Comincio citando sghembamente Vinicio Capossela. E comincio con un argomento, la bellezza, che ho già trattato, proprio a proposito dell’ultimo album di Luca Madonia. E se è vero che tocca alla bellezza salvarci, è anche vero che, in questo caso, la bellezza si fonde con la musica, e si materializza in La Piramide, che è un disco che parla di rapporti umani e di bisogni. Ed in tempi di peste, di parlare di rapporti umani, c’è sempre bisogno, giusto per chiudere questo infinito calembour.
Tendenzialmente non amo le interviste per via telefonica o videofonica, ho una idea del mio lavoro molto romantica, quasi cavalleresca, forse troppo. Una concezione per cui il vis-a –vis è fondamentale, soprattutto per uno che guarda negli occhi le persone anche nella quotidianità, anche rischiando, involontariamente, di incutere timore. E’ facile capire, quindi, che la prospettiva di una intervista non di persona non mi sconfinferasse poi molto. Bene, col senno di poi posso dire di essermi ricreduto: chiaro che continuerò a preferire la presenza fisica, ma, come si è detto, siamo in tempi di peste, e bisogna adeguarsi. E poi, in fondo, il diavolo non era così brutto come lo si dipingeva.
Quindi tanto vale non fare troppo gli schizzinosi e, semmai, far parlare, comunque, la musica. A voi....
Da dove viene fuori l’idea di un disco fatto di duetti e, soprattutto, come mai questa scelta, abbastanza inusuale per un album di inediti? Avevo registrato due anni fa il pezzo con Giada Colagrande, che è una mia amica ed una attrice, che però aveva anche registrato un disco mistico, esoterico, una strana musica e mi aveva molto intrigato il suo modo di cantare. Poi avevo già intenzione di ripigliare la canzone con Franco Battiato, che era già uscita dieci/ dodici anni fa su un altro disco (“Parole contro parole”, ndr), ma l’avevamo registrata di nuovo perché meditavo, prima o poi, di rimetterla in qualche altro lavoro. Da lì, spinto dai miei figli, che fanno il mio stesso mestiere, devo dire che mi sono lanciato in questa avventura, pur sapendo che avrei allungato tanto i tempi. Però non ti nascondo che ricevere subito il “sì” da parte di tutti è stato un regalo meraviglioso.
In “I desideri non cambiano” c’è il duetto con i Decibel. Un duetto fra Decibel ed ex voce dei Denovo rimanda, per forza di cose, immediatamente alla scena new- wave italiana degli anni ’80. L’impatto culturale proprio di quella scena, che ha contribuito a rendere mainstream delle sonorità non facilissime ad un primo ascolto, è un po’ paragonabile a quello che avvenuto negli ultimi anni con questo filone di musica più o meno indipendente, o senza di voi a fare da “apripista” a nuovi linguaggi musicale, molto più semplicemente, questa scena non esisterebbe? Guarda, questo non te lo so dire, però mi dicono che in effetti tutto il movimento della new- wave italiana è servito come ricambio generazionale, è stato importante. Certo, i tempi sono cambiati: allora non c’era Internet, non c’era niente di tutto questo, ci facevamo le ossa sul campo, perché prima ancora di avere un disco, mi ricordo, avevamo già fatto centinaia di concerti. Siamo stati, forse, dei pionieri, e, come il punk in Inghilterra in quegli anni, la new- wave italiana è stato un movimento di rottura importante. E poi da lì sono nate tante belle storie. Adesso è cambiata la comunicazione, per un certo verso si è quasi inflazionato il mercato, perché tutti fanno dischi, tutti mettono live tutto, mentre noi facevamo veramente chilometri in macchina in autostrada ed imparavamo il mestiere sul campo. Però questi momenti, storicamente, ritornano, per cui devo dire che sì, l’indie di adesso equivale a tutto quello che negli anni ’80 era stata tutta la nostra ondata
“La Piramide” è un album che suona molto libero, fra interventi di orchestra ed echi beatlesiani che ogni tanto ritornano. Quando l’ho ascoltato, mi ha dato un senso di libertà a livello creativo. Quanto ti ha aiutato a livello espressivo incidere per un’etichetta che, uscite alla mano, antepone la qualità al gradimento del pubblico? Guarda, è stato fondamentale, anche perché io ho potuto realizzare il tutto perché si lavora in gruppo, in equipe. E qui cito Denis Marino, che suona con me dal vivo, ha prodotto l’album, ha dato dei consigli fantastici su tutto, i suoni di Michele Musarra, anche lui mi segue dal vivo al mixer ed è l’ingegnere del suono. E poi, ovviamente, la Viceversa, Enzo Velotto, Benedetta Belloti. In gruppo, quando c’è amicizia, ci sono affinità, si lavora sicuramente meglio, per cui grazie a tutto questo clima è venuto fuori, e qui ringrazio te, questo disco, che mi rappresenta tanto, ed è stato una bella sfida. Ma devo dire che inizio a raccogliere i frutti!
