Esce con tempismo invidiabile questo saggio di Giangilberto Monti, musicista prestato più volte alla scrittura, rispetto alla scomparsa del Premio Nobel per la Letteratura 1997, avvenuta il 13 ottobre 2016, ma non si tratta di un instant book, bensì di una infausta coincidenza. “E sempre allegri bisogna stare” è volume preparato accuratamente e nel tempo da un autore, Monti, che con Fo ha lavorato anni addietro. Che Fo fosse autore anche di canzoni era già noto a chi si interessa di storia della musica italiana: titoli come Vengo anch’io, scritta a sei mani con Enzo Jannacci e Fiorenzo Fiorentini (ma la prima stampa del 45 giri riportava anche la sigla Core, che stava per Cochi e Renato) e Ho visto un re (interpretata da Jannacci, ma scritta da Fo e Ciarchi) li conoscono tutti; i più bravini anche Ma che aspettate a battere le mani e La mia morosa la va alla fonte, madre di Via del Campo di Fabrizio De André.
Solo che Fo di canzoni ne ha scritte molte di più: oltre 250, ci informa Monti. Difficile, quindi, darne un’analisi testuale e musicale in volume di 160 pagine, ragion per cui Monti opta saggiamente per la narrazione dello sviluppo dell’interesse musicale di Fo, strettamente legato alla sua dimensione primaria, quella teatrale, e a quella secondaria, la politica. Ne nasce un libro davvero godibile, scritto in punta di penna, che anche tramite la finezza di inventarsi dialoghi non veri ma verosimili tra i protagonisti della storia, restituisce vita palpitante a frammenti di un passato glorioso che sbiadisce sempre più nel ricordo collettivo: la grande Italia del Secondo Dopoguerra e degli anni del Boom, quel Boom in cui Fo non credette mai, dato che, più che al risultato complessivo di sviluppo della nazione, la sua costante attenzione per gli umiliati e offesi gli ha sempre fatto notare quello che ben più di cento anni fa Giovanni Verga chiamava “le irrequietudini, le avidità, l'egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi [...], tutte le debolezze [...], tutte le contraddizioni, [...] quanto c'è di meschino negli interessi particolari che [...] producono” il progresso economico.
Riemergono i quadri di una Milano ben diversa da quella di oggi: il legame tra Fo e Strehler; il clima del teatro di Franco Parenti prima e della rivista poi; la collaborazione con Fiorenzo Carpi, il compositore delle “Avventure di Pinocchio” di Luigi Comencini, per capirsi; quella con Paolo Ciarchi; il rapporto con Jannacci; l’interesse per la musica popolare, che sfocia nelle tre edizioni di “Ci ragiono e canto” (con Ivan Della Mea e Giovanna Marini) e traluce nell’“Ah, beh, sì, beh” di Ho visto un re, preso da un canto popolare del Monte Amiata. Monti riesce ad abbracciare in un unico grande affresco l’intera produzione del Maestro, fornendo il necessario inquadramento a brani che sarebbero dimenticati o, nella migliore delle ipotesi, decontestualizzati, e costruisce uno strumento prezioso per avvicinarsi a un aspetto della produzione artistica di Fo che tanto secondario non è. Libretto prezioso.
Articolo del
07/02/2017 -
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