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Artista che nei suoi live combina elementi sinfonici con elementi sintetici, dotato di eleganza e capace di arrivare a cuore e mente di chiunque ne ascolti le canzoni. Tutto questo è Max Gazzè, che abbiamo incontrato nel pomeriggio successivo al concerto tenuto a Livorno durante il festival Effetto Venezia.
Max, non tutti sanno che la tua carriera da musicista l’hai iniziata all’estero: come andarono le cose?
Dunque, io capitai a Bruxelles a causa del lavoro di mio padre, in quella fantastica associazione a delinquere chiamata Comunità Europea. Stare in Belgio mi ha permesso di incontrare molte tipologie di persone, con origini musicali diverse. Pensa che lì hanno una grande tradizione di jazz, con il quale anch’io mi sono cimentato; cominciai a suonare il basso in band locali, suonavamo dalle 19 di sera alle 7 di mattina spostandoci da un locale all’altro, ricordo che facevamo jam session in stile jazz realizzate in bettole fumose, da intellettuali, in verità tristissime..poi rock americano, e punk.
Forse è da queste varie esperienze che nasce il tuo amore per la sperimentazione.
Io in realtà la sperimentazione la uso con cautela, e credo che essa non possa esser legata ad una struttura geometrica, prefissata, della canzone. La mia è una sperimentazione “a sprazzi”, un flusso di contaminazioni differenti. Proprio riguardo al fatto che la canzone abbia ormai una struttura prefissata, del quale fanno parte anche i famosi 4 minuti massimi di esecuzione, è chiaro che la canzone ha un grosso limite rispetto alla necessità espressiva dell’artista.
Parlami della tua esperienza con Battiato, del tour nel quale apristi i suoi concerti.
Sì, Franco lo conobbi nei primi anni in cui facevo musica in Italia. Me lo presentarono i miei discografici, quelli della Virgin, dopo avergli chiesto se era possibile che io aprissi le sue date: lui ascoltò le mie cose, apprezzò e mi chiamò a suonare prima di lui in versione acustica, una cosa molto bella. Devo dire che nei miei inizi non lo conoscevo così bene, per quanto riguarda la sua musica, ma ci fu subito una grande intesa, ed una profonda stima da parte mia per quanto riguarda la sua capacità di sperimentazione ed il senso di quello che scrive a prescindere dalla bellezza armonica delle composizioni. In comune poi abbiamo l’interesse per lo studio della musica sacra e delle civiltà antiche: proprio su questo argomento, la prima volta che vidi Battiato dal vivo fu quando mio padre mi portò a vedere un’opera, il Gilgamesh, personaggio della mitologia sumera, della quale Franco aveva curato musiche e libretto, e ricordo che rimanemmo ad ascoltarlo nella conferenza post-opera. Un'altra cosa in comune con lui, anch’io sto lavorando ad un poema mesopotamico, quello dell’ Enuma Elis, che affronta il mito della creazione.
Perché questa passione per la cultura sumera?
Vedi, i Sumeri credevano che i sensi organici costituissero una sorta di tecnologia interna, indispensabile per l’uomo: noi poi abbiamo sostituito questo tipo di tecnologia con una esterna, prendendola ormai come riferimento primario della nostra esistenza. Io in questo senso apprezzo molto la loro cultura, e conoscerla mi permette di interpretare la musica come libretto d’istruzioni per comprendere la realtà, considerandone alcune caratteristiche, come i parametri armonici e di frequenza, come profondamente legate al tempo.
Mi incuriosisce il nome che hai dato alla tua tournee: “Casi Ciclici Tour”: qual è stata l’idea di base?
Mi intrigava il concetto di “casi ciclici”, che riguarda tutto ciò che avviene naturalmente nella vita, nella quale non c’è una misurazione inquadrata, schematizzabile, tutto è un continuo ciclico dello stesso aspetto. Se ci pensi questo avviene sia nel microcosmo che nel macrocosmo, il divenire delle cose coinvolge ogni ambito. E’ per questo che è corretto dire che il tempo non cambia, ma sono le cose a cambiare all’interno del tempo: l’eternità si manifesta nel cambiamento del tempo, cambiamento che è sinonimo di vita, poiché resistergli significherebbe soffrire, porsi contro qualcosa che necessariamente accade. Tutto si muove in maniera ciclica, e questo a volte ci sfugge, poiché è un movimento non inquadrabile, possiamo a volte solo percepirlo, ma non calcolarlo: appunto ci serviamo della percezione, che è prima del tempo, prima dell’intuizione. La musica in questo senso serve a mantenere a livello archetipico forme della conoscenza, ha una funzione di simbolo.
