Horus Black, al secolo Riccardo Sechi, nasce a Genova l’8 maggio 1999 in una famiglia di musicisti classici: genitori violinisti e nonno paterno trombettista. All’età di tredici anni si appassiona al rock’n’roll ed in particolare di Elvis Presley. Questa nuova passione lo spinge ad imparare a suonare la chitarra e successivamente il piano e l’ukulele. Nel 2018, viene pubblicato dalla Sonic Factory il suo primo album di inediti, “Simply Horus Black” e adesso torna con un nuovo EP, “Spinning Rainbow” fortemente ispirato al rock degli anni sessanta. L'intervista:
Ciao Riccardo, parliamo un po’ di “Spinning Rainbow”, il tuo ultimo EP recentemente uscito. E’ chiaramente ispirato agli anni ’60, al rock di quegli anni, alla Summer of Love e tutti quei movimenti giovanili sorti in quell’epoca. Tu sei nato nel 1999, quegli anni sono a te quindi molto distanti, anagraficamente. Come ti sei appassionato a quel periodo, alla sua musica, alla sua cultura? Mi sono appassionato al rock degli anni ’50, ’60 e ’70 piuttosto per caso: ascoltando dei CD di greatest hits di artisti rock’n’roll anni ’50 come Elvis Presley, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis e Gene Vincent che mio padre aveva acquistato in un autogrill francese e che per anni era rimasto in macchina senza mai venire ascoltato. Da lì iniziò la mia passione ed il mio interesse per il genere che mi portò poi ad approfondire altri artisti successivi, procedendo grosso modo in ordine cronologico: Rolling Stones, Doors, Jethro Tull, Queen, eccetera. Mentre per il mio primo disco, “Simply”, mi sono fatto prevalentemente ispirare dagli anni ’50, con “Spinning Rainbow” la principale fonte d’ispirazione è stato il decennio successivo
Elvis è un’altra tua passione, la cui è influenza è molto più evidente nel tuo precedente disco “Simply”. Ancora più indietro negli anni, dunque…Elvis è il tuo primo amore, la tua prima miliare? Hai per caso visto al cinema la sua biografia diretta da Baz Luhrmann e, nel caso, ci vuoi dire le tue impressioni? Assolutamente sì, se dovessi citare un artista che ascolto costantemente e che mi ispira con tutta la sua produzione, questo sarebbe senza alcun dubbio Elvis Presley, di cui ho letto anche numerose biografie. Spalleggiato da mio padre siamo anche andati più volte a visitare Memphis e Graceland, la casa di Elvis. Ho visto il film di Baz Luhrmann e devo dire che è veramente ben fatto: costumi ed ambientazioni sono ricreati perfettamente, anche gli eventi narrati ricalcano gli eventi nella quasi totalità delle situazioni; certo sono presenti parte leggermente romanzate o riassunte anche per motivi di durata, ma tutto sommato è fedele alla storia vera
Sappiamo che hai anche alle spalle studi classici, quanto è importante conoscere la musica classica ed avere una formazione più accademica? Secondo me è importante avere chiara la teoria musicale, quantomeno per capire e per sapere cosa si stia facendo o almeno questo è stato ciò che mi ha mosso nel momento in cui decisi di iscrivermi al conservatorio. Sicuramente si può fare musica anche essendo totalmente ignoranti in materia, ma ritengo che alla lunga queste mancanze vengano a galla. Ovviamente al lato teorico bisogna affiancare una solida applicazione pratica
Qual era il tuo intento nel creare “Spinning Rainbow”? cosa volevi comunicare? Quello che volevo comunicare con “Spinning Rainbow”, come pure con “Simply”, è la mia passione per la musica di quel periodo, sperando che, introducendo anche suoni più moderni, possa far avvicinare molti miei coetanei alle mie fonti di ispirazione, che magari non hanno mai avuto occasione di ascoltare o di approfondire
Le tue scelte artistiche possono essere considerate un po’anacronistiche, se ci guardiamo intorno e se ascoltiamo quello che viene prodotto oggi giorno. Non ascolti proprio per niente la musica dei giorni nostri? ti influenza in qualche modo? Ascolto anche musica prodotta al giorno d’oggi, nella maggior parte dei casi però band che in qualche modo si lasciano ispirare dalla mia stessa musica. A tal proposito mi vengono in mente i Black Keys ed i Greta Van Fleet
Domanda d’obbligo: da dove viene il nome Horus Black? Il nome d’arte è opera di mio nonno materno che, appassionato di antico Egitto, propose per scherzo ai miei genitori di chiamarmi Horus come nome di battesimo. I miei declinarono l’offerta, ma quando lo scoprii decisi di riciclarlo in campo artistico. Cercando poi un “cognome” per Horus, volevo fosse un colore, ma la maggior parte degli abbinamenti mi faceva venire in mente dei pacchetti di sigarette: Horus Red, Horus Blue, Horus Gold… Invece Black suonava bene ed anche la simmetria dei due nomi, entrambi di cinque lettere, mi convinse
Articolo del
23/07/2022 -
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