Una miscela perfetta dove si incontrano linguaggi, ritmi, suggestioni e caratteristiche musicali di culture diverse, geograficamente lontane tra loro. Contrast è l’ultimo lavoro dei Tupa Ruja formazione fondata dalla cantante Martina Lupi, autrice e compositrice dei brani dalla personalità eclettica e poliedrica, e da Fabio Gagliardi didgeriduista e percussionista dalla grande sensibilità artistica. A completare la formazione ci sono Mattia Lotini al bouzouki, Stefano Vestrini alla batteria, percussioni, canto armonico, con ospiti di grande rilevanza artistica come Javier Girotto al sax soprano e quena, Alessandro Gwis al pianoforte, Marco Siniscalco al basso e Michele Gazich al violino. A raccontarci quest’ultimo progetto é Martina Lupi.
Siete un duo che si è fatto le ossa tantissimo in strada, teatro di ibridazioni e contaminazioni perché permette all’artista di entrare in contatto diretto, sfondando la quarta parete, con il pubblico. quanto questo approccio é stato fondamentale per il vostro lavoro? Il progetto Tupa Ruja è del 2006, anno in cui ci siamo conosciuti a Roma e abbiamo deciso di unire i nostri “bagagli artistici” e partire, per portare la nostra musica in giro per il mondo e approfondire lo studio sul campo di tecniche vocali e vari strumenti appartenenti a culture diverse. La prima tappa è stata la Spagna, poi la Germania, la Francia, il Portogallo, la Macedonia. Ma soprattutto la terrazza sul Foro di Cesare in Via dei Fori Imperiali, a Roma, per circa 7 anni, di domenica mattina è stato il palco dei concerti come musicisti di strada, la nostra “vetrina sul mondo”, dove abbiamo venduto tanti nostri CD, conosciuto produttori di diverse nazionalità che ci hanno organizzato tour all’estero e dove siamo cresciuti artisticamente consolidando l’idea di una carriera musicale. La strada è stata una grande palestra, che ci ha fatto raggiungere i traguardi di oggi.
Da dove nasce l’idea primordiale di sperimentare attraverso la world music? Il progetto Tupa Ruja è nato con il mettere insieme il didjeridoo e la voce, due tra gli strumenti più antichi della storia. Ci siamo conosciuti ad un corso di teatro sperimentale poiché entrambi avevamo vinto una borsa di studio messa a disposizione dalla Regione Lazio nel 2005. Al termine del corso, abbiamo iniziato a viaggiare e approfondire sul campo lo studio di strumenti e tecniche vocali di diversi Paesi e culture, che erano già state oggetto della nostra formazione e parte integrante dei nostri bagagli artistici fino a quel momento. Il progetto si è distinto nel tempo per le sue caratteristiche di ricerca di sonorità, lingue, dialetti, ritmi, strumenti appartenenti a culture diverse e lontane tra loro, con una sperimentazione che talvolta supera la tradizione.
Dalla strada ai palchi: avete partecipato a molte rassegne vincendo anche importanti premi, avete modo di suonare con il pianista Alessandro Gwis per diverse volte all’Auditorium Parco della Musica di Roma, come in occasione dell’Etno jazz night. A proposito di contaminazioni tra jazz e musica etnica, sono state proprio collaborazioni come queste a farvi trovare la chiave di volta per una così ben riuscita mescolanza? Il ritorno ad una musica naturale, costituita da ritmo e melodia, è stata oggetto di fascinazione da parte di musicisti esperti di armonia. Nel tempo ogni album ha acquisito un tessuto espressivo sostanzialmente differente dagli altri, ma l'intento di unire suggestioni, emozioni, a sfumature sonore di vario genere per far coesistere strumenti, linguaggi e caratteristiche musicali di colture diverse, ha sempre contraddistinto il nostro progetto. La collaborazione con Alessandro Gwis ha dato al nostro genere una veste raffinata e contemporanea e insieme a lui abbiamo sperimentato sonorità e linguaggi sicuramente più vicini al Jazz, ma il jazz, nel suo modo di suonare con noi, ha rappresentato solo una linea guida mai del tutto percorsa. "Los elementos", un brano presente nel nostro nuovo disco, fu presentato durante un concerto alla Cavea dell'Auditorium Parco della Musica di Roma, dove ospite del nostro concerto insieme ad Alessandro Gwis c'era il maestro Antonello Salis. Nonostante la ricchezza dell'apporto jazzistico, la connotazione world del nostro stile è sempre stata predominante, come la scelta di intrecciare i linguaggi che stabiliscono ponti tra culture e personalità. Nel nuovo disco, oltre alla presenza di Michele Gazich e Alessandro Gwis, ci sono ospiti come Javier Girotto e Marco Siniscalco, jazzisti di grande rilevanza che comunque, come nel caso di Javier Girotto, sono in grado di comunicare tutta l'eredità etnico linguistico culturale, talvolta della propria terra d'origine (nel caso di Girotto l'Argentina), lasciando spazio a contaminazioni e sperimentazioni che rivelano grande apertura mentale e donano sicuramente al nostro progetto un valore unico, che tende ad abolire limiti spazio temporali, mescolando suoni, strumenti, tecniche e linguaggi al di fuori di qualsiasi rigida struttura espressiva e stilistica.