Qual è la situazione musicale italiana, oggi?
Io credo che nella musica, nel mercato, ci sarà un collasso. Il modo di fare musica non è quello attuale, e avverrà una separazione tra la musica vera e propria e ciò che comunemente ascoltiamo in questa epoca. Quello che si fa oggi in futuro non sarà più camuffabile. Il musicista vero è un eretico, è qualcuno che è scelto, si parla di vocazione: è un anticonformista che prescinde da condizionamenti esterni, dagli obiettivi di fama. La musica è una scelta profonda, che richiede studio, dedizione, passione viscerale.
Hai un modo di scrivere particolarmente poetico, a volte ai limiti dell’ermetico:questo riguarda anche il modo in cui componi, i cui risultati non sempre sono così immediati, o di semplice comprensione. Si tratta di scelta ponderata o è qualcosa di inevitabile?
Credo provenga dalla combinazione di esperienze diverse, dalla loro somma. Io stesso sono la somma di queste esperienze. Il processo di composizione è diverso dal momento del live, della musica dal vivo, ma il processo mentale che porta a scrivere una canzone è profondamente live, è creativo, si tratta di creazione non come mera unione di oggetti differenti, ma come arte, metter cose insieme con armonia. Questo processo non implica un tempo, ed è per questo che la dimensione live è immortale, che non finirà mai: è un contesto nel quale è arte chi suona, chi esegue, ed è arte chi ascolta e si emoziona.
A proposito dei tuoi live, il “Casi Ciclici tour” presenta una grande interazione tra elementi visivi e audio.
Sì, abbiamo lavorato sull’interazione tra elementi sintetici ed elementi sinfonici, un’alchimia intrigante tra due stati musicali apparentemente incompatibili. Pensa che uniamo, ad esempio, il suono di un theremin con quello di un’orchestra sinfonica. In più dietro di me sono proiettati dei video che producono suoni e completano la mia voce e l’accompagnamento della band.
Come ti ha cambiato la paternità nel modo di scrivere canzoni e melodie?
Dunque, il mio studio d’incisione l’ho messo nella stanza giochi dei bambini, per poter stare vicino a loro.. oltre a questo, è chiaro che la quotidianità vissuta a fianco dei propri figli influenza ogni tua scelta, comprese quelle musicali.
C’è nel tuo ultimo album una canzone,“Tornerai qui”, che ho apprezzato perché vi intravedo una certa malinconia: quanto un artista può esser autobiografico, e quanto invece produce stati d’animo artificiosi, ingannatori?
Il testo in realtà è di mio fratello, che me lo ha proposto, ed anch’io l’ho trovato interessante ed ho deciso di usarlo. A volte non si focalizza un momento di percezione, o diventa complicato tradurlo in uno stato operativo, inserirlo in un processo creativo: non sempre è semplice traslare un’intuizione in un arrangiamento, in una composizione. Io, anche grazie a tanti anni di esperienza, cerco sempre di conservare gli stati iniziali, quelli dell’animo, e di trasportarli nel processo compositivo: si tratta di mantenere il momento particolare nel tempo, nella scrittura, tralasciando gli elementi che possono influenzarti. E’ per questo che per scrivere a volte è necessario diventare un alieno, riuscire ad estraniarsi. Quindi, per quanto mi riguarda, spesso i miei testi riguardano me in prima persona, quello che sento in determinato momento, e che riesco a conservare per il tempo necessario alla composizione.
Con chi ti piacerebbe collaborare, in futuro?
Nel prossimo disco mi piacerebbe poter fare qualcosa con Peter Gabriel, artista che ho sempre stimato e che ho conosciuto personalmente. Devo dire che vorrei tornare a collaborare con Franco Battiato (in realtà Max lo chiama “Zio Franco”..), ma so che lui è molto impegnato. Magari riuscirò a coinvolgerlo nell’opera su cui sto lavorando ormai da 10 anni, quella del poema sumero, ma lui non è facile da incuriosire, nonostante sia una persona estremamente curiosa e creativa..ha bisogno di ricevere una sollecitazione che lo innamori, forse perché in carriera ha già avuto esperienze di ogni tipo.
Articolo del
13/08/2009 -
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