Quante volte si è dibattuto sul rapporto tra canzone d'autore e poesia? Su quanto i testi dei cantautori avessero diritto a figurare nelle antologie scolastiche? Le due questioni, a dire il vero, sono di lana caprina. La prima, come ricorda anche l'autore di questo bel saggio, perché canzone e poesia sono due generi diversi: non si può, infatti, ignorare che la canzone è un genere a cavallo tra musica e poesia con specificità sue proprie, date, tra le altre cose, dalla musica che accompagna un testo (confermandolo, smentendolo, sottolineandone degli aspetti emotivi) e dall'intonazione con cui il testo viene cantato. La seconda, poi, è ridicola, dato che i testi dei cantautori sono comparsi quasi sempre in antologie per le scuole medie, il cui scopo non è certamente lo studio dei loro specifici valori letterari. A monte del dibattito starebbe anche l'assurda distinzione tra canzone cosiddetta d'autore e canzone e basta: quanti brani “non d'autore” hanno invece rivelato valori poetici importanti e influenzato o rispecchiato il modo di sentire di una nazione intera? Mogol, Negrini, Pagani, Pelù o Bianconi sono forse meno autori di Guccini e Vecchioni? Non credo. Francesco Ciabattoni pone la questione del rapporto tra canzone d'autore e poesia da una nuova angolazione, molto più produttiva e interessante: e cioè l'uso che è stato fatto da sei cantautori “storici”, cioè quelli degli anni '70, degli spunti poetici in particolare e letterari in generale. In che modo, cioè, poesia e letteratura hanno influenzato i cantautori? Costituiscono un sottotesto della canzone? O solo una citazione nobilitante? Che rapporto hanno con la composizione del testo della canzone? Tutte domande interessanti, a cui Ciabattoni cerca di rispondere analizzando la produzione di Vecchioni, Guccini, Branduardi, De André, De Gregori e Baglioni, con un piglio forse un po' troppo accademico (ma questa è, fondamentalmente, una pubblicazione accademica), che peraltro si concentra soprattutto nella pur necessaria introduzione. Ne escono delle belle sorprese. Guccini e Vecchioni, i professori del lotto, usano evidenziare la citazione come immediatamente riconoscibile, a partire tanto dai titoli (“L'isola non trovata” di Guccini cita, in titolo e testo, l'omonima poesia di Gozzano) quanto dai testi (“Blu(e) notte” di Vecchioni cita “le stelle sono immobili nel cielo” di Sandro Penna e riprende esattamente una quartina di “X agosto” di Giovanni Pascoli). Diverso il modus operandi di Branduardi, che spesso adatta interi testi altrui, e di De André, che fa la stessa cosa, ma non dichiarandolo e cadendo nel plagio bello e buono. De Gregori e Baglioni tendono invece a costruire un sottotesto preciso, fatto di citazioni a mosaico, che completa e arricchisce il significato della canzone: ad esempio, De Gregori dialoga con Montale e Pasolini (“La storia” si inserisce in una polemica di dieci anni prima tra i due giganti della letteratura italiana che a sua volta parte da un passo di Gramsci di altre 30 anni prima); Baglioni costruisce i testi di “La vita è adesso” in un dialogo fecondo con la descrizione delle borgate romane fatta da Pasolini alla fine degli anni '50. Non il primo libro del genere (ricordo il bello studio di Paolo Jachia e Davide Pilla, “I Baustelle, mistici dell'Occidente”, Ancora, 2011), ma davvero interessante e consigliato a tutti.
Articolo del
30/08/2016 -
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