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Due ragazzi, nuove voci, nuovi volti, antiche ispirazioni. Emily Capanni e Lorenzo Brighi, classe ’95 di Cesena. Dal tempo di oggi hanno preso poco e niente se non quella pulizia di un suono che forse (col senno di poi) avrebbe meritato una polvere in più. Dal tempo di ieri hanno catturato il dono prezioso delle attese, del tempo contemplativo, del suono acustico di una chitarra e di queste voci corali che portano con se anche il peso umano della spiritualità. Sono i LOMII che fanno il loro esordio ufficiale con un bellissimo lavoro dal titolo “We are an Island” che certamente merita molto più che una semplice intervista. Il folk antico, internazionale, che sa di quell’orizzonte americano di tanto tempo fa…
Siamo isole, siamo terre in movimento… ma siamo anche punti fermi, fin troppo spesso omologati. Voi come guardate quel che accade attorno? Che tipo di isole siete? Forse siamo isole che vanno controcorrente. La musica che facciamo potrebbe esserne un esempio. Ci piace la "scomodità". Viviamo ancora il rapporto con ciò che ci circonda in modo diretto, utilizzando meno filtri possibile. Questo ci permette di essere dentro le cose e non esserne solamente spettatori. Certo, è un esercizio che va praticato ogni giorno quello di guardare con occhio critico il fuori e il dentro sia nostro sia del mondo in cui siamo ospiti, ma è l'unico modo che conosciamo per rimanere curiosi e avere la possibilità di farsi stupire e di uscire quindi dall'omologazione
La semplicità di questo disco è ammirevole. Una direzione ostinata e contraria visti i tempi che conosciamo. L’elettronica non vi ha sedotti in alcun modo? L'elettronica onestamente non è mai stata nemmeno valutata per questo disco. Effettivamente è una cosa strana per questi tempi. Il fatto è che a noi piacciono tanto gli strumenti suonati nel loro corpo, diciamo così!
Dopo un disco simile, i LOMII chi sono diventati? E che viaggio stanno facendo? Domandona. Siamo cresciuti tanto. Questo disco è stata una possibilità enorme di scavare a fondo e soprattutto anche di evolvere il nostro immaginario. É cambiato lo stile delle lyrics, l'approccio ai brani, la visione del progetto, le priorità artistiche. Il disco è intimo, introspettivo, ma anche energico e diretto a tratti. L'intenzione era quella di raccontare le nostre storie, i nostri pensieri e tutto quello che ne consegue, creando un linguaggio da poter condividere e nel quale ritrovarsi, anche come ascoltatore. Il viaggio che ci stiamo facendo in realtà è appena partito, vediamo ancora il porto se ci giriamo indietro
Il mare, l’abbraccio come fosse l’allegoria di un’isola di terra. Eppure questo disco ha poco a che fare con l’acqua, almeno nella mia percezione… cosa ne pensate? Il disco ha pochissimo a che fare con l'acqua in effetti. We Are an Island parla di ricongiunzione, dopo il distacco. Forse per questo ha il sentore di terra, la sensazione che provi quando l'onda si ritrae e lascia ricongiungere le due porzioni di sabbia a riva.
Dall’Italia che cosa avete preso per approdare a “We are an Island”? Le colline dove siamo nati, le campagne. Le osterie e le belle bevute con le persone importanti. Il contenitore è straniero, ma il contenuto è fatto tutto di casa nostra.
Andrea Cola, in ultimo, in che modo ha condotto la produzione fin dove la conosciamo oggi? Cioè quanta distanza esiste tra l’idea e il suono finale? Pensate che quando avevamo deciso di iniziare le registrazioni prima della pandemia, l'idea era di chiuderci in una casa a inizio primavera, in campagna, e registrare il disco totalmente in acustico durante una full-immersion di 5 giorni. Ne è passata di acqua sotto i ponti: quasi due anni di lavoro e registrazioni in studio e un disco praticamente tutto arrangiato. Andrea in questo è stato una figura di riferimento, sia come amico che come produttore. Ci ha accompagnato in questo percorso di profondo cambiamento con una dolcezza che non avevamo mai riscontrato in nessun altro e si è messo in gioco tantissimo anche lui. È stato un bel regalo incontrarsi e affrontare tutto insieme.
Articolo del
30/05/2022 -
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