Un titolo rassicurante com’è rassicurante anche il suono che troviamo dentro quello che in qualche modo potremmo considerare un esordio di forma per un artista navigato ormai da tempo. Manuel Ciccarelli che conosciamo come Feexer, moniker che imprime anche nella firma della band che da vita e suono al “Don’t Bother” questo disco che porta in scena uno sfacciato gusto internazionale, un pop distopico com’è distopico il senso dell’immagine, dalle soluzioni di arrangiamento sin dentro il video ufficiale di “What It Takes” girato in un luogo epico che ha rappresentato per anni una Mecca della scena alternativa: lo Zeta Factory di Carpi. Siamo dentro le trame di una liquidità dal sapore inglese, irriverente, nevrotica, lineare.
Sempre più spesso troviamo derive esterofile di grande qualità nelle produzioni indipendenti italiane. E spesso come ora sembra mescolarsi Italia, America e Inghilterra. Voi dove pensate di guardare? Una gran fetta della musica che ci ha influenzati e che continua a influenzarci proviene dai lavori di band britanniche o americane, sarebbe quindi impossibile affermare che non continueremo a guardare a quei paesi come prime fonti di vecchi e nuovi stimoli. È ormai da tempo però che viviamo in un mondo globalizzato, totalmente interconnesso (anche in questa fase in cui tanti provano a erigere nuovi muri): è difficile immaginare che lo sviluppo di un determinato filone della storia musicale rimanga appannaggio di una sola zona del pianeta. Le rielaborazioni e sperimentazioni, sempre che non siano fini a sé stesse, avranno un ruolo fondamentale nel portare avanti i filoni in cui siamo soliti suddividere la musica e la nazionalità di chi produce queste nuove nicchie all’interno di un determinato genere avrà sempre meno importanza. Continueremo quindi a guardare all’orizzonte alla ricerca di nuovi spunti stimolanti per le nostre orecchie, da qualunque punto del pianeta provengano.
Il futuro che si mescola al passato. Inevitabile anche il gioco dell’elettronica dentro stilemi classici. E anche qui: passato o futuro? Le fusioni e i contrasti ci appassionano, e probabilmente accostare i sintetizzatori alle chitarre acustiche e ritmiche è una delle strade più semplici da percorrere in tal senso. L’elettronica e il rock si conoscono ormai piuttosto bene e tantissimi artisti hanno trovato il loro modo di fondere i due mondi in maniera efficace. Faremmo molto fatica a distaccarci da una delle due realtà per sposare completamente l’altra, ma se fossimo costretti sceglieremmo certamente il futuro. Sempre e comunque, però, con almeno una chitarra acustica a portata di mano.
Che poi emblematica questa copertina: quasi una rivelazione, quasi un’ascetismo spirituale. La luce cosa rappresenta: una via di fuga o un’apertura verso cose nuove? Il titolo dell’album, “Don’t Bother”, è in fondo una delle tante voci che sentiamo rimbombare dentro di noi quotidianamente. Lascia stare, non ha importanza, perché te ne preoccupi? Eppure sappiamo bene che quella voce è la nostra. È contro la nostra tendenza a far scorrere le cose senza attribuirgli un vero senso che ci capita di lottare. Il buio molto spesso ce lo creiamo da soli, persi nella stanchezza del quotidiano. Non è necessariamente una vera e propria illuminazione quella di rendersi conto che sono le cose più difficili a portare avanti il filo conduttore della vita, però se dovessimo individuare il momento di maggiore consapevolezza sceglieremmo proprio l’attimo in cui realizziamo di aver tenuto la testa fissa verso il pavimento per troppo tempo e guardiamo verso quella fenditura in alto. Un’apertura verso potenziali nuove cose…di noi stessi.
Il suono dei Feexer cerca davvero il dettaglio delle piccole cose anche dentro programmazioni più accese. O sbaglio? C’è una ragione precisa? Probabilmente questo è frutto dei nostri due approcci, che spesso convergono verso un obiettivo comune, ma che hanno tante differenze. Manuel è più diretto, sia nella stesura dei pezzi che negli arrangiamenti. Stefano è molto più incuriosito dai dettagli e dalla curvatura particolare che si può tentare di dare a una prima idea. Nella realizzazione di questo disco probabilmente i due ruoli si sono invertiti in più circostanze, ma questo dialogo ha dato modo di approfondire molto i dettagli e di creare solchi dove si erano sviluppate traiettorie un po’ più scontate.
E poi il video di “What it Takes” girato allo Zeta Factory. Perché questa scelta che comunque resta anonima nella clip… Lo Zeta Factory, per chi non lo conoscesse, è un insieme di studio di registrazione, sale prova e sale riprese, che ha permesso a tante realtà alternative della zona di portare avanti i loro progetti. Un’isola felice della musica indipendente in provincia di Modena. La clip di “What It Takes” è stata girata li e gestita da Gabriele “Rusty” Rustichelli, da diversi anni un punto di riferimento della scena alternativa locale grazie a suoi studi di registrazione e alle sale prove e di ripresa. La scelta è ricaduta sullo Zeta Factory per diversi motivi, ma il più importante e divertente è senza dubbio che uno dei registi del video vive lì! Ne approfittiamo per ringraziare Paolo Viesti, Joba e Roberto Zampa per il lavoro meraviglioso che hanno fatto: si è creato veramente un qualcosa di speciale in quei giorni di lavoro a Carpi. Tutto questo grazie al contributo di grandissimi attori come Damiana Guerra e Marco Massarotti e dell’artista di strada Dario Cerrato. Crediamo che la straordinaria energia umana scaturita in quei giorni di riprese emerga in maniera ben distinguibile nel nostro video.
Articolo del
21/11/2022 -
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