Rimanendo in tema- piramide: il tuo bisogno di fare musica nasce dall’avere qualcosa da dire, dalla volontà di mettersi in gioco, o è un mix delle due cose? No, guarda, non ho mai avuto la frenesia di mettermi in gioco o di pensare a fare dischi stagionali per le radio, disco estivo, invernale o mezze stagioni. No no, questo non mi appartiene, anche perché ho avuto la fortuna di attraversare tante generazioni, tanti momenti musicali, dagli anni ’80 in poi. E’ un’ urgenza che ti viene: ogni tanto sento che manca qualcosa, e lì capisco che mi devo mettere a crearla. Poi, è chiaro, ci sono momenti “di grazia”, in cui le cose girano bene, ed allora i pezzi vengono fuori, ma a volte ci sbatti per lungo. Però quando capisci che hai colto una melodia particolare, armonicamente hai avvolto il tutto, allora a quel punto scatta la seconda fase: chiamo gli amici e si realizza.
Perché, secondo te, nonostante il tuo operato, o quello di Bianconi dei Baustelle, o di Gazzè, o del Battiato anni ’80, si continua a guardare al pop quasi con snobismo, anche quando è fatto bene, e, soprattutto a livello di testi, può essere ricondotto al vero e proprio cantautorato? E sì, questo è vero, ed è un difetto, perché il pop è una forma d’arte quando è fatto bene. Ma ti cito un nome: i Beatles, il gruppo pop per eccellenza. E per me, sessant’anni dopo, rimangono al numero uno. Ho detto tutto!
Nell’introduzione alla mia recensione del tuo album, avevo parlato di Peppino Impastato e della bellezza come arma di resistenza, collegandola alla bellezza, appunto, dell’album. Quanto la bellezza e la capacità di sapersi stupire possono fare da resistenza al deteriorarsi dei rapporti umani? Ma guarda, quello è fondamentale. Io trovo che per fare questo mestiere debba esserci la curiosità. Curiosità vuol dire andare avanti e creare mantenendo il proprio stile, perché per un artista è fondamentale essere riconoscibile, nel bene e nel male. Però bisogna anche essere curiosi nello scrivere, nel cercare nuove sonorità, nel mescolare mondi nuovi, sonorità nuove alla propria storia artistica personale. Ed io cerco di portare avanti il mio discorso cercando di non tradire la mia identità. E quello credo sia fondamentale non per me, ma per tutti gli artisti.
