Già autore di un fondamentale volume dedicato a David Bowie, quel “Fantastic voyage. Testi commentati”, che è forse l’unico contributo italiano alla bibliografia sul Duca Bianco ampiamente meritevole di pubblicazione all’estero, Donadio torna sul luogo del delitto. E lo fa da par suo. Non fosse altro che per la tempistica (ma è tutt’altro che solo quello...) “L’arte di scomparire”, con la sua minuziosa ricostruzione degli ultimi anni di vita di David Bowie, dall’infarto che lo colpì nel 2004 a Scheessel, in Bassa Sassonia, al brutto male che ce lo ha portato via quel maledetto 10 gennaio 2016, si candida anch’essa a volume fondamentale nella biografia bowiana.
Si tratta, come scrive Donadio, degli “anni senz’altro più tormentati e difficili della sua vita e della sua carriera, ma assai meno vuoti di quanto si pensi dal punto di vista artistico”, “un pezzo egualmente importante della sua epopea”, alla pari del periodo glam e del triennio berlinese, culminati in uno sfavillio di creatività e significatività ritrovata dei “trentasei mesi senza precedenti iniziati con “Where Are We Now?”, proseguiti con “The Next Day”, “David Bowie is” e “Sue (Or in a Season of Crime)”, e culminati con il musical “Lazarus” e il testamento in musica “Blackstar””. Undici anni e mezzo, tanto è durata la lenta scomparsa di Bowie, molto diversi fra di loro. I primi combattuti tra la debolezza dovuta all’infarto (forse seguito da altri) e l’entusiasmo destato in Bowie dalla nuova scena indie newyorkese, in particolare da nomi come Arcade Fire, Tv on the Radio e Secret Machines, che però non si è tradotto in nessun nuovo lavoro del Duca. I secondi divisi tra l’esplosivo ritorno alla creatività di “The Next Day”, ottimamente gestito mediaticamente, meno su quello dell’autoselettività (Donadio ricorda come Bowie stesso avrebbe detto di aver sbagliato la scelta dei brani, finendo per metterne troppi su disco e lasciandone fuori alcuni di meritevoli, usciti poi come B-side). I terzi segnati irrimediabilmente dalla coscienza della fine, dalla lotta contro il tumore, che portano a “Blackstar”, lavoro intriso di morte, ma che occupa un posto di primo piano nella discografia bowiana. Ad accomunare i tre periodi, l’ossessione ricorrente di realizzare un musical, vecchia fissa di Bowie fin dai tempi del mai realizzato “1984”, abortito per l’opposizione della vedova di George Orwell. Alla fine, si sa, ce l’ha fatta, con “Lazarus”, un titolo straordinariamente pregnante che rimanda al destino incombente e alla speranza di sopravvivergli in qualche modo, ma nasce dalla suggestione suggeritagli dalla figura della poetessa ottocentesca Emma Lazarus, autrice del sonetto “The New Colossus”, inciso alla base della Statua della Libertà. Nonostante rimangano alcuni misteri, Donadio ha condotto la sua indagine in modo certosino, raro e prezioso. Non solo ha spulciato ogni fonte immaginabile (interviste, stampa gossippara americana, riviste musicali), ma si è spinto a contattare di persona diversi collaboratori di Bowie negli ultimi anni, fornendo così particolari inediti, intimi e spesso commoventi sull’operato di un genio dell’arte che ha saputo essere, nel suo privato, un uomo straordinariamente umano, umile, positivo e rispettoso del prossimo. Un libro la cui assenza nella biblioteca di ogni anche tiepido bowiano sarebbe un crimine.
Articolo del
30/01/2018 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|