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Un gradito ritorno sulle scene della canzone d’autore in rosa, un prezioso disco che porta con sé non solo il valore della parola ma anche un significato alto da restituire alla canzone come espressione dell’arte. Roberta Giallo, di recente nominata anche come nuovo “Presidente dell’Associazione Italiana Artisti e Autori”, ci racconta di questo nuovo disco dal titolo “Canzoni da museo”. Liriche di grandi autori italiani come Giovanni Gastel (Fotografo e poeta, Nipote di Luchino Visconti), Davide Rondoni (Poeta, fondatore del Centro di Poesia Contemporanea) e Roberto Roversi (Poeta), musicate e restituite in forma canzone dentro la sua consueta eleganza sempre in bilico tra jazz e pop d’autore. La canzone dunque come oggetto da tutelare non solo in termini culturali ma anche e soprattutto come testimonianza politica e sociale dell’epoca e della voce comune
Nuovo disco e nuova scommessa in qualche modo. Oggi fare musica è diventata una scommessa vero? Che poi il leitmotiv di questo disco urla proprio contro uno stupro alla “deculturalizzazione” della musica… Una missione prima, poi una scommessa. “Canzoni Da Museo” è un disco fuori dal tempo, eppure dedicato con amore struggente a questo tempo, che non riesce “ad amarsi, ad aversi, a riaversi abbastanza”. Faccio musica per necessità, per “auto-terapia”, una sorta di impulso innato a mettere al mondo arte (e quando dico “arte”, lo dico nell’accezione più umile che possa avere). Inoltre, non volendo cadere e scadere nella megalomania a cui “ci spingono i costumi” aggiungo cha faccio musica-e-arte anche per salvarlo, questo povero mondo, violentato anche dalla “deculturizzazione della musica”, come suggerisci: un processo involutivo e da tempo costante, che tende a relegare marginalmente nell’ombra certi tipi di contenuti, di riflessioni, di elaborazioni “contro-tendenza”. … non sono Dio, posso sbagliarmi, questo mi rassicura! Non dipende tutto da me, non cambierò la storia: tuttavia, attraverso il mio lavoro di musicista e artista multidisciplinare, io servo il mondo, cerco di migliorarlo, attraverso l’impatto che il linguaggio musicale, unito ad altri linguaggi suggestivi, come ad esempio la pittura e la performance, può avere sulle coscienze di chi mi ascolta. Pathos ed Ethos. Procedo così
Oggi secondo te la canzone dovrebbe stare in un museo? Tanto per parafrasare questo bellissimo titolo? Ha smesso di avere una ragione dentro le strade della vita quotidiana? Il titolo ha almeno due chiavi di lettura. Ho incontrato Giovanni Gastel la prima volta al Museo Maxxi Di Roma, insieme a Davide Rondoni(già amico da tempo), ecco, nel mio disco ho musicato le loro liriche, più altre del Poeta Roberto Roversi(che scrisse per Dalla); come vedi, innanzitutto il museo è stato proprio il luogo in cui ho cominciato a partorire questa idea, illuminata dalle parole e dalla luce di questi grandi poeti, in un certo senso a me affini, umanamente e artisticamente. Poi il titolo contiene una simpatica provocazione: poiché i luoghi e i canali delegati alla grande diffusione della musica, della canzone, relegano al margine tutto ciò che sfugge alla tendenza o all’omologazione… a me, e a “quelli come me”, che sfuggono all’omologazione, alle regole del mercato, un po’ per indole un po’ per scelta… non rimarrà che proporre queste canzoni “anti-canoniche” e anti-convenzionali, nei Musei... Qualcuno mi chiamerà boomer! Ma la digitalizzazione non porta solo buone nuove… è cosa dialettica! E la mia opera recupera il passato, perché senza cura delle radici, proiettarsi nel futuro è un atto di sabotaggio dell’anima! Posto questo, le canzoni dovrebbero stare “ovunque”, senza darci fastidio… ma in quell’ovunque, dovrebbero essercene di più varie, la gamma a mio avviso, è un po’ misera al momento!
Restando sul piano sociale… che tipo di società appunto vedi vivere attorno alla musica italiana? Ci sono tante società. Spesso in contrasto tra loro, ognuna con il suo “repertorio musicale di preferenza”: una dice “minus habens all’altra, l’altra gli urla, “ok boomer!” È un mondo di “club”… io invece auspico un incontro, almeno un dialogo, e meno ghettizzazione. Per questo l’idea di fare accedere le canzoni nei musei mi sembra un’operazione di incontro fra pubblici diversi, giovani e meno giovani, più manierati e più “urban”, come si suol dire oggi…
Bellissimi i suoni di questo lavoro. La produzione ci sembra assai complessa e ricca. Come sei riuscita a portarla avanti dentro questo tempo assurdo? Devo complimentarmi e ringraziare per questo il produttore artistico di questo album, il polistrumentista Enrico Dolcetto, grande musicista e gran bella persona, dotata di grande sensibilità. Abbiamo curato insieme gli arrangiamenti. Un bel giorno mi sono presentata con i miei provini piano e voce, dicendogli che avrei voluto un disco “antico” ma al contempo con suggestioni elettroniche per guardare al futuro… ha saputo cogliere, ha saputo dare vita a questo universo sonoro, amalgamando il tutto, e stando dietro alle mie follie! È stato un viaggio meraviglioso, toccante e suggestivo. Poi ringrazio naturalmente tutti i musicisti che hanno contribuito ad arricchirlo con il loro grande talento, e la loro sensibilità straordinaria: Mauro Malavasi, Anton Berovski, Pietro Posani, Viviana Severini, Luca Leprotti(mastering). Sono/Siamo riusciti a fare tutto questo perché siamo tutti dei “missionari” della musica, perciò la fatica, gli ostacoli, e tutto quello che comporta produrre musica oggi… non ci hanno spaventato, né fermato!
Articolo del
08/02/2022 -
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