Ascoltare la musica di Capitano Merletti è come indossare degli occhiali magici che trasformano il mondo in un caleidoscopio di suoni, in cui la psichedelia colorata dei Sixties si fonde con l’indie-folk più intimo. Un’arte affinata negli anni e giunta al suo opus magnum con questo nuovo album doppio, Medusa, uscito il 24 novembre per Pipapop Records e Beautiful Losers. Lo abbiamo intervistato per saperne di più, molto di più
Nella tua musica c’è molta psichedelia, un genere che ha subito molte trasformazioni, sonore e filosofiche. Cos’è per te la psichedelia? Per molti presumo sia assumere droghe allucinogene, aprire le porte della mente o cose così ma non è il mio caso. Io sono psichedelico di natura, nel senso che sono sballato di mio, senza droghe. Ho ascoltato molto la musica psichedelica in generale ed è la cosa che mi interessa di più di quel movimento o cultura, chiamalo come vuoi. Adoro le sfumature lisergiche nei brani, tutto quello che va oltre i classici arrangiamenti canonici, mi piace filtrare i suoni fino a rendere irriconoscibile la fonte, sperimentare i reverberi e le modulazioni di fase. Sono rimasto folgorato da ragazzo nel vedere i Sonic Youth dal vivo, le parti rumoriste che nei brani dei dischi registrati in studio potevano essere un pò noiose dal vivo prendevano tutta un’altra forma, erano come dei buchi spazio temporali, erano la cosa più bella del live, non vedevo l’ora che lo facessero ancora, per poter tornare in quel vuoto, quella sensazione di abbandono, quasi che il tempo si fosse fermato. Ecco la mia definizione di psichedelia: qualcosa che ti fa andare oltre le dimensioni comuni del nostro vivere, per alcuni sono le sostanze, per me è la musica.
La tua carriera di musicista è ricchissima. Cosa rende “Medusa” diverso da tutto quello che hai fatto prima? E’ il compimento di un percorso personale sia di scrittura dei brani che di registrazione degli stessi in studio. Le canzoni vengono da un periodo molto spensierato che ho vissuto e il lavoro in studio è stato elaborato nel senso che ho sperimentato molto, non mi sono accontentato delle prime intuizioni. Ho usato questo disco anche per imparare a registrare e produrre in maniera più professionale. Perciò è diverso perché è più maturo, più completo, c’è dentro tutto quello che volevo fare. Non so se rifarò mai nella vita un disco così complesso e stratificato, mi piacerebbe andare nella direzione opposta adesso, per sperimentare soluzioni più scarne e lo-fi, un po’ di sporcizia che non guasta
Se dovessi presentare “Medusa” a chi non ti conosce, quali sono le quattro canzoni che gli consiglieresti di ascoltare e perché? Consiglierei dei brani molto diversi per far capire che la musica può essere veramente libera, non dovrebbe essere confinata dentro un genere per assecondare le esigenze commerciali. Certo, ogni artista ha le sue fasi, probabilmente dentro "Medusa" ce n’è più di una che mi riguarda. “Always Needed Something”, una canzone chewing-gum, due accordi per quasi tutto il brano, come fare una canzone tutta ritornello. “Oh My Lord, My Love”, perché la musica alle volte è anche una preghiera, verso un dio o verso il nostro dio interiore. “The Birds’ Song” perchè ha i violini più belli del disco, fatti da Dnezzar aka Jacopo Mazzer, musicista incredibile e amico carissimo. “Little Sun (Me and the Alien)” perchè ha dei suoni e delle sfumature particolari che mi sono venute quasi per caso, un arrangiamento imprevisto di cui sono molto soddisfatto. E’ una canzone fortunata
Nell’era dei singoli e dei selfie hai pubblicato un disco doppio e ti mantieni defilato. È una presa di posizione o semplicemente certe cose non t’interessano? “Medusa” è un lavoro che racconta una parte della mia vita. E’ un lavoro corposo di cui avevo bisogno per voltar pagina, magari per essere più scarno o più imperfetto la prossima volta, per poter ripartire dal foglio bianco. Volevo fare almeno un album doppio nella mia “carriera” musicale perchè l’hanno fatto tutti gli artisti che stimo di più, quindi ho spuntato la casella, sono contento così. Essere defilato non è una scelta, è capitato forse perchè è una necessità personale, non sono uno che parla molto, che cerca gli agganci e ammicca con tutti, sono concentrato sulla musica e nel processo creativo, sono un pò orso. Sono quello che agli esami all’università non provava mai gli esami, arrivava dopo mesi e mesi di studio e approfondimento, un tipo un pò palloso
C’è in Italia, in Veneto una scena in cui ti riconosci? Ce la descrivi? In Veneto gira parecchia bella musica, negli anni sono stato spettatore della fioritura di tantissime band e artisti interessanti e originali, che non hanno nulla da invidiare a band blasonate all’estero, alcuni addirittura arrivati fino agli States, mi vengono in mente i primi dischi dei Jennifer Gentle. Io per esempio sono cresciuto con i live degli One Dimensional Man, Pierpaolo Capovilla lo incontravo tra le nebbie padane circa trent’anni fa… A Verona ci sono gli amici C+C= Maxigross che hanno partecipato alla compilation della nostra etichetta Pipapop Records, che promuove molta musica veneta ma non solo. Se cerchi bene trovi dei tesori nascosti, basta essere aperti. Poi ci sono tante etichette per tutti i gusti, persone speciali con una grande passione per la musica che sono nostri amici, collaboratori e compagni di viaggio, tra tutti Beautiful Losers ma non dimentichiamo la mitica Go Down Records, Shyrec, Dischi Soviet, Uglydog Records, Lizard Records e molti altri. Non so se è una scena, sicuramente è una bella cornice in cui ci si aiuta e ci si confronta
Articolo del
23/12/2023 -
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