Un saggio di Simon Reynolds, si sa, è un evento. Tanto nel campo della musica, cui pertiene, quanto degli studi storico-sociologici, perché questa è la prospettiva da cui il critico musicale inglese, trapiantato da anni in Usa, inquadra i fenomeni oggetto della propria indagine, che si tratti di post-punk (“Post-punk 1978-1984” e “Totally wired. "Post-punk". Dietro le quinte”), techno (“Energy flash. Viaggio nella cultura rave”), hip hop (“Hip-hop-rock 1985-2008”) o nostalgia per il passato (“Retromania. Musica, cultura pop e la nostra ossessione per il passato”). “Polvere di stelle”, titolo originale “Shock and Awe” (“Colpisci e terrorizza”), non sfugge alla regola, puntando i riflettori sul “glam rock dalle origini ai giorni nostri”, come recita il sottotitolo.
Ma cos’è il glam rock per Reynolds? Ce lo racconta nella ricchissima introduzione: è qualcosa di “diverso, sensazionale, isterico, il luogo in cui ridicolo e sublime si fondono per diventare indistinguibili”; un’“etichetta elastica” cui appartengono “insoliti sospetti nel mondo dell’art pop e del rock teatrale”; musicalmente ha un “perimetro indistinto che si sovrappone a categorie altrettanto vaghe: il teenybop, il prog, il cantautorato e l’hard’n’heavy”, ha “confini storici nebulosi” e prefigura punk e new wave; è “la prima forza dirompente adolescenziale” degli anni Settanta. Ma cosa distingue il semplice glamour, connaturato a moltissimo pop, dal glam? Per Reynolds la “profonda autoconsapevolezza” che sfocia quasi in una “parodia del glamour”. I suoi esponenti celebrano “illusione e maschere”, convinti che “la figura su palco e disco” sia “un personaggio” e non l’artista in se stesso; perciò decostruiscono i propri personaggi e atteggiamenti”; sono “tiranni che dominano il pubblico”, inaugurando un’epoca in cui si va “ai concerti vestiti come la star”, che “presidia una tribù modellata a sua immagine e somiglianza”, in un meccanismo per cui “il fan è un incrocio tra voyeur e suddito”: lo stesso, peraltro, utilizzato da leader politici messianici o fondatori di culti religiosi (per cui non deve stupire più di tanto la fascinazione di Bowie per Hitler e il nazismo di metà anni ’70, lucidamente motivata proprio in questo senso: “Hitler è stato la prima grande rockstar”, ipse dixit). A livello musicale ed estetico il glam è una reazione accesa al recente passato hippie, per il quale il rock non era altro che musica; un “collegamento con lo spirito originario del rock’roll”, amplificandone “la vena androgina e omoerotica” e riscoprendone “semplicità e potenza”. esso non diventa regressivo perché le sonorità d’antan sono “filtrate attraverso le nuove tecnologie”, dando luogo a una “fusione di primitivismo e artificio”, di subumano e superumano. Anche a livello politico e filosofico, il glam parte dalla reazione all’etica hippie dell’autenticità e del cambiamento della realtà, prendendo atto del suo fallimento e cercando uno “scampo individuale dalla realtà in perpetue fantasie di fama e stravaganza”, originate dall’“ossessione semi-ironica, in realtà seria, per successo, lusso e ostentazione”. Si giunge così a un “intreccio di elementi radicali e reazionari”: radicali come lo stile, la presentazione visiva, la teatralità e le sperimentazioni sessuali e musicali; reazionari come l’escapismo, l’impulso decadente, la nostalgia per il passato, anche musicale. “È la fantasia a rendere liberi” e non più la lotta. Allo stesso modo, il glam predilige l’innaturale, la plastica e l’artificiale, preannunciando il postmodernismo e, anzi, forse costituendone la prima incarnazione. Gli artisti definitivi, in questa singolare mistione, paiono essere i Roxy Music, in modo più immediatamente percepibile dello stesso Bowie, forse. Nota Reynolds che non è casuale che il sorgere del glam sia contemporaneo alla fortuna di Nixon e Heath.
Strepitoso saggio, questo libro “sul potere della finzione” e sul “culto della personalità” passa in rassegna nelle sue quasi 700 pagine, sempre appassionanti, l’intera storia del fenomeno sulle due sponde dell’Atlantico, con artisti qui forse sconosciuti anche agli addetti ai lavori, in un vortice di stimoli che portano il lettore ad aprire compulsivamente Youtube (Spotify non basta: ci vuole la componente visiva e non ha tutto), rimanendo conquistato dai lustrini d’un tempo che fu. Non si tratta però, come qualcuno ha scritto da qualche parte di un libro sugli anni ’70, per il semplice motivo che gli anni 70 in ambito rock sono stati molto altro: basti pensare al prog, all’hard rock, al country rock, al punk e alla new wave che rientrano solo in parte nella categoria “voglio essere glam fuori tempo massimo” (e a cui Reynolds dedica un poderoso “Inventario parziale di echi e riflessi glam” che spazia per 80 pagine dal 1978 ad oggi). Non è nemmeno un libro esente da difetti: alcuni minimi (come nel caso dell’errata derivazione rollingstoniana della bowiana “Diamond Dogs”); altri più di sostanza. Difatti, che c’entra la pletora di artisti hip hop e r’n’b degli ultimi vent’anni con il glam rock, che dev’essere rock da definizione del libro? E poi: Lady Gaga si ispirerà anche a Bowie, ma come Topo Gigio può ispirarsi a Buddha (Simon, lasciatelo dire: gli States ti fanno male. Torna in Europa). Due righe sul perché non viene preso in considerazione il Gabriel teatrale del periodo Genesis si potevano scrivere, anche se è facilmente intuibile (manca il teen spirit), così come sarebbe stato interessante notare come i Genesis (che copiarono in questo gli italiani Osanna) raggiunsero il successo proprio grazie alla componente teatrale introdotta da Gabriel (e mal tollerata dagli altri componenti della band). Ma rimane un saggio dai grandissimi pregi, un monumento nel suo genere, sia per la già citata riscoperta indotta di tanti gioielli nascosti (brani come “Rock On” di David Essex; Steve Harley) o di semplici bizzarrie musicali (non perdetevi i Mud o gli Zolar X), sia per il potentissimo inquadramento del genere, del valore dei singoli artisti, del loro effettivo successo all’epoca, dei riferimenti culturali nel mondo anglosassone che personalmente non ho mai trovato nei tanti libri su Bowie (per dirne uno). Quindi, in tutti i casi, un libro da avere assolutamente.
Articolo del
27/12/2017 -
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