Chi ti verrà a vedere prossimamente cosa deve aspettarsi da questa serie di live? Mah, il live è la terza fase, che chiude il ciclo del lavoro. La prima è quella della composizione, questa urgenza di cui parlavamo prima, poi, quando hai la consapevolezza di avere in mano del materiale buono, realizzi l’album, ti dedichi ai suoni, cerchi di rivestire nel modo migliore tutti i pezzi. E poi c’è il live, che è la verifica. Che, come ti dicevo, è quello che ho sempre fatto: mi sono fatto le ossa lì, per cui nel live, nel contatto col pubblico, capisci dalla fisiognomica, dalle loro espressioni, cosa arriva, cosa recepiscono e cosa ti rimandano indietro. Ed è veramente bellissimo. Ora, purtroppo, stiamo attraversando un momento difficile, per le emergenze che tutti conosciamo, io sono partito da Catania, al Ma, sabato scorso, è stato un successone, ma, ad esempio, il concerto al Fontarò di Palermo è stato rinviato al 18 aprile. Però andiamo avanti, bisogna anche cercare di sdrammatizzare e non isolarci troppo: adesso dirò una banalità, ma mi auguro che la musica possa anche dare una mano a livello piscologico per superare questi momenti di crisi
Un pezzo che “ruberesti” ad un collega… chiaramente non ai Beatles, perché giocheresti in casa, sarebbe troppo facile! Eh, vabbè, guarda, ce ne sono tanti che avrei voluto scrivere. Ti parlo anche di Battiato, sono un suo grande fan, ed ho avuto la fortuna di diventare suo amico, una frequentazione che va avanti da trent’anni e più. Ed è bello sapere che ci sono degli artisti che hanno fatto cose bellissime. Poi, vabbè, di Battiato avrei voluto scrivere tantissime canzoni. Ma anche di altri, adesso non ti cito dei nomi, ma ovviamente ce n’è. L’importante è saperle cogliere ed emozionarsi sentendo delle canzoni belle. E questo, per fortuna, mi succede ancora: nonostante tanti anni di mestiere, ogni tanto arrivano delle canzoni che, per i testi o per le sonorità o per il vestito o per quello che mi arriva, mi colpiscono ancora tanto. Ed emozionarsi per un mestiere che fai da tanto vuol dire che ancora riesci a trarne i vantaggi e gli stimoli
Quando pubblicasti “La monotonia dei giorni”, in una intervista che lessi allora avevi aperto ad un possibile ritorno dei Denovo: è cambiato qualcosa da allora o possiamo ancora sperare? Credo che i Denovo non torneranno più. Ma lo dico anche per una forma di rispetto, perché è stata una storia talmente bella per noi quattro, e da una bella storia ne sono nate tante. Per cui quasi temiamo di profanare un decennio bellissimo. Però siamo rimasti in ottimi rapporti, prova ne è che nel disco Mario (Venuti, ndr) duetta con me, ed era inevitabile, voglio dire, per le affinità, per la storia che abbiamo passato, per quello che abbiamo creato, appunto. Ritornando agli inizi dei nostri discorsi, tanta gente ci parla dei Denovo, tanta gente, anche colleghi, ci dice che sono nati grazie ai Denovo, e questo sicuramente è gratificante. Però, ripeto, non vogliamo rovinare una storia bella, che è rimasta lì, nel limbo. Aleggia, e questo già ci conforta
Poco fa hai un po’ gettato il sasso, anticipando in qualche modo la domanda: questa emergenza ha messo in luce la fragilità del mondo culturale, che sta perdendo soldi a iosa e si sta ritrovando un po’ abbandonato a sé stesso. Potrebbe essere il pretesto per arrivare a misure di tutela, da parte delle istituzioni, verso un mondo sì fragile, ma anche fondamentale nella piramide dei bisogni dell’uomo? Ma sai, la musica rientra nel mondo della cultura. E la cultura, ovviamente, serve a tutti i livelli, mostre, teatro, cinema. Adesso siamo in un momento di emergenza indubbia, per cui è chiaro che dobbiamo sottostare alle direttive del Consiglio dei Ministri, ed addirittura oggi leggevo che si parla forse di pandemia a livello mondiale, per cui potrebbero esserci altre restrizioni. Però non dimentichiamoci che la musica, come l’arte in generale, sublima l’anima, aiuta a livello intellettuale ed a livello estetico, a superare i momenti brutti. Per cui, con le dovute cautele, non abbandoniamo l’arte, perché il bello ci può tirare fuori, sollevare quantomeno a livello psicologico
Articolo del
08/03/2020 -
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