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Canzone buia, noir, canzone di notturni cittadini come anche di notturni interiori. E lui, che vuol restare anonimo, che dal suo mestiere come psichiatra pesca la chiave di lettura della vita, dei suoi personaggi, delle sue maschere. Si fa chiamare Schiamazzi, moniker che da anche al suo Ep, eponimo dunque, autoproduzione dentro cui troviamo 5 storie, 5 personaggi, 5 vicende in bilico tra il reale e l’allegoria. Ed il suono spesso cadenzato, spesso misurato con peso artigiano, a volte sporco che piace tanto per questo piccolo modo che si ha di raccontare (anzi cantare) la verità
Partirei dal video del singolo “Nel furto è la Speranza”. Anonimato anche li. Ma io penso esista una chiave di lettura altra dietro l’immagine di te in ombra e incorniciata… vero? La cornice è la metafora di una cella, che in quel determinato punto del video è ancora un presagio, non è ancora una realtà concreta perché il protagonista teme per la propria libertà, per quanto non sia ancora stato incarcerato. Rappresenta una costrizione più astratta, la costrizione che deriva dal giudizio esterno e dai limiti autoimposti. Per assurdo la scelta dell’ombra come protagonista del video è per rafforzare ulteriormente il personaggio. In realtà volevo solo giocare sull’identità, sul fatto che l’ombra non rappresentasse una persona reale ma il nostro io reale. Poi c’era anche la volontà di contrapporre la prima parte del video, in bianco e nero e bidimensionale, con il finale a colori e collocato nel mondo reale, e cosa meglio di un’ombra poteva esprimere questo contrasto.
Che poi mi incuriosisce proprio questo titolo: dunque ci salveremo rubando? Immagino da non intendersi come ci viene automatico pensare… Il titolo deriva dalla citazione da cui prende spunto la canzone. E’ una citazione di Winnicott, il bambino che non ha nulla, il bambino deprivato, inizia a rubare quando incomincia a sperare, quando le sue condizioni di vita stanno cambiando e capisce che può farcela. «E’ nel periodo della speranza che il bambino manifesta la tendenza antisociale». Non è il furto di chi già possiede tanto ma desidera avere ancora e ancora, senza riuscire mai a fermarsi. E’ un furto figlio della disperazione, di chi non ha ricevuto ciò che sperava o si aspettava dalla vita. Il senso della canzone è che ogni azione, ogni decisione, nasconde significati profondi e complessi, difficili da comprendere anche per la persona stessa che le vive come protagonista, spesso incomprensibili per chi ne è spettatore.
Storie di personaggi… perché questo primo disco dunque non meritava un nome tutto suo secondo te? Mi sono sempre chiesto che cosa determini se un disco meriti o meno un nome tutto suo, come mai alcuni artisti decidano di chiamare un disco con il loro stesso nome, e soprattutto a che punto della carriera si possa decidere se un disco debba chiamarsi così. Per esempio se dopo un paio di album si decide di chiamare il disco con il proprio stesso nome deve esserci alla base e una ragione. Io per non sbagliare ho deciso di chiamare il primo disco in assoluto così, non c'è stata una particolare motivazione. L'unica ragione reale che ho trovato è che è stato scritto in tanto tempo e quindi raccoglie momenti della mia vita anche molto diversi tra loro, inoltre volevo diventasse un po' il mio manifesto.
E dunque per te cosa sono gli schiamazzi? Ecco che mi viene da pensare al parlottio di fondo che facciamo tutti oggi, tutti esperti di tutto… Sì, sicuramente questa generale ambizione o presunta tale di poter parlare di qualsiasi argomento ponendosi con autorevolezza rispetto agli altri e con la tendenza alla prevaricazione può rientrare negli schiamazzi. In generale schiamazzi è un termine utilizzato quasi esclusivamente in accezione negativa (infatti il primo risultato di ricerca su Internet rimane comunque schiamazzi notturni), però viene anche da pensare che da qualche parte, vicino a te, ci sia qualcuno che si diverte e fa rumore. Una cosa che mi piaceva molto del termine schiamazzi e il fatto che non sia utilizzato quasi mai al singolare, come se per fare schiamazzi si debba essere in gruppo. E’ una cosa banale, ma mi rimanda al concetto di collettivo, che poi è un po’ quello che ho sempre desiderato per Schiamazzi, un progetto dietro cui lavorano tante persone e tanti artisti.
Socialmente parlando? Quanto ha preso dalla vita tua personale? Inizialmente credevo che per scrivere musica si dovesse portare solo la propria vita personale per riuscire ad essere autentici e credibili. E’ stata una mia convinzione sia da ascoltatore, quindi anche un metro di paragone nel valutare gli altri artisti, e poi anche quando ho iniziato a scrivere il mio materiale. Quando è uscito il mio primo EP mi sono stupito di quanto io sia riuscito a far entrare nelle mie canzoni non solo della mia vita ma anche delle vite degli altri, delle persone che ho incontrato e di quelle che di fatto non conosco nemmeno ma che hanno condiviso con me qualcosa di loro, a volte anche solo immagini o singole scene che una volta ascoltate mi sono rimaste impresse.
Articolo del
15/12/2021 -
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