Lucio Matricardi Linee sottili di parole e melodie, il viaggio di Domenico Capitani

Un bel disco d’autore, come si confà ad una parola artisticamente alta come questa. Il linguaggio moderno lascia spazio ai grandi classici che tanto si rivedono dentro le volute di questi nuovi inediti di Lucio Matricardi dal titolo “Non torno a casa da tre giorni”. Richiami classici ma anche moltissima personalità che gioca comodamente con il gusto e le soluzioni finali, anche democraticamente accomodanti verso un certo tipo di elettronica. Elegante, poetico, credibilissimo… e soprattutto semplice.

Posso partire dicendoti che questa copertina non somiglia al disco che sto ascoltando? Sono mondi diversi… e penso che la diversità sia ampiamente celebrata nel concept artistico di questo disco… vero?
La copertina è la vecchia foto di un autovelox degli anni novanta. In macchina c’era mio padre. L’ho ritrovata tra vecchi fogli pochi anni dopo la sua morte. Una istantanea rubata alla sua velocità o al suo viaggio con questi colori azzurro e panna… mi sembrava come un “Wanted” molto poetico. Quando “esci di casa” veramente per raggiungere una reale trasformazione ci sta che il potere, il passato, chi non vuole il tuo cambiamento ti facciano una foto. Ma riescono a ritrarre bene solo il culo o la targa. La copertina come il disco esprime viaggio, fuga, libertà, allegria o malinconia di non sapere dove andare. Ma andare.

Per te la casa che significato porta?
La casa è un luogo magnifico, ma anche limitante. Questa sua contraddizione per me è piena di significato. C’è chi ama creare un paradiso intorno a sé, nel luogo dove sceglie di essere. E questo mi colpisce con grande stupore. Ma come tutti i posti accoglienti possono nascondere oltre alle nostre felicità, anche un ostacolo nel guardarsi. Esprimere l’incapacità di dirsi le cose in faccia con crudezza per essere più vicini ai propri sogni. È il meraviglioso rapporto tra le proprie “radici” e la ricerca attraverso l’esperienza di una nudità che non ti aspettavi.

E dunque, non tornare a casa, significa evasione, salvezza… oppure da intendersi come un problema? Vorresti tornare a casa?
Io resto sospeso. L’interrogativo è: se dopo tre giorni è successo tutto questo, cosa c’è dopo? Sarò in grado di farlo? Ma soprattutto: quante esperienze e quanti cambiamenti dovremo vivere per sentirci realmente a casa? È come se la casa comunemente intesa sia solo il preambolo di un luogo veramente nostro che dobbiamo ancora trovare.

Il suono di questo disco per la prima volta ti chiama ad un impegno maggiore. Come nasce tutto questo? Idea e bisogno tuo o hai raccolto l’invito di qualcuno?
Io scrivo canzoni per esigenza intima. Sfogo le mie gioie e le mie frustrazioni. Il pianoforte è stato sempre un grande amico. Lo suono fin da bambino. È come uno zio simpatico e intraprendente con cui ti puoi confidare. Poteva bastarmi. Poi un giorno in un incontro il grande Riccardo Sinigallia mi disse: “Se non usi i suoni del tuo tempo non sarai in grado di raccontarlo fino in fondo”. Mi sono messo a studiare e ad aprirmi per vedere cosa succedeva. Tanti nuovi colori, sintonizzati a quello che vivevo. Le orecchie del mondo per aprirsi hanno bisogno di una formula magica, un sound, che si può trovare solo in una immensa discarica che accoglie tutti i suoni del mondo.

Che poi alla fine non ti sei spinto troppo in la… hai osato ma sempre su sentieri classici. Avresti voluto osare di più o di meno?
Ho fatto ciò che era sincero. Giocavo da 3 mesi con un sintetizzatore, mi attraevano i suoi suoni crudi, originari. Non sarei più riuscito in seguito ad usarli con questa ingenuità. Questo lo sapevo. E quindi ho detto: “Vai sintetizzatore, raccontiamoci come se ci conoscessimo da mille secondi”. Articolo del  08/12/2022 -  ©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati