In occasione del “Je so' Pazzo Festival 2019” abbiamo avuto il piacere di intervistare Massimo De Vita dei Blindur, un gruppo napoletano nato come duo nel 2014 e diventato poi un progetto solista quando Michelangelo Bencivenga (l’altra metà del gruppo) ha deciso di prendersi una pausa. Prima dell’intervista ho avuto modo di assistere al sound check del polistrumentista napoletano, rimanendo impressionato dalla sicurezza e disinvoltura con cui Massimo calca il palco. Per chi non ne fosse a conoscenza, De Vita ha perso la vista a causa di un incidente accorso in giovane età, ma questo non gli ha impedito di crearsi una carriera musicale fin qui ricca di soddisfazioni, con un modo di percepire e “vedere” la musica davvero sorprendente. Parliamo d’altronde di un cantautore e polistrumentista che ha raccolto consensi e premi sia in Italia che all’estero, a riprova delle sue qualità in ambito artistico rintracciabili anche nell’album d’esordio “Blindur” del 2017 e quello solista “A” uscito lo scorso 19 aprile. Quella che vi proponiamo qui di seguito è la chiacchierata fatta con Massimo De Vita prima dell’esibizione sul palco del festival napoletano, che ha visto andare in scena anche i Cosmorama e i Tre Allegri Ragazzi Morti.
La “A” è la prima lettera dell’alfabeto e anche il nome del tuo secondo disco. Questo rappresenta per te un nuovo inizio? Sì, la scelta di questa lettera è stata fatta per vari motivi. Innanzitutto indica che questo disco è il primo che è stato realizzato non nelle pause degli oltre cento concerti fatti in questi anni, come accaduto con il precedente, ma ha seguito il classico processo di scrittura e registrazione dell’album. Poi c’è una questione puramente personale sulla scelta della “A”, poiché per molti anni ho smesso di scrivere su carta e ho ripreso a farlo aggrappandomi ai ricordi che avevo, proprio sotto l’aspetto grafico. Quindi pensavo più ai simboli che alle lettere vere e proprie, e quando sono ritornato sul corsivo è stata abbastanza dura perché sono affiorati ricordi che pensavo di non avere, legati alla mia infanzia e precedenti all’incidente in cui ho perso la vista. Tutte queste canzoni sono figlie anche di quell’esperienza
Nel disco ho trovato questa contrapposizione tra rabbia e speranza, dove i due sentimenti coesistono nei testi delle canzoni Speranza non è una parola che mi piace molto, io la vedo più come una rinascita. Il disco vive di questa contrapposizione in cui gli opposti si inseguono, scontrano e da questo nasce qualcosa. Credo che le esperienze negative, per quanto siano anche violente e causa di rabbia o sofferenza, possano essere comunque riconvertite a lungo andare in qualcosa di positivo. Tra le reference del disco c’è un verso di in cui afferma che “C'è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce". Ecco, mi sembra la sintesi perfetta del mio pensiero
Sono differenti le tematiche, alcune molto attuali, trattate nel tuo disco, secondo te la musica può essere riscatto sociale? Sì, io cerco di toccare questi temi da una prospettiva umana. Essendo argomenti molto delicati e sui quali io credo ci sia bisogno di una certa competenza per parlarne, altrimenti si finisce a fare la chiacchiera da bar, mi intriga capire cosa c’è nell’essenza più profonda. Più che la migrazione mi interessa il viaggio e cosa può spingere a questo, che può essere sia il piacere che la necessità o la fuga. In qualche altra canzone ho parlato in maniera più latente di certe ipocrisie e superficialità, però posso adottare per la mia esperienza soltanto una prospettiva umana e per quanto questa possa essere, tra virgolette, sociale Tra le citazioni fai riferimento anche a Troisi, quindi che legame c’è nel disco con Napoli? Blindur è in generale un progetto esterofilo, a Napoli sono sempre più tornato che partito. Mi interessa la napoletanità vera, non quella da cartolina o che fa per forza ridere, ma quella che è appunto di Troisi, di Pino Daniele e di Eduardo, personaggi che sono riusciti a raccontare la città in chiave tragicomica. Ecco, è quel tipo di napoletanità che provo a conservare in Blindur, per cui anche quell’approccio un po’ rabbioso e di riscatto che credo abbia radici nel nostro DNA. Più che cantare in dialetto mi interessa l’attitudine, il feeling insomma
