Rosario Spampinato non è certo un artista che ama mettersi sotto il getto continuo dei riflettori. E infatti, da dietro le quinte, Pornoclown porta sulle spalle una carriera preziosissima di live e contaminazioni: da Modena City Ramblers, 99 Posse, Enzo Avitabile, Tony Cercola, Lampa Dread, Dj Vito War, Junior Kelly, Lucariello… giusto per fare delle citazioni. E soltanto oggi, lavorando assieme a Gino Magurno, produce e pubblica il suo esordio discografico dal titolo “Il circo del sound” uscito per INTERBEAT Records di Luigi Piergiovanni. Disco dentro cui troviamo featuring altrettanto importanti come Edoardo Bennato a Tony Cercola, da Capone dei Bungtbangt a Pietra Montecorvino ed Eugenio Bennato, da Daniele Sanzone degli A67 a Daniele Blaquier dei Neri per caso, da Gianni Migliaccio ad Annibale Guarino col suo stupendo sax. Il rap metropolitano, di dissenso sociale e civile, di romanticismo noir di cemento e rinascita.
Partiamo dal moniker: pornografia, erotismo spinto ed un clown che richiama anche scene di grandi classici dell' horror... come si lega tutto questo? Pornoclown è un nome provocatorio che si ricorda facilmente, porno e clown, trasgressione e irriverenza due caratteristiche che non necessariamente si riscontrano nella musica che faccio, ma nel linguaggio ricorrente esclamare che una cosa sia porno è come sottolineare qualcosa di estremamente bello ed appagante che scuote il costume e le convenzioni, mi piace essere un cantore-giocoso che stravolge poi il modo consueto di pensare senza mai trascendere nella volgarità.
E poi il disco e la lirica che fa critica sociale in modo spietato e senza veli. come se la realtà fosse un film horror? Posso affermare quasi con certezza che la realtà è sorprendentemente peggio di un film horror, considerando gli avvenimenti mondiali di questi ultimi anni, grazie a Gino Magurno co-autore dell'album, abbiamo lavorato con l'obiettivo di affrontare nei testi tematiche attuali che offrissero spunti di riflessione e probabilmente non siamo stati spietati, ma onesti.
E dunque per te la maschera che rappresenta? Mi viene in mente un passo di Barthez nel suo libro sulla fotografia quando dice: "la maschera è il senso in quanto assolutamente puro". Mi fa pensare alla capacità del teatro e in generale al grande archetipo della maschera, la possibilità di cogliere in ciò che appare qualcosa di invisibile, qualcosa di più profondo, la maschera in quanto senso indica per questo la coscienza del limite, la consapevolezza di una dialettica costante tra la forma e l'informe come avveniva nella tragedia antica.
In scena con o senza? Non riuscirei a cantare mascherato, uso la maschera per fare i videoclip ed evitare troppe scene di sincronizzazione labiale, è una delle cose che odio di più di questo mestiere assieme alle foto in posa per le copertine.
Articolo del
23/05/2023 -
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