1965, New York. Jerry Schatzberg è un affermato fotografo 38enne, figlio della Grande Mela, cui il destino riserva un futuro da protagonista nel Rinascimento di Hollywood: sarà lui, da regista, a lanciare Al Pacino e imporre Faye Dunaway e Gene Hackman.
Con tutto il lavoro che ha, difficile per lui, di ben altra generazione, seguire le novità discografiche, per quanto dirompenti. Ma due amici insistono perché ascolti un certo Bob Dylan. Una dei due, in particolare, è così ostinata da telefonargli perfino quando lui è a Parigi per lavoro per sapere se poi l’ha ascoltato, quel Bob Dylan. Alla fine Schatzberg cede e rimane conquistato dal Verbo. Dylan ha già registrato Bringing It All Back Home, con quel clamoroso lato B fatto di Mr. Tambourine Man, Gates of Eden, It's Alright, Ma (I'm Only Bleeding) e It's All Over Now, Baby Blue, e veleggia nella Top Ten di Billboard. Così, un giorno, mentre sta lavorando nel proprio studio con il giornalista rock Al Aronowitz e il dj Scott Ross, che hanno appena incontrato il bardo, butta lì un apparentemente trascurato: “Ehi, la prossima volta che vedi Dylan digli che vorrei fotografarlo”.
Il giorno dopo gli telefona la moglie di Dylan, Sarah Lownds, e gli dà un indirizzo: 799 Seventh Avenue. Lì c’è lo Studio A della Columbia Records, dove Dylan sta registrando quello che sarà Highway 61 Revisited: “Puoi andarci quando vuoi”, aggiunge Sarah, soddisfatta. E a buona ragione: l’amica che ha tanto insistito perché Jerry ascoltasse Dylan è proprio lei. Nasce così una collaborazione che ha fatto la storia del rock. Schatzberg afferra la sua Nikon e vola alla studio A. Dylan, lo accoglie affabile, si lascia fotografare mentre registra. Lui e il suo staff gradiscono molto il servizio di Schatzberg, che rilancia e invita Dylan nel suo studio, “un contesto in cui avrei avuto il controllo della situazione”.
Collaboreranno per un anno e mezzo (non due e mezzo come Schatzberg, tradito dalla memoria, afferma nel volume), fino al misterioso e leggendario incidente motociclistico del 29 luglio 1966 (che sia stato l’incidente a interrompere il loro rapporto lo conferma lo stesso Schatzberg). In questo lasso di tempo Schatzberg scatterà una serie di fotografie stupefacenti per bellezza e iconicità, riunite in questo consigliatissimo volume. In particolare, saranno suoi la copertina e l’interno di Blonde on Blonde. Numerosi i motivi di interesse di questo interessantissimo volume: le 250 pagine di fotografie, innanzitutto, ottenute in una sfida continua tra Dylan e Schatzberg, che forniva al musicista i più disparati oggetti di scena perché improvvisasse atteggiamenti, scenette, tutto quello che gli veniva in mente, in una sorta di teatralizzazione del test di Rorschach. “Tutte queste cose bizzarre sono il mio modo di dargli qualcosa a cui reagire, e lui di sicuro reagisce!”, ricorda Schatzberg nel volume. Poi ci sono gli aneddoti. Come quelli legati alla copertina di Blonde on Blonde, mossa perché soggetto e fotografo tremavano dal freddo e non per allusioni alla droga, come temuto dalla casa discografica. O l’intimazione da parte degli avvocati di Claudia Cardinale di levare dall’interno copertina una foto dell’attrice italiana, scattata da Schatzberg per un servizio di moda e quindi non disponibile per un disco. L’aveva scelta Dylan in persona, tra quelle presenti nello studio di Schatzberg. Cecità dei legulei.
Bellissimo l’articolo di Aronowitz del 1965, posto in apertura del volume, che fotografa con le parole un tranche de vie di Dylan nel 1965, ospite della limousine di Brina Jones dei Rolling Stones. E nel volume c’è un altro pezzo di Stones: giò perché Schatzberg è pure l’uomo che ebbe l’idea di far vestire da donne gli Stones nel 1966 per il lancio di Have You Seen Your Mother, Baby, Standing in the Shadow? “Pensai che sarebbe stato interessante farli vestire cercando di rappresentare le loro madri. Chiaramente, da inglesi li resi americani. Poco dopo l’uscita dell’album, Frank Zappa mi chiamò e disse che voleva una copertina ispirata a The Stones in Drag e a Sgt. Pepper’s dei Beatles: nacque così We’re Only in It for the Money dei Mothers of Invention”. Capito come si scrive la Storia? E, se non fosse abbastanza, ecco le foto di Edie Sedgwick e dell’entourage della Factory di Warhol. Da avere assolutamente
Articolo del
02/01/2019 -
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