Nuova uscita della collana TXT di Arcana, dedicata all’analisi e commento dei testi di un artista. In questo caso si tratta dei Pearl Jam, che hanno visitato da poco le nostre lande, con ottimo successo di pubblico, che ha confermato le grandi popolarità e reputazione di cui godono da due decenni e oltre, nonostante l’ultima prova, a dispetto del titolo Lighting Bolt, non sia propriamente una delle loro fiammate migliori.
Nel tempo TXT si è evoluta, passando da un approccio molto attaccato al testo in sé a uno (ottimo) che dal testo parte descrivendo tutto quello che gli sta intorno, proprio per spiegarlo e comprenderlo meglio: le circostanze in cui quella canzone è nata, veloci accenni alla parte musicale (essenziale nella forma canzone, differente e a metà tra musica strumentale e poesia recitata), dichiarazioni della band, situazione sociale e politica dell’epoca, fatti di cronaca. Insomma, quello che si dice la contestualizzazione. Il bravo Simone Dotto prosegue su questa strada, irrinunciabile per parlare di una band che ha fatto dell’attenzione alla realtà il suo quid caratterizzante: che si tratti di un trafiletto che narra il suicidio in classe di Jeremy Wade Delle (che ha originato la celeberrima Jeremy) o di una dichiarazione di G. W. Bush (Bu$hleaguer), della protesta contro il WTO (Grievance o Insignificance) o della lettura di un romanzo filosofico sull’evoluzione umana (Do The Evolution) o di una conversazione privata con Bruce Springsteen sulle dinamiche famigliari (My Father’s Son), o ancora della fascinazione per il rock’n’roll dei bei tempi andati (Spin The Black Circle, Johnny Guitar e Let The Record Play), che si trascina dietro il tema della giovinezza, prima ribelle e sofferente (i primi tre album), poi perduta e foriera di nostalgia (ancora Johnny Guitar).
Quello che ne esce è un ritratto a tutto tondo della band e dei suoi diversi autori di testi (tra i quali, com’è ovvio, fa la parte del leone Eddie Vedder), in cui nessun aneddoto è mai fine a se stesso, neppure quello che ci racconta dei problemi di colite, dovuti al morbo di Crohn, di Mike McCready: in un precario equilibrio tra la tentazione di essere come gli Who, numi tutelari di Vedder (ed è proprio a Pete Townshend che si rivolge il cantante californiano dopo la strage di Roskilde, dato che gli Who, attraverso quell’inferno, ci sono già passati) e le somiglianze, che si accentuano con il passare degli anni e l’aumentare con l’età, con Bruce Springsteen, finiscono per somigliare ai Clash dei primi anni, antidivistici e ribelli.
Dotto enuclea bene i temi ricorrenti della band, individua una tipologia di canzone peculiare della band (la wave song, cosidetta in quanto può parlare del mare, assumerlo come metafora esistenziale oppure crescere come una marea), percorre bene i due decenni di vita della band, e chiude con un’istantanea preziosa: Hunger Strike dei Temple Of The Dog, ovvero il primo momento in cui la voce di Vedder è stata catturata su un nastro, un momento epifanico di creatività e ingresso nel mondo del rock’n’roll. Quello vero. Consigliatissimo a tutti gli appassionati della band.
Articolo del
15/07/2014 -
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