|
Ciao Carlo, innanzitutto grazie per il tempo che dedichi a Extra!. Il nuovo lavoro dei Resurrecturis, “Non Voglio Morire”, ha visto la luce ben cinque anni dopo “The Cuckoo Clocks Of Hell”, disco che personalmente ho amato molto. Nel frattempo, il progetto Resurrecturis ha attraversato diverse traversie e cambi di formazione. Come ti trovi a lavorare con questa nuova formazione?
I musicisti con cui collaboro attualmente sono dei veri assi, persone con una esperienza che travalica i confini del metal e con un’attitudine molto positiva. In realtà ormai i Resurrecturis non si possono più considerare una band vera e propria, sono piuttosto un mio progetto personale. Quindi la scrittura dei brani viene fatta da me a casa. Dopodiché quando viene il tempo di fare delle registrazioni o dei live ognuno si studia la propria parte a casa ed infine ci incontriamo per fare qualche prova.
Alla luce di queste vicissitudini, sei soddisfatto del risultato?
Sicuramente ci sono delle cose che cambierei nell’album, soprattutto per quanto riguarda la voce. Ma viste le condizioni impossibili in cui abbiamo registrato direi che il risultato è abbastanza soddisfacente. La cosa che proprio non digerisco è che per raggiungere lo stesso risultato avrei potuto faticare molto di meno se un paio di persone (il fonico dello studio ACME e il nostro ex cantante/chitarrista Janos) avessero tenuto un comportamento maggiormente professionale e corretto.
L’album è in gran parte centrato sulla tematica dell’arte e del modo di essere dell’artista, dico bene?
Si. “Non Voglio Morire” è il primo capitolo di una dìalogia che intende rappresentare due componenti molto grandi della mia vita: arte e lavoro. Siccome da molti anni mi divido, come tanti altri, tra attività artistica “notturna” ed attività lavorativa “diurna”, ho pensato di dedicarmi ad una profonda riflessione su questi due aspetti. “Non Voglio Morire” è il capitolo dedicato al mio rapporto con l’arte e con la musica. In esso ho cercato di sintetizzare il mio lungo percorso, cominciato quando avevo 9-10 anni, sottolineando una serie di tappe e passaggi che mi hanno portato ad essere dove mi trovo oggi. Non ho voluto creare una vera e propria narrativa, quanto piuttosto delle suggestioni che potessero evocare stati d’animo e situazioni che anche altri hanno provato nel loro percorso.
Anche la parte grafica è molto particolare e curata: ha una continuità con i contenuti dell’album?
Ti ringrazio molto. La verità è che i musicisti che hanno collaborato alla parte sonora del disco sono tutti personaggi di primo livello. Analogamente per la parte grafica mi sono appoggiato ad artisti, fotografi e grafici dalle grandi capacità. Non ti nascondo che non è stato facile essere il perno attorno a cui tutte queste persone ed attività ruotavano. Mi ha aiutato molto il fatto di avere un progetto molto chiaro in mente. Altrimenti sarebbe stato facile smarrirsi.
L’artista che parla dell’arte: è un punto di vista sempre interessante, anche se non nuovo. Quando componi ti capita di ricorrere a “citazioni” e riferimenti ad altri artisti, non necessariamente musicisti?
Il mio interesse per l’arte contemporanea risale ormai a molti anni fa. Non ho seguito nessun percorso di studio, tipo accademia delle belle arti e cose del genere. Semplicemente ad un certo punto ho iniziato a sentire che alcune opere d’arte mi comunicavano qualcosa e mi procuravano piacere. Da allora ho cominciato a frequentare mostre ed a stringere qualche amicizia in questo mondo. Direi che più che cercare delle citazioni in maniera consapevole, mi succede che alcuni artisti mi colpiscono in maniera forte, lasciando una traccia dentro me. A volte capiterà che questo seme germoglierà e entrerà a far parte di qualche mio lavoro, ma solo dopo essere stato digerito ed assimilato.
