Dentro un disco come “Orange” c’è di tutto. C’è il pop da cassetta, anzi da file digitale, c’è il funk di quelli famosi, c’è Los Angeles ma anche Torino, c’è Berlino ma anche il Giappone. Ormai rimasti in due gli Anudo, ovvero Daniele Sciolla e Giacomo Oro, hanno dato immensa dimostrazione di maturità con un lavoro che davvero non smetto di ascoltare. Hanno curato il suono che sembra provenire da produzioni di ben altra statura, hanno curato la scrittura che gli incisi funzionano senza svendersi mai. Hanno fatto in modo che la luce dentro la parola orange diventasse conseguenza dell’immagine di copertina così come del suono stesso di ogni brano. Insomma: è un viaggio davvero molto interessante.
Elettronica e chitarre. Ma anche le voci non sembrano affatto lontane da un concetto tecnico di futuro o sbaglio? Le voci possono tranquillamente essere definite il terzo strumento assieme a synth e chitarre, per cui anche su di esse abbiamo lavorato con la stessa cura e con l’ottica di un suono globale che potesse contenere la fusione di ogni elemento. Il risultato rappresenta di certo il presente ma quando ci mettiamo al lavoro su un suono aspiriamo a qualcosa, per noi, di nuovo, di inesplorato e forse si, questa è un’intrinseca ricerca del futuro.
Bon Iver? Quell’immaginario quanto ha contato? Artista di gran livello ma che non si è presentato in fase di scrittura. Parecchia roba ci è transitata davanti durante le sessions del disco e ci è difficile individuare un unico punto fermo relativo all’ispirazione. Veniamo bombardati da così tanti input che in un modo o nell’altro influiscono nel flusso produttivo, ma cerchiamo sempre di rielaborare il “segnale”, che è anche uno degli aspetti più interessanti del lavoro.
Ancora sui suoni: la ricerca sembra comunque non aver troppo dedicato attenzione alla forma nel senso che avete comunque rispettato un canone di forma canzone “standard” o sbaglio? Più che rispettato, abbiamo assecondato un flusso compositivo nato durante le improvvisazioni in studio, cercando poi di mantenere quella genuinità anche nella struttura.
Bellissimi i video, d’altronde è forte il potere visionario del disco. Parliamo di “Faster”: psichedelica allo stato puro? Più che di corsa sembra che qui si resti incastrati senza via di scampo… Grazie, i video per noi sono un lato espressivo molto importante attraverso i quali ci piace far scorrazzare l’immaginazione. Ne abbiamo prodotti tre per i singoli dell’album, utilizzando tecniche diverse per ognuno e “Faster” è stato uno dei più divertenti da creare, si abbina ad una traccia a cui siamo particolarmente legati e il risultato ci elettrizza ogni volta che lo si rivede, forse anche per la psichedelia che hai citato.
E che meravigliosa chiusa è “You”? Sapete che ho a tratti riascoltato qualche bella tintura dei Queen? Da dove nasce e perché un brano così di rottura con tutto il resto? Grazie per l'apprezzamento. Non ci abbiamo ragionato: è stata una traccia che è stata scritta spontaneamente, ci è piaciuta da subito e non abbiamo mai avuto dubbi sull'inserirla o meno nel disco. Certo, non è una scelta scontata, a posteriori stacca molto dal resto delle tracce, ma durante la stesura del disco appunto è stato tutto molto naturale. Come altri brani 'YOU' è nato da scritture indipendenti: sovente da quando siamo in duo scriviamo separatamente e poi ci scambiamo le strutture, per avere maggiore intimità con quello a cui lavoriamo. Questo metodo ha sicuramente influenzato molto il sound di questo disco e forse esce in modo palese proprio in YOU dove l'intimità della traccia è eclatante.
Articolo del
12/01/2024 -
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