iniziato ad esibirci in duo, più avanti abbiamo allargato la formazione stabilendoci come power trio, ma non riuscivamo a trovare un bassista fisso e anche per registrare il disco abbiamo chiamato un nostro amico ad incidere le parti. Valerio lo abbiamo conosciuto a Roma in uno dei tanti locali dove lavora come fonico e una volta gli abbiamo dato il nostro demo perché cercava gruppi per alcune serate. Avevamo saputo che suonava il basso e che al momento non era impegnato con nessuna band e quando ci siamo rivisti per parlarne si è mostrato così entusiasta dei brani che gli abbiamo chiesto di unirsi a noi per qualche prova e da lì è diventato il terzo membro dei Domovoi
Molto spesso le band soprattutto nel rock decidono di cantare in inglese: perché la scelta invece di cantare in italiano? E’ forse legato ad un’esigenza di far capire cosa si vuole comunicare al pubblico? Arrivare al pubblico in maniera diretta è importante e sicuramente è più semplice cantando in italiano. Quello che si vuole dire nelle canzoni viene recepito subito anche da chi magari capita per caso ad un nostro concerto e non ci conosce. Al contrario cantando in inglese la componente del messaggio, almeno nel live, tende a perdersi se il pubblico non conosce le canzoni. Ma la scelta dell’italiano è sempre stata naturale. Musicalmente le nostre influenze guardano più all’estero, ma abbiamo sempre ascoltato molta musica italiana di qualsiasi genere, dalla tradizione cantautorale al rock della nostra generazione e indubbiamente nei testi ci ispiriamo più ad artisti come gli Afterhours o i Ministri, che ai Pearl Jam
E visto che ci siamo quali sono i temi e gli argomenti di cui parlano le vostre canzoni?< La maggior parte delle canzoni parla di relazioni, ma ognuna lo fa in maniera differente. Qualunque scelta racconta la fine di una storia e la voglia di riprendere in mano la propria vita, Superficiale invece parla di chi vede il lento tracollo della sua relazione e reagisce trovando rifugio nei fumi dell’alcool mentre Un blues descrive il momento in cui tra due persone è il momento di capire se c’è davvero la volontà di costruire qualcosa o si stava solo giocando. Marinetti e Randall Graves affrontano tematiche diverse, in un certo senso più leggere: la prima è un ritratto grottesco del padre del futurismo, mentre la seconda è un dialogo immaginario tra i due protagonisti del film Clercks. In generale possiamo dire che cerchiamo di raccontare storie, o meglio episodi presi dal nostro passato e dal nostro presente, vissuti in prima persona o in maniera indiretta, ma che comunque ci hanno lasciato qualcosa
Sappiamo che per registrare questo disco c’è stato dietro un lungo lavoro in studio. Come è andata questa esperienza ce la volete raccontare? La realizzazione di questo disco è stata lunga e meticolosa, non abbiamo lasciato nulla in sospeso e non ci siamo mai accontentati, abbiamo lavorato fino a che ogni brano fosse esattamente come volevamo sotto ogni punto di vista, ma questo indubbiamente ha richiesto molto tempo. Sotto la guida di Maurizio Lollobrigida che ha registrato il disco ed ha svolto il ruolo di produttore artistico, abbiamo lavorato affinché il suono del disco avesse un carattere vintage, volevamo che i suoni risultassero il più possibile naturali. Tra i nostri modelli ci sono i dischi dei Raconteurs, dei Them Croocked Vultures, dei Queens of The Stone Age e forte è stata l’influenza dei lavori di Steve Albini. Per ogni brano c’è stata un’accurata scelta dei microfoni e del loro posizionamento e anche la batteria subiva continuamente modifiche negli elementi che la componevano e nelle accordature, tutto per trovare il suono più adatto al pezzo che stavamo registrando. L’obiettivo era bilanciare al meglio i suoni in fase di registrazione così da non dover intervenire troppo durante il missaggio. Le chitarre hanno richiesto una mole di lavoro enorme, ma probabilmente il risultato è andato