Abbiamo avuto il piacere di chiacchierate con i Tidal Frame in occasione dell’uscita del loro nuovo omonimo disco
Parlatemi un po' del periodo in cui avete lavorato all'album "Tidal Frame".
La lavorazione dell’album è iniziata dopo l’incontro con Pietro Foresti, a cui avevamo inviato un EP autoprodotto di 5 tracce qualche tempo prima. Abbiamo cominciato a lavorare alla preproduzione dei brani in collaborazione con Burak Kahraman, a Londra, per poi registrarli e mixarli presso il Frequenze Studio di Monza con Matteo Agosti, sotto la supervisione e direzione artistica di Pietro. Il contatto diretto con professionisti di alto profilo del panorama musicale ci ha permesso di crescere ed apprendere molto dal punto di vista della produzione musicale, sulla gestione di programmi come Logic e degli arrangiamenti, e soprattutto sull’affinare tecniche come il reamping delle chitarre o l’utilizzo dello spettro delle frequenze audio.
Come è stato lavorare con Pietro Foresti?
Lavorare con Pietro Foresti è stata un’esperienza molto stimolante, abbiamo avvertito fin da subito una certa affinità non solo sul piano strettamente musicale, ma anche da un punto di vista di etica lavorativa, molto goal-oriented. Abbiamo imparato tanto da lui, acquisendo molta più consapevolezza sulla nostra identità artistica e su cosa vogliamo veramente, e soprattutto su come esprimerlo in maniera efficace. La sua presenza è stata una guida, e ci ha aiutato a canalizzare al meglio le nostre energie e ciò che avevamo da dire.
Qual'è il filo conduttore dell'album, quale messaggio vorreste che passasse?
Ogni episodio dell’album scatta una diapositiva a un soggetto specifico, e ogni immagine descrive storie, lotte, gioie e dolori, cadute e risalite. Ciò che accomuna i soggetti delle diapositive è la condizione di svantaggio o difficoltà in cui si trovano, una vulnerabilità che, in base alle differenze individuali, può essere utilizzata come carburante per rinascere, uno strumento di conoscenza e consapevolezza di sé, o un motivo per cercare un in essa una identità o un riparo. Abbiamo scelto di dar voce ai sopraffatti dalle logiche della prevaricazione, a chi viene lasciato solo, a chi di solito non viene scelto come protagonista di una storia. Il messaggio che vorremmo che passasse è l’invito a non ridurci ad essere le “mille monadi sigillate” di cui parlava Primo Levi, di sospendere il giudizio sugli abitanti della cosiddetta zona grigia, di cui tutti facciamo parte e, se possibile, di comprendere.
Quali sono le vostre maggiori influenze? Quali sono i tre brani essenziali che consigliereste di ascoltare almeno una volta nella vita?
Le nostre influenze sono molto variegate, e ognuno di noi riesce ad apprezzare quasi tutte le sfumature di qualsiasi genere musicale. Sicuramente avvertiamo maggiore affinità con il rock, linguaggio tramite cui ad oggi sentiamo di esprimerci al meglio. I nostri punti di riferimento per questo progetto sono principalmente A Perfect Circle, Muse, Foo Fighters. Non è una scelta facile, ma se dovessimo consigliarne solo tre sarebbero “Parabola” dei Tool, “Like A Stone” degli Audioslave e “North Of No South” dei Biffy Clyro.
Con quali artisti del panorama italiano vi piacerebbe collaborare?
Sarebbe bello per noi poter collaborare con Elisa, Cristina Scabbia, Edda o i Bloody Beetroots. Ci piacciono moltissimi artisti italiani, ma di loro abbiamo particolare stima.
Avete già nuovi progetti per il futuro?
Ci stiamo attualmente preparando per suonare dal vivo, abbiamo già fatto qualche concerto di rodaggio dopo essere stati fermi per diverso tempo a causa della pandemia. Inoltre non trascuriamo mai il focus principale, che è quello di portare sempre nuove idee e di svilupparle insieme, che si tratti di composizioni musicali o di contenuti per i social media.
Articolo del
25/10/2022 -
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