Boris Battaglia, autore di testi di graphic novel (“Pugni. Storie di boxe”, 2015) e sul fumetto (“La carne e la carta”, 1995; "Tito Faraci. Una vita a strisce. Il noir e l'ironia da Topolino a Diabolik e Tex", 2014; “Il peso del fumo”, 2016; “Corto. Sulle rotte del disincanto prattiano”, 2017; “E chiamale, se vuoi, graphic novel. Manuale per i nuovi critici di fumetti”, di prossima uscita), ha deciso di colmare una grande lacuna dell’editoria musicale italiana: quella sull’immenso Serge Gainsbourg.
Finora una biografia tradotta quasi tre lustri fa, un paio di capitoletti in un paio di libri, la traduzione del suo romanzo “Evguénie Sokolov” come “Gasogramma” nel 2011. E basta.
“Gainsbourg. Niente è già tanto” viene dunque a colmare un vuoto. E lo fa in modo ambizioso, confezionando un saggio che si propone di analizzare ed evidenziare “il peso imprescindibile di Gainsbourg per una riflessione filosofica e strutturale sulla forma canzone e sulla sua importanza nella decifrazione della vita e del mondo”. “Tentativo di esorcizzare un’ossessione” pluridecennale, il lavoro, nato da una profonda passione, non segue un criterio cronologico né prende in esame ogni singolo prodotto del genio gainsboughiano, ma vola alto, per temi e liaisons, sia all’interno dell’opera del maudit francese, sia svariando tra Kant, Gershwin, Alban Berg, Mitterand, Vattimo, Sgalambro, Adorno, dichiarazioni alla stampa, aneddoti illuminanti, sprazzi autobiografici e chi più ne ha più ne metta.
Secondo Battaglia, Gainsbourg, pur non appartenendo, “per intima natura, a nessuna ideologia di contrapposizione alla società capitalistica” ed essendo anzi convinto della sua “ineluttabilità”, ad esso si vuole opporre, attraverso “la maschera Gainsbarre e la forma canzone”. Per lui “l’eccesso è l’unica possibilità di contrapposizione al mondo così com’è”, ma essendo “la morte prematura […] il modello più chiaro di eccesso” egli cinicamente la persegue per tutta la vita come testimonianza del proprio chiamarsi fuori dal sistema. La sua ricerca continua dello scandalo andrebbe quindi intesa, aggiungo io, nell’originaria accezione evangelica, anche se è chiaro che in Gainsbourg non vi è nulla di evangelico o cristologico. Battaglia accosta invece propriamente l’agire artistico e mediatico di Gainsbourg alla parrèsia cinica (il diritto-dovere di dire la verità) di Diogene, di cui cita alcuni aneddoti che sarebbero piaciuti a Serge.
La canzone, considerata paradossalmente un’arte minore da Gainbourg, che permette di “rendere sopportabile ogni cosa” (perfino il “nazi rock” di “Rock Around The Bunker”, cantato da lui, ebreo e perseguitato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale), consente così al musicista francese di mostrare “l’inganno” dell’industria culturale, “struttura totalitaria che trasforma le nostre ossessioni in merce” al solo fine di attuare appunto la parrèsia cinica.
È un bel viaggio, quello che Battaglia fa fare al lettore attraverso l’opera di Gainsbourg e, attraverso di essa, tanta parte della cultura del Novecento. Dispiacciono però un tono di superiorità snob, per quanto divertito, molto à la Gainbourg, certo (ma Gainsbourg non era grande per il suo cinismo o la sua arroganza, ma perché li trasformava in arte), e la forse conseguente decisione di non tradurre un acca delle numerose e lunghe citazioni in francese, lingua ormai davvero poco conosciuta in Italia e particolarmente ostica per chi non la conosce bene quando è utilizzata dall’autore di “Melody Nelson”, per il fitto utilizzo di metafore basate su modi di dire, calembour, paronomasie.
Peraltro, personalmente ritengo un dovere tradurre anche le citazioni in inglese, lingua molto più conosciuta in Italia: si scrive per comunicare qualcosa, non per appuntarsi le cose da comprare al supermercato. Detto questo, il saggio di Battaglia rimane un gran bel leggere e meditare
Articolo del
09/05/2018 -
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