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La sera prima ti ritrovi di fronte ad un live infuocato, al Circolo degli Artisti straripante di persone, il giorno dopo invece stai vicino alla RAI a pranzare con la band, rilassata e serena e con una grande voglia di parlare. Pierpaolo Capovilla è in forma smagliante e, sostenuto dalla simpaticissima follia della new entry Nicola Manzan, ci rivela qualche segreto sul nuovo Teatro degli Orrori. Il tutto accade mentre passano piatti di amatriciana, carbonara e vino. Poco prima qualche battuta vola anche sulla cupola di San Pietro e sull’eterno ragazzo Gianni Morandi che passando di ci saluta con una mano gigante. Delle due ore passate insieme, fra battute e risate incontenibili, ecco i segreti emersi dalla nuova formazione.
Il Teatro degli Orrori è un nome complicato, ma allo stesso tempo facile da ricordare, come lo avete scelto?
P.C. In realtà volevamo chiamarci Il Teatro della Crudeltà, citando Antonin Artaud, poi abbiamo pensato che fosse un’idea impudica ed eccessiva, anche perché nutriamo un rispetto immenso per lui. Fu un uomo che soffrì tanto, una vittima della scienza del ‘900. Ricordiamo i cento elettroshock che subì. Abbiamo cercato un nome sgraziato, diverso dal solito. Ci piaceva l’idea di rifarci al progressive italiano degli anni settanta. E in quel periodo i nomi erano veramente terribili: la Premiata Forneria Marconi, il Banco Del Mutuo Soccorso, il Balletto Di Bronzo, tutte cose cosi insomma. Volevamo uscire dai soliti nomi sloganistici e fare qualcosa di più serio, è anche l’impronta che vogliamo dare al nostro progetto. C’è una certa alterità nome del gruppo e di conseguenza in ciò che facciamo.
Potreste descrivere le differenze sostanziali fra i due album, è stata una scelta mirata o è venuto tutto spontaneamente?
P. Sicuramente è venuta da sola, come in un percorso naturale. Trovo che ci sia un filo conduttore molto forte fra il primo e il secondo album, che ci siano più elementi di continuità che non il contrario. Indubbiamente questo disco è stato registrato in maniera più accurata. 33 giorni nelle Officine Meccaniche, di Mauro Pagani, servono per fare qualcosa di più accurato e bello. Anche di più intellegibile e, se vuoi, qualcosa di più classicamente rock. Arrivando in fondo del discorso il disco è più “commerciale”, adatto ad un pubblico più ampio.
Diciamo più fruibile?
P. Esatto bravo, anche più fluido. Sicuramente “A sangue freddo”, dal punto di vista poetico, è molto più attento all’attualità.
In quanto tempo è stato registrato l’album?
P. Il tempo è stato tanto perché 33 giorni, in uno studio serio, sono tanti per le nostre risorse, poi c’è stata la masterizzazione e anche una post-produzione fatta in un altro studio. Le prove sono durate tantissimo. Noi abbiamo anche la fortuna di non avere dei contratti da onorare. Non c’è nessuno che ci fiata sul collo, che ci corre dietro, possiamo fare il nostro lavoro con calma e serenità. Ed è esattamente ciò che abbiamo fatto.
Riuscite a coniugare il fenomeno del rock abbinando testi raffinati, è un modo per elevare quel tipo di musica che viene dal basso?
P. Bob Dylan faceva rock anche lui in qualche modo, in qualche misura, diciamo che faceva musica popolare. Dylan a 19 anni fece una cosa che, se non ricordo male, si intitolava “The Times They Are A-Changin’”, una raccolta di straordinari testi, di poesie eccezionali. Ci piace sentirci parte di una certa tradizione rock, non facciamo musica come intrattenimento ma come un elemento progressivo all’interno della società.
La violenza della musica mette in evidenza la raffinatezza dei testi o sbaglio?
P. Certo non c’è dubbio. Veniamo da una tradizione rock molto intransigente che è quella americana, sopratutto quella di Chicago. Ciò che ci piace di più lo coniughiamo con la nostra attitudine, con la tradizione cantautoriale italiana, siamo in Italia e mi sembra giusto cosi.
Parlando di nuovi innesti, come vi siete incontrati con Nicola Manzan?
P. Con quello li? (indicando Manzan che se la ride). Ce l’ha fatto conoscere Giulio Favero (grandi risate). Insomma è stato un consiglio di Giulio che, andando via dal gruppo, ce lo ha suggerito. Dopo molto prove, con vari musicisti, abbiamo optato per questa scelta. Poi se non sono pazzi non li vogliamo!! (risate) Per sostituire Giulio abbiamo dovuto avvalerci di due nuovi membri, Nicola Manzan e Tommaso Mantelli al basso.
L’esperienza live, per una band come la vostra, è fondamentale. Oltre a sprigionare la vostra energia vi aiuta a trarre nuova linfa, riff per esempio?
P. No, ci vogliono tante prove, mettersi a tavolino per parlare, discutere, suonare a lungo.
Cosa ne pensate del download, e dei tentativi mal riusciti di restringere la rete, che rapporti avete con quest’ultima?
P. Tutti i tentativi di imbavagliare la rete sono antidemocratici e liberticidi. In Italia c’è un ruolo abnorme del media televisivo, inutile ricordare che abbiamo il presidente del consiglio che si chiama Silvio Berlusconi, se la rete è meno sviluppata che in tutto il resto d’Europa non è un caso. Viviamo in un paese dove si cerca di restringere la rete, come dici tu. In merito al download non c’è mistero da svelare, sono favorevole in modo selvaggio e gratuito. Non me ne frega niente di vendere dischi, non me ne frega un cazzo del passato remoto, del presente e del futuro prossimo delle case discografiche. Credo che la gratuità che offre il download sia la cosa più democratica. Ma non è soltanto prendersi le cose gratis. È un momento del decorso storico in cui si fatica, tutti, ad arrivare a fine mese. Voglio vedere quanti ragazzi, o persone adulte, hanno 100/200/300 euro da spendere, al mese, in dischi. Evviva il download gratuito, mi dispiace per il mio conto in banca, ma non me ne fotte niente perché sono già RIC-CCO DEN-TRO!!
