Michael Jackson è stato uno dei protagonisti indiscussi degli anni ’80 e uno di quelli discussi degli anni ’90 (è ancora fresco, nonostante i 21 anni passati, il ricordo della sua sbalorditiva contestazione ad opera di Jarvis Cocker, cantante dei Pulp, che durante i Brit Awards si calò le braghe, mostrando il proprio posteriore all’occhio di foto e telecamere, dopo essere salito sul palco su cui Jackson si stava esibendo).
La sua carriera artistica non è certo finita né iniziata nel ventennio compreso tra il 1979 di “Off The Wall” e il 1995 di “HiStory” e il libro di Easlea ha il merito di ricordarcelo, trattando di quanto successo dopo e accaduto prima. E lo fa in modo davvero inusuale, ovvero andando a ritroso nel tempo, nella vita e nella carriera di Jackson, riuscendo a costruire un libro leggibile con naturalezza e fluidità.
Si parte infatti da quel maledetto 25 giugno 2009 in cui Conrad Murray, il suo medico personale, sbagliò la dose di Propofol, anestetico noto come “latte dell’amnesia” e usato da Jackson come sonnifero, causando il fatale attacco cardiaco che tutti sappiamo, a tre settimane dalla grande rentrée di “ Michael Jackson's This Is It”, una serie di 50 serate che avrebbero dovuto tenersi in un’unica location, la O2 Arena di Londra.
Da qui parte il percorso a ritroso di Easlea, ben documentato, che cerca di fare luce su vita e carriera di Jackson, senza omettere le accuse di pedofilia di cui fu oggetto in un paio di occasioni (quelle del 1993 da parte delle famiglia Chandler e quelle del 2003 seguite al documentario “Living with Michael Jackson” della BBC, in cui l’autore di “Thriller” ammetteva candidamente di aver condiviso la stanza, ma non il letto, con il tredicenne malato di cancro Gavin Arvizo).
È doveroso ricordare che da entrambi i processi Jackson uscì assolto. In un percorso lungo, equilibrato ed accurato si giunge fino all’infanzia di Jackson, praticamente inesistente, dato che già a 5 anni faceva parte della band dei fratelli, che sarebbero diventati noti al mondo come Jackson Five. Al solito, inoltre, come da tradizione dei libri musicali editi da Castello, l’apparato iconografico è stellare. Tutto ciò fa consigliare l’acquisto ai fan.
Lacunosi, invece, alcuni altri aspetti, non per colpa di Castello, ma di Easlea: il rapporto controverso con il padre, autore di violenze fisiche sui figli per addestrarli alla gavetta musicale; l’equilibrio mentale di Jackson, evidentemente intrappolato nella dimensione di un Peter Pan (il nome del suo ranch, “Neverland”, lo stesso che ha in inglese “L’isola che non c’è” di Peter Pan, parla da solo) miliardario che non aveva idea di come vivesse la gente comune (Easlea vi fa solo qualche fuggevole cenno); e soprattutto l’eredità di Jackson, che non viene proprio minimamente discussa e analizzata.
La questione non è di poco conto. Innanzitutto perché il volume riporta già nel titolo originale in inglese la promessa di una valutazione dell’eredità di Jackson (“Michael Jackson: Rewind: The Life and Legacy of Pop Music's King”) e quindi abbiamo una promessa tradita. In secondo luogo perché non è affatto scontato quale e quanta sia stata l’eredità di Jackson: se per i fans e la critica mainstream essa è enorme ed indiscutibile (per i fans è comprensibile e doveroso; per la critica, dato che non porta mai uno straccio di argomentazione, è pura piaggeria), per i non fans non è affatto così. Per alcuni figure come il rivale Prince appaiono più credibili nel loro influsso sull’evoluzione della musica pop.
Personalmente non ho pregiudizi. Ma proprio per questo mi sarebbe piaciuto leggere una disamina della questione. Altrimenti restiamo a Wikipedia, dove qualche fan ha iscritto pure gli Oasis tra gli artisti influenzati da Michael Jackson. Peccato che le dichiarazioni dei fratelli Gallagher siano di questo tenore: “Che credeva di fare Michael Jackson venendo in questo Paese dopo tutto quello che ha fatto (e credo che tutti sappiano di cosa sto parlando), vestito di bianco, cioè, come se fosse il messia, voglio dire, ma chi si crede di essere? Me?” (Noel, 1996, dopo i Brit Awards)"... "Lo preferivo quando era nei Jackson Five, ma poi è diventato pazzo” (Liam, 2009, dopo la morte di Jackson). Peccato
Articolo del
12/12/2017 -
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