È una scommessa vinta in modo eccellente quella di Andrea Pomini: narrare “la storia dei Massimo Volume” dando la parola direttamente ai protagonisti. L’autore, nelle poche pagine della sua introduzione, cita “il modo di condurre le testimonianze” da parte di Nuto Revelli come metodologia cui aspirare nello “sbobinare, trascrivere, sistemare, etc.” le circa cinquanta ore di interviste raccolte nell’entourage Massimo Volume. A noi pare di intravedere anche una lontana assonanza con l’attitudine della “con-ricerca” di scuola operaista: senza bisogno di riportare le domande, ma con il coinvolgimento emotivo dato dalla parola scritta, che riporta la passione della conversazione orale. Davvero complimenti!
E allora in queste pagine troverete le narrazioni “in presa diretta” di una ventina di “personaggi” dell’epopea Massimo Volume: dai quattro fondatori Vittoria, Mimì, Umberto e Cecio, fino ad arrivare ad Egle, Metello, Marcella, Dario e poi Stefano, nella tanto agognata (da parte del pubblico) reunion del 2008. Quindi Manuel Agnelli, Kaba, Fausto Rossi aka Faust’O, Steve Piccolo, Teho Teardo, per ricordarne solo alcuni. Soprattutto: la composizione temporale delle interviste permette una ricostruzione completa, dettagliata e poetica dei Massimo Volume, utile per chi magari conosce ancora poco della loro personale Weltanschauung (esageriamo!?), come gli ascoltatori-lettori più giovani, ma appassionante anche per i seguaci della prima ora ed oramai agée. Così si parte dalle montagne e dall’Adriatico della provincia centro-settentrionale sul finire degli anni ’80: dalla sperimentazione autodidatta, ai margini delle superiori, fino all’influenza del post-punk di PIL, Siouxsie, Joy Division, ma anche The Smiths, Psychocandy di Jesus and Mary Chain e ovviamente Catholic Boy di Jim Carroll. Quindi si arriva alla Bologna del passaggio di decennio, del Dams post Andrea Pazienza, dell’Isola nel Kantiere e della Pantera col primo rap italiano, delle mitiche case occupate al Pratello 76 e 78. E lì si coagula tutta l’umanità che attraversa la vita e le liriche dei Massimo Volume: Scagnardi per sgomberare le cantine, il Trippo sempre ubriaco, Leo, “è questo che siamo?”, Rigoni, che “comprò a credito del materiale rubato”, la lettura di Manuel Carnevali, “morto di fame nelle cucine d’America”, nel retro del ristorante dove Mimì lavorava. E molto altro ancora. È quasi un romanzo di formazione che Andrea Pomini ci restituisce, in cui il vissuto individuale cerca l’urgenza della condivisione tra “affinità elettive”, si confronta con la fatica di affermare la propria autonomia esistenziale e musicale in questo strano Paese, tra i mille lavori di un precariato infinito, l’esigenza di tuffarsi nell’abisso di una vita senza limiti e la voglia di inventarsi un presente condiviso, fuori da imposizioni sociali e culturali combattute fino allo stremo: “una rivoluzione di famiglia”, come la chiama Vittoria. Dai primi concerti dinanzi a quattro persone, delle quali due se ne andavano, all’interessamento di Luciano Ligabue; dalle notti insonni nella casa piena di gente del Pratello, alla roba che prende il sopravvento, con la voce strascicata in Altri nomi, le apparizioni deliranti nel video di Privé e un memorabile concerto al Brancaleone di Roma, in cui eravamo convinti Mimì fosse strafatto: “è venuto il momento di andare e dimenticare ciò che era e ciò che è stato”... Quindi la pausa, il silenzio e la lontananza, per poi tornare nuovamente “al massimo della forma”, nei live degli ultimi due anni e ora con il cd Cattive abitudini, La Tempesta, 2010.
Anche se rischia di suonare come una provocazione situazionista, viene da osservare che la “storia dei Massimo Volume” di Andrea Pomini è l’unica “storia italiana” che ci piace davvero, di questi tempi...
Articolo del
19/01/2011 -
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