oltre le nostre aspettative. Per ogni traccia abbiamo cercato il suono giusto in maniera maniacale e in alcuni casi abbiamo usato anche sette microfoni contemporaneamente per mantenere intatte tutte le sfumature sonore e le armoniche della slide. Tutte le tracce sono state registrate ad Officine Zero ad eccezione di Un blues. Volevamo un suono che rievocasse i vecchi blues anni ’40 e così abbiamo deciso di registrarla a casa in presa diretta, con un pianoforte verticale e una slideguitar acustica ad accompagnare la voce. Come detto in precedenza il lavoro è stato lungo e anche il missaggio è stato curato nei minimi dettagli dedicandogli tutto il tempo necessario, ma alla fine possiamo dirci davvero felici di quello che è il risultato finale
E se parliamo di studio o live cosa preferite? E soprattutto come si presenta un vostro live… Sono due momenti molto diversi e la verità è che ci piacciono entrambi, Valerio è un fonico di professione e Matteo sta iniziando la carriera quindi lo studio di registrazione è un luogo a noi familiare, ma possiamo dire di conoscere bene anche il palco visto che ognuno di noi ha più di dieci anni di live alle spalle. In studio è tutto più lento, si registra, si ascolta, se ne discute, è un momento molto creativo e per certi versi rilassato, il live invece è la resa dei conti, il momento in cui esponi al pubblico il tuo lavoro, mostri quello che sai fare e condividi tutto quello che hai da dire. Il nostro live si può descrivere così: siamo un power trio, ci piacciono i volumi alti, i ritmi sostenuti e la gente che salta sotto al palco. Dal vivo non ci risparmiamo e sebbene due di noi tre rimangano seduti per tutta l’esibizione, riusciamo comunque a trasmettere tutta l’energia della nostra musica al pubblico. Per noi suonare è un piacere e un momento di evasione, durante tutto il concerto ci piace interagire con chi viene a sentirci, perché per noi il live è anche un bellissimo momento di condivisione
Non abbiamo potuto fare a meno di notare che il vostro disco è in formato digitale, fatta in maniera anche molto originale. Alla luce di questo, secondo voi che futuro hanno i dischi e soprattutto l’industria discografica? Non sappiamo in quale direzione andranno le cose in futuro, ma di certo al momento l’industria discografica sta in qualche modo evolvendo dividendosi tra vecchi formati che tornano in voga e nuovi canali di distribuzione. Le piattaforme digitali hanno cambiato il modo di ascoltare la musica facendo sì che non fosse più necessario un formato fisico e hanno reso il CD obsoleto, ma nel frattempo il vinile è tornato ad essere il punto di riferimento per chi cerca una fedeltà sonora che il digitale, nonostante gli enormi passi avanti, non riesce (quasi) ancora a garantire. Molte etichette, almeno nel pop, hanno ricominciato a produrre dischi e sfruttando al massimo i nuovi canali di distribuzione e sponsorizzazione, riescono a piazzare accanto ai grandi nomi delle major artisti fino a poco fa sconosciuti. Ma nonostante tutti i possibili cambiamenti siamo certi che il disco, dal punto divista della produzione musicale, continuerà ad esistere perché, anche ora che il meccanismo delle playlist dà più forza ad un singolo che a una raccolta di una decina di brani, la carriera di un artista non può basarsi solo su delle possibili hit
A questo punto prima di lasciarci dateci qualche coordinata: dove potremmo ascoltarvi nel breve periodo e diteci anche se state già pensando a qualcosa di nuovo… Dai primi di giugno il nostro disco è disponibile su Spotify, iTunes e tutte le piattaforme digitali e in estate faremo alcune date a Roma e provincia per promuoverlo. Stiamo scrivendo dei nuovi brani e forse per fine anno pubblicheremo qualcosa, ma al momento siamo più concentrati sulla preparazione dei prossimi live
Grazie e in bocca al lupo Grazie a voi, crepi il lupo.
Articolo del
04/06/2019 -
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