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E’ uscito il 9 dicembre su tutte le piattaforme digitali l’ep Iniziali del cantautore e poeta toscano Giovanni Luca Valea.
Anticipato dal singolo Canzone per un mezzo uomo, in radio e sui digital stores dal 24 novembre, Iniziali, prodotto e distribuito da La Stanza nascosta Records, è il primo lavoro in studio di Valea. Cantautore popolare ed elitario al tempo stesso, Valea alterna incisività ritmica e carezza melodica, echi medievali e cornice elettronica, sovrapponendo con sapienza sacro e profano, immediatezza sentimentale e simbolismo criptico. Lo abbiamo incontrato per una chiacchierata.
Lei ha pubblicato tre raccolte di poesie con case editrici indipendenti del territorio toscano, Canzoni di rabbia, poesie d’amore (2016), Una Storia che credevo di aver dimenticato (2019) e Una rosa al Padrone (2021). Da poeta e cantautore, cosa pensa della vexata questio del rapporto tra canzone d’autore e poesia?
Credo che la canzone sia un’ottima via di fuga. Ha qualcosa addirittura di catartico, ma non ha un rapporto con la poesia. La canzone si avvale di melodie, di musica, di parole: c’è qualcosa di troppo. Troppe opportunità. È più semplice. La poesia è essenziale, minima, indipendentemente dal numero dei versi. Nella poesia non ci sono feritoie. Credo peraltro che la poesia sia una vecchia casa chiusa, se mi passa il termine, che non ha alcuna connotazione sociale né di nostalgico avviamento alla sessualità, nella quale – alle volte – non vive neppure il poeta.
Faccia di bronzo, contenuta nell’ep Iniziali, sembra essere una rasoiata, sia a livello testuale che sonoro. Quanta rabbia c’è, in generale, nel suo universo artistico?
Faccia di bronzo apre la raccolta con una rasoiata, è vero. C’è molta rabbia, c’è quasi del disprezzo. Non c’è nessuna pietà. Mi ritengo un uomo assai diverso: cerco di essere gentile e di ferire con educazione, ma devo necessariamente fare i conti con quanto scrivo. E se ho scritto quelle parole, allora la rabbia – almeno nel mio universo artistico – deve essere piuttosto considerevole per quantità e – spero – qualità.
La combinazione di erotismo e sublimazione spirituale sembra essere una costante della sua poetica, mi sbaglio?
No, è un’osservazione corretta. Del resto, conoscersi biblicamente è un’espressione che ha insieme del sacro e del profano. Ritengo l’erotismo presente nelle mie canzoni, così come in quelle degli altri, uno dei momenti più alti della spiritualità che è possibile conoscere sulla Terra; ma non è filosofia, è sempre carne – carne con intorno un po’ d’oro o, nel peggiore dei casi, qualcosa che luccica.
In una intervista ha dichiarato: Oggi la musica leggera parla di relazioni. Si è persa la disponibilità ai grandi concetti come l’amore e l’odio, ma torneremo a parlarne. I suoi testi sembrano scavare nell’autobiografia per poi trascenderla, quanto è forte in lei la tensione verso l’universalità?
È una tensione fortissima e, credo, necessaria. Trascendere l’autobiografia e rendere le proprie faccende universali è l’unico mezzo per permettere agli altri di identificarsi, di riconoscersi. Se mi limitassi ad una prospettiva autobiografica non vorrei fare canzoni; credo, peraltro, di avere una vita interessante al pari di tutti gli altri. Posso nobilitarla, non renderla migliore o peggiore delle altre.
Il libro che ha attualmente sul comodino? L’Aleph, di Borges.
Prendiamo in prestito una domanda dal celebre questionario di Proust: “qual è il tratto prevalente del suo carattere?” Sicuramente sono un essere umano poco docile, anarchico. Ma gentile.
Iniziali sembra essere insofferente a qualsiasi classificazione di genere…se fosse un critico musicale e dovesse recensirlo con tre aggettivi, quali userebbe?
Essenziale, necessario, intimo.
Articolo del
15/12/2021 -
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