Blindur è un progetto molto apprezzato all’estero nonostante i testi siano interamente cantati in italiano, perché secondo te fuori dall’Italia viene riservata più attenzione alla musica in generale? Da una parte c’è uno step culturale abbastanza importante anche se non so dire esattamente a cosa è dovuto, forse hanno un bagaglio culturale differente rispetto al nostro o una maggiore curiosità da parte loro, oppure è dovuto a ragioni politiche, di abitudini e dinamiche sociali. Però so con certezza che all’estero l’attenzione è di gran lunga maggiore proprio perché canto in italiano e funziona molto meglio che farlo in inglese, ma alla fine il discorso si può applicare anche nel verso contrario
A proposito di questo, che opinione ti sei fatto della musica che gira oggi nel nostro paese? Sai, io sono una persona molto curiosa e ho gusti musicali abbastanza disparati. Ad esempio la musica trap non mi affascina particolarmente, nemmeno l’ascolto, però non ti nascondo che ci sono diverse cose che mi intrigano di quel contesto, non i contenuti ma piuttosto alcune soluzioni estetiche in riferimento al suono. Non a caso ci sono esempi come Salmo, che pur facendo un tipo di hip hop molto moderno, conserva un’attitudine più vicina alla musica alternativa anche se poi è un’artista mainstream. A dire il vero mi preoccupa più la scena indie perché buona parte di questa musica è definita tale ma in realtà non è un’affermazione corretta. Preferisco riesumare la vecchia espressione di musica alternativa, un termine molto più appropriato e che mentalmente crea uno spazio nuovo, differenziato dall’idea originale di musica indipendente. È cambiato anche il significato della parola “indie”, perché è in qualche modo assimilabile alla nuova musica leggera e il ricambio generazionale di quest’ultima diciamo che è avvenuto proprio con buona parte dell’indie italiano. Fine
Artisti a cui ti ispiri invece? Io sono molto fan dei National e continuo ad apprezzare i Sigur Rós, ma potrei farti mille nomi come i primi U2, fino a Niccolò Fabi e Justin Vernon. Mi piace il cantautorato folk, quello alla Damien Rice, diciamo che apprezzo tutta la scena alternativa internazionale degli ultimi quindici anni. Mentre faccio un po’ di fatica in più nel trovare musicisti italiani di mio gradimento per, non per essere situazionisti e paraculi, i Tre Allegri Ragazzi Morti sono uno dei miei riferimenti per il tratto compositivo piuttosto che quello estetico
A proposito, cosa si prova a condividere di nuovo il palco con un gruppo come i Tre Allegri Ragazzi Morti? Con i TARM ho già suonato altre volte in passato, e facendo parte anche io dell’etichetta La Tempesta mi piace definirli come i miei “capi” (ride, ndr). Sono molto contento che questa cosa sia successa a Napoli mi fa particolarmente piacere
Giochi in casa praticamente Sì, in questo caso posso fare gli onori di casa
Nel disco ho particolarmente apprezzato questo tuo raccontare per immagini, il non affidarsi a concetti astratti ma descrivere cose e situazioni concrete È un qualcosa che cerco di fare in maniera volontaria. Preferisco individuare delle cose specifiche che ricreino subito delle situazioni ed è quello che voglio succeda con la mia musica. Un po’ perché sono del parere che per scrivere in maniera più metaforica e metafisica bisogna essere quasi come Manlio Sgalambro che ha collaborato con Franco Battiato, e in questo modo risulti più credibile nello scrivere quella tipologia di testi. Poi penso anche a chi mi rivolgo, nel senso che il mio pubblico mi somiglia allora è interessato più alle piccole cose e ai particolari, quindi provo a focalizzarmi su questi aspetti Progetti nell’immediato o nel prossimo futuro? In questo momento ho mille cose che bollono in pentola, anche troppe (ride, ndr). Sicuramente suoneremo durante la stagione invernale, stiamo valutando in che modo e con quale formazione, e ti dico per certo che faremo qualche data all’estero. Sto lavorando a un disco strumentale ispirato al romanzo “Furore” di John Steinbeck e mi sono messo in testa di portare avanti una sorta di reading per creare un qualcosa che vada oltre la musica. Vediamo cosa accadrà
Grazie Massimo per la tua disponibilità Grazie a voi.
Articolo del
20/09/2019 -
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