La tv ha per voi un ruolo fondamentale, chiaramente in senso negativo, cosa proponete come alternativa?
P. Nel nostro piccolo cerchiamo di parlare del reale, di ciò che c’è intorno a noi, indagando i rapporti sociali. Dipingiamo la società italiana per quella che è, senza fingere. Parliamo di cose vere. Non facciamo musica per intrattenere i nostri ascoltatori ma per farli pensare. Se la musica leggera è una forma d’arte, e l’arte è una forma di conoscenza, noi dobbiamo arricchire chi ci ascolta. Facciamo musica che PRETENDE di essere ascoltata. Non mi stancherò mai di dirlo: musica per il cervello e non per i piedi!!
Impossibile ignorare la forte componente letteraria dei vostri album, cosa leggete?
P. Non sono un grande lettore, leggo grandi classici da Dostoevskij a Shakespeare. Mi piace molto il grandissimo Luis Ferdinand Celine.
C'è un'idea centrale alla base del nuovo disco? All'ascolto sembra quasi un concept-album.
P. In realtà non abbiamo pensato ad un concept. Credo che all’interno del disco ogni singola canzone viva di vita propria. Ma non ti sbagli, che ci sia un filo conduttore, fra una canzone e l’altra, credo che sia vero in qualche misura.
Il Padre Nostro, Majakovskij, De Gregori, De André, Ken Saro Wiwa, Artaud, Capote, qual è il collante che tiene assieme tante immagini ed influenze in maniera così fluida??
P. Tutte le citazioni che sono nel disco sono state ben meritate. L’obiettivo di ognuna di queste citazioni è di aggiungere senso al senso, cioè di evocare, all’interno di una narrazione, un senso ulteriore. È uno stratagemma narrativo.
I testi del disco hanno valore autonomo, anche a leggerli da soli sembrano poesie. Come lavori alla scrittura e da dove trai ispirazione?
P. Ubriacandomi di notte per mesi. Ho passato mesi insonni. Lavoro ai testi in maniera certosina, fino alla paranoia, parola per parola, ci ho impiegato quasi sei mesi a scrivere queste canzoni.
Hai mai pensato di far uscire un libro, come hanno fatto alcuni tuoi colleghi musicisti (da Vasco Brondi a Godano)?
P. Si ho pensato di scrivere un libro, ma spero di non scriverlo mai come Vasco Brondi né, soprattutto, come Godano (grasse risate). No dai, intendo dire che conosco Vasco e ne ho grande stima, Godano è un amico, ma in Italia basta avere un minimo di notorietà che tutti si mettono a scrivere romanzi. Io non so scrivere romanzi, non sono un narratore, scrivo canzoni e mi fermo qui. Casomai, in base ad alcune proposte che mi si stanno facendo, potrei prender in considerazione l’idea di una raccolta di testi.
Come mai citi Pino Daniele?
P. Perché adoro Pino Daniele, il primo Daniele, dall’omonimo a “Terra mia” e Nero a metà”. Credo che, tornando al discorso di scrivere e narrare della società, Pino mi abbia insegnato che la società va narrata. Ma quello che lui in particolare riesce a metterci di più è l’amorevolezza, l’amore per la propria gente.
Esiste un'altra band con cui vorreste lavorare in futuro?
P. Ci piacerebbe molto suonare con gli Oxbow. Adoro Eugene Robertson. Credo che gli Oxbow siano il miglior gruppo rock del mondo.
Sai che dal vivo sta sempre a smanettarsi fra le gambe?
P. Con quel cazzone che si ritrova (risate), ha un fallo enorme (intervengono Manzan e Tomaselli con battute e tutti a ridere).
State lavorando a qualcosa?
P. Per il momento no. Abbiamo appena subito la defezione di Giulio. Lo ha fatto perché fondamentalmente ha un caratteraccio, ed è un po’ lunatico. Mi viene spontanea una considerazione, ognuno di noi ha il sacrosanto diritto di fare della propria esistenza, e vita professionale, ciò che vuole. Noi l’abbiamo tirato per la giacca fino all’ultimo, lui ha voluto cosi, pazienza. Ognuno è fatto a modo suo, non c’è stata nessuna questione fra noi. Ora la priorità è quella di re-implementare il gruppo, riuscire a suonare concerti della madonna. Siamo di fronte ad una tournèe interminabile. Praticamente per tutto il 2010. Di nuovi lavori se ne parlerà più avanti, per adesso priorità assoluta al live.
Componete sempre insieme?
P. In realtà abbiamo sempre lavorato in maniera scomposta, nel senso che la band lavora in stanza, io non ci sono mai per impegni di lavoro e molte altre cose. Ho lavorato a tavolino sui testi, a casa mia. Credo che adesso incominceremo a lavorare insieme, oh si insieme (ride).
Film e registi?
P. Me ne vengono in mente due, chiaramente eterogenei, molto differenti l’uno dall’altro, sono Cassavetes e Tarkovskij. Due cose molto diverse vero? Mondi opposti sì (risate).
Grazie di tutto Pierpaolo, anche a voi ragazzi.
P. Grazie a te, davvero.
Articolo del
02/04/2010 -
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