Cari lettori di extra, visto che l’estate è ormai alle porte, oggi ci tuffiamo in un brano che fa parte della storia della canzone italiana. Lo si può annoverare tra le ballate più belle, dolci e romantiche di tutti i tempi, anche perché è uno dei gioielli musicali lasciatici in eredità da Lucio Battisti.
La canzone è un racconto nostalgico verso una donna che in quel momento non è presente e che diventa, in quei quattro minuti, un racconto, una speranza, un dialogo. Ma procediamo con ordine. Siamo nel 1970 e, parafrasando un'altra canzone di qualche anno prima, in Italia c’è la coppia più bella del mondo composta non da Adriano Celentano e Claudia Mori, bensì da due artisti, molto diversi tra loro, con caratteri opposti, non avvezzi alle luci della ribalta, anzi molto schivi e riservati. Ciò che li accomuna, rendendoli poi un tutt’uno, quasi come la metà della mela, è la musica. L’uno con la melodia, l’altro con le parole. Uno dei due è milanese e si chiama Giulio Rapetti, conosciuto da tutti come Mogol, l’altro è di un paese, Poggio Bustone, in provincia di Rieti, dal nome Lucio Battisti.
Insieme costruiranno in Italia un sodalizio musicale unico ed irripetibile. Battisti e Mogol sono stati per la musica Italiana come i colori per Giotto, oppure come la leva per Archimede, perché hanno elevato la canzone Italiana portandola all’apice, trasformandola e arricchendola di vita, quella vita quotidiana che nei testi delle canzoni fino a quel momento era ancora poco presente, creando canzoni con accordi semplici e aprendo le porte ad nuova linea melodica pulita che li identificasse già dal primo ascolto, accrescendo così il vocabolario universale musicale, modificandolo e rendendolo sempre più moderno. Il loro sodalizio artistico è stato duraturo e proficuo.
Infatti Mogol e Battisti oltre a creare brani irripetibili per loro, avevano un’altra caratteristica unica e inusuale per quei tempi: quella di scrivere anche per altri artisti. Nel racconto di oggi, vi parlerò di una canzone tanto bella, quanto malinconica e nata da una circostanza particolare. La canzone è: “E penso a te” . Il pezzo in questione è del 1970 e viene scritto tutto in 19 minuti. Come succede spesso nelle intuizioni dei grandi artisti non bastano solo splendidi tramonti, luoghi storici o bellissimi posti. Certo circostanze simili aiutano, ma non in questo caso, perciò mi chiedo cosa avrà stimolato Battisti e Mogol durante quel breve viaggio in automobile, da Milano a Como, in una piccola fiat 500 così minuta che in tre non ci stavano.
L’autostrada è la Milano Como e pensate che quella distanza dopo la nascita di “E penso a te” è diventata un tragitto di interesse da parte di tanti amanti della musica, tanto da essere misurato non solo in chilometri ma in minuti. Infatti la nascita di “E penso a te” comincia da un normale viaggio in una giornata abituale e con una preparazione tanto semplice quanto spontanea. Davanti c’è l’autista che guida la macchina, seduto accanto c’è Lucio Battisti che imbraccia la sua chitarra. Superato il casello di Milano, Battisti inizia a strimpellare la sua chitarra canticchiando e formando delle linee melodiche. Mogol è seduto dietro e ascoltando Battisti inizia a viaggiare con i pensieri. Comincia a canticchiare nella sua mente parole messe a caso e d’improvviso arriva l’illuminazione. Il colpo di genio.
Mogol di getto prende un fogliettino dalla tasca, tutto stropicciato, lo piega, poi s’incurva, si avvicina al piccolo finestrino che si trova a lato, appoggia il foglietto e inizia a scrivere delle parole. Come spesso accade i pensieri sono più veloci delle parole e, come scriveva il filosofo tedesco Immanuel Kant che “le intuizioni e i concetti costituiscono gli elementi della coscienza così non possono esserci concetti senza intuizioni e intuizioni senza concetti” , così Mogol improvvisa il testo e dopo 19 minuti nasce “E penso a te” . Arrivo al casello di Como. In quel tragitto Mogol inserisce un elemento nuovo, quello del pensiero nostalgico da parte di un uomo e l’idea che quel non incontrarsi scaturisse dal fatto che si fosse in una città così grande, tanto da perdersi, lasciando così alla mente il ricordo di lei.
Così quel pensiero viene sostituito da uno stato d’animo, spogliando l’uomo e mettendolo a nudo, svestendo la sofferenza e la mancanza. La canzone è stata cantata dai più grandi interpreti della canzone Italiana, partendo da Bruno Lauzi, passando per Mina, ma la versione di Battisti del 1972, rappresenta una versione ancor più autentica delle altre sopra citate, forse anche perché inserita all’interno del disco “Umanamente uomo” , un album che ancora oggi resta tra i più ascoltati perché contiene all’interno canzoni come “I giardini di Marzo”, “Innocenti evasioni” e altre che rappresentano quel processo di innovazione musicale che il duo Battisti Mogol porterà in altri dischi e canzoni memorabili.
“E penso a te” racchiude un momento della canzone d’autore intima e profonda, lasciando a noi ascoltatori tanti messaggi di amore, di speranza o semplicemente la voglia di essere portati dalle note di un pensiero dolce e malinconico mentre allo stesso tempo “chiudo gli occhi e penso a te“.
Articolo del
04/06/2021 -
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