Con ritardo abissale rispetto all’uscita del libro (arrivato in edicola nel luglio 2016, parte di una collana legata alla rivista Blow Up), recensiamo 'Hüsker Dü' del critico Roberto Curti, autore, tra gli altri testi, dei pregevolissimi 'Sex and Violence – Percorsi nel cinema estremo' (se la prima edizione era imperdibile, quella aggiornata e ampliata la immaginiamo ancora più allettante) e di 'Fantasmi d’amore – Il gotico italiano tra cinema, letteratura e tv', pubblicati da Lindau.
Ragionando in modo grossolano, si potrebbe affermare che per capire quanto la band di Bob Mould, Grant Hart e Greg Norton abbia influito sulla popular music, per quanto “indirettamente”, basterebbe tenere a mente che la formula dei Nirvana si incentrava sulla dinamica quiet/loud/quiet sull’esempio dei Pixies, gruppo messo in piedi partendo dall’eclettico annuncio “cercasi musicisti appassionati di Peter, Paul & Mary e Hüsker Dü”. Con un lavoro di sintesi sapiente, Curti ricostruisce la storia del complesso a partire dalle prime prove insieme (1979), arricchite da cover di Pere Ubu e Buzzcocks e pone subito in evidenza i gusti musicali del trio (pop anni Cinquanta e Sessanta; Kiss, Aerosmith, Ramones, ma anche Johnny Thunders e Hollies). Tali gusti si affineranno ed evolveranno (Byrds, i Joy Division di Unknown Pleasures, i primi Cure, Public Image Ltd, Throbbing Gristle, R.E.M.) fino a forgiare il mix inarrivabile di ruvidezza e melodia che caratterizza le opere della maturità. Il giornalista traccia un sintetico profilo della scena e dell’etica DIY di quegli anni, sottolineando il passaggio dall’hardcore al fulmicotone degli esordi ('Land Speed Record', 1981) a dischi in cui la velocità diminuisce per far emergere armonie orecchiabili e una vena introspettiva (a partire da 'Metal Circus', 1983, che contiene una perla come Diane). L’autore analizza il periodo in cui la band si afferma, formula giudizi anche fuori dagli schemi (scalfisce, ad esempio, il totem di 'Zen Arcade', pur riconoscendo la forza innovativa e il valore di quel doppio album – un’eresia per l’universo hardcore nel 1984), e mette in risalto i “problemi di immagine” prodotti dall’approdo degli Hüsker Dü a una major.
Il resoconto dell’ultima fase della carriera del gruppo, segnata dall’acuirsi dei dissidi tra Mould e Hart (da 'New Day Rising' e il successivo 'Flip Your Wig', definito il 'White Album' del trio, entrambi del 1985, al discontinuo 'Warehouse: Songs & Stories', 1987), è seguito dall’approfondimento dei percorsi solisti intrapresi dai due cantautori. Assai apprezzabile la lucidità con cui Curti commenta gli album registrati dai due rivali coi loro progetti post-Hüsker Dü: altalenanti quelli di Hart, seppure con qualche guizzo; di valore le prime prove di Mould, in particolare 'Black Sheets Of Rain' (1990), e godibile la parentesi Sugar (soprattutto 'Copper Blue', del 1992), prima dello scivolone con l’elettronica, e del ritorno a sonorità vigorose che però peccano da anni di mancanza di originalità.
Un testo dedicato agli Hüsker Dü non era mai stato scritto in Italia (ricordiamo solo un capitolo dedicato alla band in 'Rockin’ USA', di Alberto Campo e Guido Chiesa, pubblicato da Arcana tanto tempo fa). Roberto Curti ha colmato questa grave lacuna in maniera mirabile, e i numerosi fan del complesso dovrebbero essergliene grati.
Articolo del
05/12/2016 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|