A febbraio 2025 è uscito “Contrast”, un album di 10 brani, anch'esso divulgatore di un chiaro messaggio di inclusione attraverso una raccolta di canzoni poliglotta e attraverso collaborazioni. Cos'altro intendete comunicare attraverso questo lavoro? La scrittura di “Contrast” è stato per me (Martina Lupi), un viaggio emotivo nell'esplorazione di micro emozioni. Non solo le grandi emozioni possono ispirare svariate forme espressive, come ad esempio la felicità, la rabbia, la tristezza, ma emozioni come la mancanza, il desiderio, l'eccitazione, la nostalgia, sono state fondanti nel suggerire melodie e testi. I colori e le sfumature delle sonorità date da strumenti di diversa natura, da ritmiche, dal suono profondo del didgeridoo suonato a volte in modo melodico con tecniche specifiche, hanno rappresentato ogni suggestione in modo preciso e libero. Sosteneva Martin Lutero: "la musica ha delle risorse talmente meravigliose e preziose che ogni volta che cerco di parlarne e di descriverle mi mancano le parole". Eppure è dalle parole che nascono le mie canzoni e l'idea che il carattere narrativo dei testi sia presente e vada di pari passo con la musica. I dialetti poi, rappresentano l'origine di ogni lingua e consentono un'espressione intima, autentica, confidenziale. Ogni brano ha una tessitura narrativa ed espressiva sostanzialmente differente dall'altro, suggerisce ambientazioni e scenari a volte opposti e sicuramente rappresenta a pieno la mia personalità eclettica. È come se colori e sfumature cromatiche diverse fossero microcosmi di un intero, un luogo interiore che grazie alla maestria dei musicisti del quartetto e al valore artistico degli ospiti, avesse preso forma al di fuori di me.
Quanto è importante per voi lasciare un messaggio che stimoli le coscienze attraverso la musica? Nelle società tribali, la partecipazione collettiva alla musica ha sempre prodotto e favorito l'instaurarsi di un sentimento duraturo di fratellanza. Così come la partecipazione collettiva Ai concerti live, che amplifica e sigilla un senso di appartenenza ad una micro comunità. Sosteneva Stravinskij: "Il significato profondo della musica e il suo scopo essenziale è favorire la comunione, l'unione dell'uomo col suo prossimo e con l'essere supremo". Non esiste altro linguaggio che quello musicale, in grado di creare scambi emozionali, intellettuali, in grado di provocare piacere, di legittimare riti e istituzioni e promuovere la stabilità sociale. Nel nostro modo di fare musica, simbolicamente, la coesistenza di tecniche e strumenti appartenenti a culture diverse e lontane fra loro, ha l'intento di creare ponti tra culture.
In un mondo dove ormai le classificazioni di genere sono probabilmente superate, quanto sono importanti le contaminazioni e soprattutto quanto è importante contaminarsi anche per superare delle barriere stilistiche e soprattutto mentali? Combattere l'eterofobia in ogni sua forma è un orientamento che pone le basi nel desiderio di conoscenza. Ciò che è altro da noi è ricchezza. Abbattere ogni rigida classificazione di appartenenza è oggi un atto rivoluzionario, eppure, nell'espressione più autentica dell'essere umano, sarebbe naturale qualsiasi forma di eterogeneità ancor prima che sovrastrutture culturali possano influenzare menti e comportamenti. La fusione di razze, di stili, di culture, di sonorità, di sapori, genera sempre nuove creazioni che inevitabilmente avvicinano l'uomo ad un contatto profondo con se stesso, con l'altro e probabilmente con il senso della vita stessa: l’esplorazione della conoscenza. La musica del mondo ha proprio alcune di queste caratteristiche: da un lato la parte tradizionale che prevede l'utilizzo di strumenti e tecniche all'interno di linguaggi strutturati, che veicolano rituali, dall'altro la sperimentazione che si nutre della commistione dei generi e da questi crea un'ulteriore via percorribile. Decontestualizzando strumenti dalla loro funzione rituale e utilizzandoli con codici appartenenti ai linguaggi diversi, attraverso la sperimentazione, noi esprimiamo la nostra arte lontani da rigide classificazioni, partendo dalla ricerca, per giungere attraverso la "fusion" con altri strumenti e altri musicisti ad un genere musicale libero, difficile da etichettare.
Quali sono i vostri prossimi progetti e dove possiamo venire ad ascoltarvi live? I nostri prossimi progetti riguardano principalmente la promozione del nuovo disco "Contrast", lavoro al quale ci siamo dedicati con estrema dedizione, sigillando la nuova formazione in quartetto, con la quale nel 2022 abbiamo vinto il premio Alberto Cesa sul palco del Folkest. Abbiamo diverse date in estate per la presentazione del disco e stiamo lavorando per quelle autunnali. Il nuovo album che presenta collaborazione di musicisti di grande rilievo: Javier Girotto al sax soprano e quena, Marco Siniscalco al basso, Michele Gazich al violino e Alessandro Gwis al pianoforte, sarà presentato per la prima volta a Roma venerdì 4 aprile 2025 alle ore 21 alla Casa del Jazz. Siniscalco, Gwis e Gazich, saranno ospiti del nostro concerto
Articolo del
07/04/2025 -
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