Giunge in redazione con due anni di ritardo questo volume su Brian Eno, che è meritorio in quanto a ciò che si propone di raccontare, ma decisamente poco riuscito, risultando alla fine parzialmente traditore delle aspettative suscitate.
Il sottotitolo recita infatti “Una biografia di Brian Eno”, ma della vita del non musicista inglese c’è pochino e perlopiù concetrato agli inizi. Sia chiaro: non sono qui a criticare la mancanza di aneddoti piccanti (che pure ci sarebbero da raccontare, come la malcelata passione di Eno per il porno...) o rockeggianti. Si può benissimo compilare una biografia di un artista evitando questi lati: è una scelta, che il gusto personale può gradire oppure no, ma come tale insindacabile. Il lettore, anche recensore, può dire solo: “Avrei preferito che...”. Oppure: “Bene così”. Ma qui, ahimé, come accennavo, da un certo punto in poi, manca prioprio la vita. Di Eno sono descritti gli spostamenti che lo hanno portato a collaborare cone questo o quell’altro artista, ma la sensazione che se ne ricava è quella di un uomo senza una vita, totalmente assorbito nella propria arte, i cui lavori nascono per mera speculazione e ricerca pura.
Possono esistere artisti così: ma non è il caso di Eno, personaggio molto carnale (i dissidi con Bryan Ferry, ad esempio, sorsero non solo per il maggiore spazio mediatico che la stampa riservava ad Eno ai tempi dei Roxy Music, ma soprattutto perché le groupies preferivano il tastierista al cantante).
I fatti concreti della vita di Eno da cui sono nate la sue idee, le sue composizioni, la sua arte sono esposti solo per i suoi inizi: quindi si diradano per poi scomparire. E in un volume che si presenta come una biografia, se permettete, questo è un demerito non da poco. E questo è il difetto del volume dal punto di vista del contenuto. C’è poi un’altra nota dolente: francamente, ho trovato il libro noioso. Ma noioso forte. E per vari motivi. Uno, manca la passione in quello che viene raccontato. Due, la lingua utilizzata: un italiano stracolmo di anglismi al punto tale da renderlo sgrammaticato. Ecco un paio di esempi.
Il primo: “Quello che mi aveva letteralmente colpito fu qualcosa per cui sono rimasto affascinato da allora”. “Per cui”? Ma la costruzione italiana è “da cui”. La frase di Eno, correttamente tradotta, avrebbe dovuito essere: “Quello che mi aveva letteralmente colpito fu qualcosa DA cui sono rimasto affascinato da allora”. Il secondo: i dischi vengono costantemente, in questo libro, “rilasciati”. Oibò! Qualcuno li aveva arrestati? O forse si trattava di dischi che il buon Eno non voleva vedessero la luce, ma in un impeto emotivo non ce l’ha fatta a trattanersi e perciò ha dato il via libera alle case discografiche? Già, perché in italiano i dischi e gli album si pubblicano; si rilasciano invece arrestati, fermati e dichiarazioni.
Si tratta purtroppo di una cattiva abitudine linguistica che si sta diffondendo tra i giornalisti più giovani, cui consiglio l’uso del Dizionario analogico, così magari imparano la lingua italiana. Terzo motivo. Più ci si avvicina all’oggi, più il tono del libro è quello del comunicato stampa, tanto da suscitare l’impressione certamente errata di un loro utilizzo massiccio quasi a copia e incolla. E questo terzo difetto ne porta con sé un altro, stavolta di contenuto, per chiudere il cerchio. L’ultima parte del lavoro, quella che va dall’inizio del nuovo millennio ad oggi, assomma più pagine (40) di quella, fecondissima artisticamente, che illustra i due decenni compresi tra 1980 e 2000 (35 pagine). Il che dà l’impressione che il lavoro svolto con un signor nessuno come East India Youth possa avere la stessa valenza di quello, che so?, con David Byrne per “My Life in the Bush of Ghosts”. Insomma, il lavoro di Calloni è troppo annalistico: una mera elencazione di opere e collaborazioni che a volte non danno il necessario rilievo a ciò che è artisticamente rilevante rispetto a ciò che è accessorio, minore o semplicemente “pagnottistico”.
Completano il volume otto pagine di riflessione sul modus operandi e il significato dell’opera di Eno, altrettante di note, nove di fonti (il che è ottimo!), 87 di discografia dettagliata (nell’era digitale forse è superfluo) e un sempre valido e apprezzabile indice analitico. In definitiva, un volume valido per un primo approccio all’opera di Brian Eno, ma nulla di più
Articolo del
12/03/2018 -
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