A lungo gli italiani si sono limitati a compilare chiose a margine del grande libro del rock: non parlo tanto dei musicisti (che, in verità, negli anni 70 grazie alla PFM andarono molto vicini a poter dire la loro anche all’estero, in un assalto al cielo tentato anche, con minor fortuna e sistematicità, nell’ordine da Banco del Mutuo Soccorso, Le Orme, Area e Lucio Battisti; e che oggi possono vantare almeno il nome dei Lacuna Coil come sistematicamente presente su mercati e palchi stranieri), quanto proprio degli scrittori. Chiose alcune volte meravigliose e struggenti, moltissime penosette, ma sempre chiose, commenti, valutazioni, opinioni e racconti leggendari di vicende epiche e divine che si svolgevano altrove. Mancavano le informazioni di prima mano e la conoscenza viva e vissuta di cultura, anche quotidiana, dei Paesi in cui il rock fioriva, per comprendere a pieno il fenomeno e poterne parlare dando dei contributi importanti.
Da qualche tempo non è più così. Sarà che il rock – ahimè – pare attualmente un genere in progressiva perdita di vitalità, consegnato sempre più all’accademia, come accadde a suo tempo, circa 30 anni fa, al jazz, e quindi alla storia (si pensi alla mostra – meravigliosa su Bowie; alle band che vanno in tour eseguendo interamente loro capolavori del tempo che fu, dai Primal Scream di “Screamedelica” nel 2011 agli ultimi U2 con “The Joshua Tree”; al fenomeno per cui alcune tribute band di livello eccelso e internazionale come i The Musical Box per i Genesis o i Brit Floyd per abete capito chi ormai sono paragonabili alle orchestre di musica classica, in quanto eseguono un repertorio che gli autori non eseguono più – sempre che siano ancora tra noi), incapace di interpretare il presente e le giovani generazioni, perché figlio di altre epoche economiche, sociali, politiche, culturali. Fatto sta che da qualche tempo sono comparsi alcuni volumi italiani, di assoluto valore internazionale. A mia fallibile memoria, primo fu “Fantastic Voyage” di Francesco Donadio (2013; edizione aggiornata, febbraio 2016); poi è stata la volta di “Paul McCartney: The Recording Sessions” (2013) e “I Beatles dopo i Beatles” (2016) di Luca Perasi; ora arrivano The Lunatics, collettivo di cinque appassionati floydiani, autori di altri due fortunati volumi sulla band di Cambridge (“Pink Floyd. Storia e segreti”e “Tutte le canzoni dei Pink Floyd. Il fiume infinito”, entrambi 2014), con lo strepitoso “Pink Floyd a Pompei. Una storia fuori dal tempo”.
Strepitoso perché in grado di offrire particolari e visione complessiva della storia del film inediti a livello mondiale, grazie alle fonti e testimonianze di prima mano fornite dal regista Adrian Maben, rintracciato a Parigi. The Lunatics intrecciano mirabilmente la storia pre-film tanto di Maben quanto dei Floyd, passando per quello snodo cruciale che fu la folgorante idea di un film sulla band di Cambridge, avuta durante le riprese di un documentario sugli ingiustamente dimenticati East of Eden di Dave Arbus (il violinista che suonò su Baba O’Riley degli Who) su una spiaggia belga. Seguono approcci, contatti, precisazioni, quanto mai difficili, per un film concepito fin da subito come anti-Woodstock: e infatti il concerto dei Floyd a Pompei si svolge senza pubblico, senza essere un evento in sé (è segreto) e in un confronto fecondo tra un luogo riemerso dal passato e la modernità avanguardistica dei Pink Floyd (oltre che con la giovinezza dei suoi membri). Ammirevole le ricostruzione delle giornate pompeiane, con tanto di intoppi e ospiti a sorpresa; così come delle vicende che hanno portato, nel tempo, tanto alle tre versioni del film, quanto alla sua esplosione nei cinema canadesi e americani nel 1973, proprio in contemporanea alla pubblicazione di “The Dark Side of the Moon”. Si arriva fino al recente “Chit Chat with Oysters” (2013), nato dal ritrovamento delle interviste effettuate da Maben alla band durante il missaggio dei brani di “Pink Floyd Live At Pompei”, nel dicembre del 1971, che restituiscono il clima di quattro ragazzi ancora non superstar, e quindi con una spontaneità che si sarebbe perduta di lì a poco. Il libro si chiude con la cronaca del ritorno di Maben a Pompei, in occasione della mostra dedicata al film e del concerto di Gilmour nello stesso anfiteatro dell’ottobre 1971. E con l’annuncio di nuovi, possibili sviluppi della storia...
Libro imperdibile per ogni floydiano, assolutamente meritevole di pubblicazione estera.
Articolo del
11/01/2017 -
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