Lui è Federico Russo che conosciamo bene con il nome di Novadeaf… e questo è “Bellicus”, il nuovo disco che rompe un silenzio di sette anni. Chiuse le coordinate discografiche ci immergiamo in questo suono dentro cui l’uomo e le sue relazioni esterne tornano verso un carattere di naturale emozionalità e dunque il concetto di conflitto con se stessi come anche verso il mondo sociale che ci circonda. A tutto questo si contrappone un pop d’autore internazionale di matrice inglese ben determinato dentro soluzioni spesso digitali e questo è da contrasto alla condizione umana tout court. Uno dei tanti ascolti interessanti che dichiarano evidente l’intenzione delle nuove penne italiane ad espatriare verso generi più cosmopoliti.
Sempre l’uomo al centro. Eppure il suono di questo disco basa i suoni tanto su soluzioni digitali... cose che non appartengono all’uomo… una contraddizione? Diciamo che mi piace arrangiare i miei pezzi in modo che ci sia sempre qualcosa di "tecnologico" (synth, drum machine) che dialoga con qualcosa di "umano" (gli strumenti suonati che pure sono onnipresenti: la chitarra, il violoncello e poi la stessa voce). Più che contraddizione, quindi, parlerei di dialogo, al limite di contrasto.
Si parla di conflitto… che genere di conflitto risolve, spiega o denuncia questo disco? "Bellicus" vuole essere un piccolo catalogo di tanti diversi tipi di conflitto. C'è il conflitto sociale ("No reason to be kind"), quello religioso ("Martyrs"), il conflitto fra due ex-amanti che ora si detestano ("B.D.S.M. Baby Don't Shoot Me"), c'è anche il conflitto per eccellenza, la guerra ("The Warchild"). C'è pure un omaggio al mio scrittore preferito, Tommaso Labranca ("TLA"), uno che aveva basato il proprio pensiero proprio sul conflitto, sull'anticonformismo.
Copertina visionaria, psichedelica in fondo. Perché questi colori accesi dentro un disco che ha tante tonalità a pastello? Perché il conflitto accende i toni. E poi perché mi piaceva l'idea di calare una scultura manierista (un "Davide e Golia" del primissimo Seicento) in una ambientazione iper-moderna fatta di glitch e tonalità fluo, vagamente ispirata all'estetica vaporwave. Ancora una volta un contrasto.
Oggi che storia riporti a casa? “Bellicus” è bandiera di tantissime produzioni indipendenti italiane… secondo te hanno una vita che meritano? Sinceramente non penso che "Bellicus" possa essere preso a bandiera di qualcosa se non della mia specifica identità musicale. Il mondo ricco e variegato delle produzioni indipendenti italiane vive un momento, a mio avviso, molto difficile e complicato. Ormai ho una certa età e ricordo bene che c'è stato un tempo in cui esisteva tutto un circuito "indie" ben strutturato che si ergeva ad alternativa del "mainstream". Da circa quindici anni quel circuito è stato progressivamente schiacciato dalla crisi e si è frantumato in mille realtà più piccole e dall'impatto minore. Dove una volta c'erano poche, solide scene musicali oggi c'è un pulviscolo di centinaia di proposte, iniziative, webzine, festival, locali. Per non parlare dell'impatto dei social. La musica "bella e indipendente" esiste ancora, ne sono certo, ma oggi è molto più difficile scovarla.
In rete troviamo dei video live molto interessanti e ben fatti. Che dimensione hai riportato in scena? Hai asciugato il suono o hai cercato nuove soluzioni? "Bellicus" è un album complicato da portare dal vivo. Al momento ho voluto optare per una incarnazione minimale che rispecchi quella divisione "tecnologico vs. umano" di cui parlavo nella prima risposta: sul palco solo tre musicisti con strumenti classici come pianoforte, chitarra e violoncello. Tutto ciò che è sintetico va in base. Per ora questa soluzione mi pare la più pratica e conveniente. Vedremo poi cosa succederà...
Articolo del
22/03/2023 -
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