In una non precisata città toscana, che a volte sembra grande a volte piccola, vive Bernardo Stipoli, detto “Benni”. Quarant’anni, divorziato, una figlia ormai grande, all’uscita del tunnel dell’adolescenza, che a dispetto dell’ateismo e dell’agnosticismo dei genitori frequenta convintamente la parrocchia, lavora in una ditta di ricambi per auto, che, come tutti, sente gli effetti della crisi. Benni si trova ad assistere a diversi paurosi incidenti e infine viene coinvolto in uno di essi. Illeso. Miracolosamente illeso. Come i protagonisti degli incidenti a cui ha assistito. E così, prima la ex moglie, Giovanna, poi Gabe, l’amico storico un po’ sfigato, si convincono che Benni abbia dei poteri. Lui protegge. Lui guarisce. Benni si ribella all’idea, ma poi viene coinvolto suo malgrado in un gioco più grande di lui.
La storia parte da un assunto simile a quello di 'Unbreakable', il film del 2000 di M. Night Shyamalan con Bruce Willis e Samuel L. Jackson, ma poi prende una piega assolutamente diversa e imprevedibile. La cosa più importante è che appassiona. Ma Solventi, esimio critico rock del “Mucchio Selvaggio” e di SentireAscoltare prestato alla narrativa, è interessato solo in parte al lato sovrannaturale della realtà. Sì, c’è una misteriosa ombra nel suo appartamento che non si capisce da che sia prodotta e che tutta l’aria di essere un angelo custode. Ok, c’è anche un postino che nel dopolavoro ha messo su uno spettacolo fantasmagorico di ombre cinesi e si chiama Anassimandro, come il filosofo greco che affermava che tutti gli esseri tendono all’infinito, che per sua natura non può che restare indefinito. Mi spiega Solventi che c’è una “quota di irrazionalità che dobbiamo accettare come ingrediente della nostra esistenza, il che non significa essere superstiziosi ma che la razionalità ad ogni costo non deve farci prigionieri. Si può accettare cioè che nella vita ci sia posto per l'incomprensibile, per l'inspiegabile (l'atteggiamento di Benni nei confronti dell'ombra in camera sua simboleggia proprio questo) come misura dei nostri limiti ma anche delle smisurate possibilità che la vita può riservarci. Alla fine tutta la vicenda può essere spiegata razionalmente, certo, però qualche tassello sfugge sempre”.
La storia evidenzia come tutti abbiano bisogno di credere. È un “bisogno della fede, carburato dalla frustrazione, dalla delusione, dalla disperazione”, mi precisa Solventi. “Su questa falsariga si muove tutta la storia, tutti i personaggi sia pure in modo diverso cadono nel meccanismo della credulità, ognuno reagendo a proprio modo”. Un altro tema affiora nel romanzo. Sempre Solventi: “Poi c'è il mio personale rancore verso una generazione - la mia, quella dei circa quarantenni - che pure avendone i mezzi (tecnologici ed intellettuali) non ha saputo (voluto) imprimere cambiamenti decisivi, in termini etici soprattutto, al sistema sociale. La mia generazione si è chiamata fuori, deliziandosi della fase di benessere in cui ha avuto la fortuna di capitare. Ha, per così dire, pascolato senza seminare. In molti casi, ha rinunciato ai sogni per una promessa di benessere che poi si è rivelata illusoria. Il risultato è che i nostri figli avranno meno di noi, meno tutele, meno benessere, meno giustizia sociale. Ecco perché i personaggi sono quasi tutti dei circa quarantenni con le aspettative frustrate, spaesati, disillusi, incattiviti, un po' inetti, dei poveri diavoli sì ma con qualcosa da farsi perdonare”. Così Benni e Gabe hanno abbandonato troppo presto i sogni di gioventù, senza neanche provarci davvero, smettendo di suonare nel momento dello scioglimento del loro gruppo: “Abbiamo smesso perché… Da un momento all’altro, pòf, non eravamo più giovani” – “Ma avevate vent’anni, giusto?” – “Già, più o meno. All’improvviso ci sembrarono troppi. Che imbecilli, eh?”
Ecco: credere in qualcosa da realizzare e non smettere di farlo, ma provarci e riprovarci con combinazioni diverse è forse l’essenza della gioventù. Capire la meccanica delle ombre, che per natura sono indefinite e quindi evocatrici, significa capire, come nel mito della caverna di Platone, che esse non sono che la proiezione della realtà. Da esse si deve prendere la forza che ci serve per vivere in questo mondo e, magari, cambiarlo, sembra dirci Solventi. Bel romanzo. Merita.
Articolo del
14/09/2015 -
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