Tra i brani ce n’è uno che si intitola, appunto, “The Artist”, che si discosta nettamente dal resto della tracklist, e dal vostro sound in generale: ce ne parli un po’?
La prima idea da cui è nata ”The Artist” era una specie di ballata acustica dissonante. Questa canzone ha richiesto un bel po’ di tempo prima di raggiungere la sua forma attuale. Preziosissimo in questo caso è stato il contributo di Alessandro Vagnoni che ha curato tutta la parte elettronica della canzone. È una canzone a cui sono molto affezionato, mi piace la sua struttura sbilanciata, con quel finale arpeggiato completamente antitetico rispetto a quello che si è sentito fino ad un attimo prima. Tra l’altro la parte vocale del brano è divisa tra i miei rantoli nichilisti e la voce melodiosa di mia sorella Gloria, che è una cantante professionista diplomata al conservatorio. Il testo è uno dei più riusciti di tutto l’album.
Nel corso della vostra carriera, siete passati dal grindcore al death metal, fino a queste sonorità che raccolgono diverse influenze: c’è qualche brano, in “Non Voglio Morire”, che senti particolarmente tuo, o che meglio rappresenta questo nuovo corso dei Resurrecturis?
Ogni scarrafone è caro a mamma sua!! È davvero difficile per me scegliere una canzone da questo disco che è sicuramente il più personale che io abbia mai fatto.
Come nascono le vostre canzoni, e qual è il contributo e l’apporto di ciascun membro?
Tutti i brani nascono da una mia idea. A volte la sviluppiamo insieme, altre volte porto qualcosa di semi definitivo. Comunque c’è sempre una fase in cui i brani vengono arrangiati o in cui ciascuno dice la sua in merito alle singole canzoni. Anche per quanto riguarda l’architettura concettuale mi fa sempre piacere avere un confronto con gli altri ed anche con altre persone al di fuori della band, in modo da avere punti di vista differenti dalle mie convinzioni iniziali. A volte si fanno scoperte interessanti in questo modo.
Ultimamente, vediamo fare sempre più ricorso alle cosiddette “contaminazioni” musicali. Ha ancora senso pensare alla musica in termini di generi, sottogeneri e categorie? Secondo te questo eclettismo è positivo o no?
A mio modo di vedere la musica è una sola. Sette note sette. Al massimo possiamo distinguere tra buona musica e cattiva musica… I cosiddetti generi musicali possono essere utili per avere delle coordinate con cui orientarsi tra la miriade di sonorità che sono oggi a disposizione degli ascoltatori più avventurosi. Per il resto, il settarismo fondamentalista non mi interessa. La contaminazione è sempre esistita, oggi è dichiarata e spacciata come una novità. Prima era un segreto custodito gelosamente dagli artigiani della musica che alla pari degli alchimisti medievali legavano le varie sostanze alla ricerca della pietra filosofale.
La maggior parte dei brani di “Non Voglio Morire”, oltre alla qualità strettamente musicale, ha anche un buon potenziale “visuale”, si presta bene a videoclip, fotografia, pittura. Tra i gruppi o gli artisti che segui – italiani o stranieri, recenti o datati che siano – in quali ti capita di riscontrare questa doppia valenza?
Poco fa stavo ascoltando “Silver” dei Jesu e devo dire che ha sicuramente questa capacità di evocare immagini di cui parli. Altre band con questa capacità sono Rammstein, Marilyn Manson e così via, ma forse nel loro caso sono influenzato dalla cura che dedicano alla parte visiva della loro attività. Nel nostro caso trovo il tuo apprezzamento particolarmente gratificante visto che il disco tratta il tema dell’arte.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Fare un tour, registrare il secondo capitolo della dialogia e poi passare ad un nuovo progetto a cui sto pensando da qualche tempo. Grazie a tutto lo staff di XTM per avermi dato la possibilità di raccontare i Resurrecturis ai lettori del sito.
Articolo del
17/01/2010 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|