Già autori nel 2014 di “La disco. Storia illustrata della discomusic”, uscita nel 2014 per Arcana, Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano tornano sul luogo del delitto, rilanciano e si superano. Se il volume precedente, già buono, procedeva più per flash, qui l’ambizione dei due autori è quella di dare vita a un volume enciclopedico su uno dei generi che più ha caratterizzato gli anni Settanta, dando vita a un dualismo acre e conflittuale col rock, con il quale pure condivideva molte radici.
“La storia della disco music” vuole invece idealmente porsi a fianco di classici come “You Should Be Dancing” di Peter Shapiro e "Last night a DJ saved my life" di Bill Brewster e Frank Broughton, ma con una propria identità specifica. Se il primo dei due volumi sopra citati aveva il suo focus sulle radici sociali e sui significati politici, in senso lato o proprio, caratteristici della disco music; se il secondo era incentrato sulla figura del dj e quindi in esso la disco music era solo un genere a lato di altri (hip hop, punk, rock, elettronica, techno, ecc.); il saggio di Bufalini e Savastano trova il proprio specifico nell’attenzione scrupolosa dedicata all’illustrazione delle discografie degli artisti disco, raggruppati per epoche (in sostanza le origini, il trionfo, il declino.
Ma attenzione: si desume dalle date e non ci sono capitoli così espressamente intitolati), sottogeneri e zone geografiche (spesso, anche se non sempre, coincidenti: si pensi all’Italo Disco, alla French Disco, al Munich Sound di Monaco di Baviera o al Philly Sound di Philadelfia). Ciò non significa che gli autori passino sotto silenzio radici sociali, significati politici, figura del dj, reazioni nella cultura e nella società dell’epoca: tutt’altro! Ma il focus del libro sta senz’altro nella monumentale ricostruzione discografica, davvero impressionante: a fronte della necessaria brevità di trattazione dedicata a ogni singola produzione di ogni singolo artista, le 496 fitte pagine e i ripescaggi di autori e dischi non presenti neppure su Spotify (ma per fortuna c’è Youtube…) parlano da soli. Già per questo, quindi, il volume di Bufalini e Savastano si pone come un must per ogni appassionato del genere o per ogni nostalgico degli anni ’70 (che li abbia vissuti o meno) che desideri una guida seria e amplia per orientarsi nell’infinito mondo della disco.
Basterebbe fermarsi a questa considerazione per promuovere e consigliare l’acquisto del saggio. Ma ci sono ulteriori motivi di apprezzabilità. La già citata necessaria brevità di trattazione di artisti e dischi non va a scapito dell’attenzione: come quando i due autori romani rintracciano nel brano “Scots Machine” dei francesi Voyage l’ispiratore di “Nessun dolore” di Lucio Battisti. E questo non è che un esempio tra i molti. L’esame della bibliografia rivela che, oltre ai testi sacri del genere, il volume si è nutrito dello spulcio accurato delle riviste dell’epoca, italiane o straniere, di settore o generaliste, e di ben 73 interviste ad hoc condotte a protagonisti ed epigoni della disco da Bufalini. Se esse traspaiono poco durante la lettura del saggio, è evidentemente per ragioni di spazio: ma così si spiegano le numerose notizie sulle vicende biodiscografiche di artisti ormai obliati dal tempo.
Sbalorditivo il primo capitolo, che sposta documentatamente le radici della disco dai ghetti americani al Ghana (!!!) e alla musica highlife, predominante nella nazione africana dal 1890 al 1970. Non solo: individua in quattro musicisti africani (il camerunese Manu Dibango, il nigeriano Fela Kuti, il sudafricano Hugh Masekela e gli afrocaraibici Osibisa) e nel loro cosiddetto “afrobeat” una delle tre radici da cui fiorirà la disco. Se di Dibango e Kuti si sapeva, nell’immaginario comune Masekela e Osibisa erano piuttosto visti come seguaci della disco, più che come padri nobili. Tra le altre due radici, un’altra sorpresa: oltre al funk statunitense, c’è il fenomeno della discoteca, nato sotto il segno del jazz nella Parigi della prima metà degli anni ’40 occupata dai nazisti. Se i più accorti conoscevano già le origini francesi di questo tipo di locale, quello che sorprende è la notizia che all’inizio degli anni ’70 si trasferiscono a Parigi diversi musicisti americani, come i Lafayette (che schieravano tra le loro fila Leroy Gomez, il futuro cantante di “Don’t Let Me Be Misunderstood” dei Santa Esmeralda). Per cui, come notano Bufalini e Savastano, “un triangolo intercontinentale, quindi, è lo scenario in cui prende il via un nuovo polimorfismo ritmico condensato e compatto che, originato da Mother Africa, s’intreccia con le contaminazioni metropolitane del funk americano e delle periferie maghreb-parigine”. Ma, “se ufficialmente tutto ciò avviene nei primi anni Settanta, in realtà è agli albori dei Sessanta che prende forma la cultura dei locali dove si balla musica”.
Ampio spazio è dedicato all’Italo disco e all’influenza della disco sulla produzione musicale nostrana. Così come è interessante quello dedicato al fenomeno del “Disco Sucks”, esploso in Usa nel 1979 come reazione dell’America bianca, etero, proletaria e profonda alla disco coloured, gay, femminista, povera ma aspirante a diventare borghese e concentrata nelle grandi città. Un movimento che sfociò in vergognosi episodi di intolleranza violenta che segnarono la fine della disco appena giunta al suo apice. Ma, come mettono in rilievo Bufalini e Savastano, la disco non morì: semplicemente si trasformò. Gli ultimi capitoli inseguono rapidamente il revival e gli sviluppi del genere fino ai giorni nostri.
Come già ampiamente chiarito, il saggio è consigliatissimo e vale la spesa. Una sola raccomandazione: se ne decidete l’acquisto, preferite il cartaceo. La particolare impaginazione della collana, ricca di box e approfondimenti a latere, infatti, è tanto stimolante in cartaceo quanto letteralmente impossibile da leggere in formato epub. Stupisce che una casa editrice come la Hoepli non abbia ancora una cultura dell’ebook, tale da non rendersi conto che esso ha delle modalità di lettura sue proprie che rendono impossibile la semplice trasposizione in digitale del cartaceo, ma impongono un suo riadattamento, qualora il testo non sia lineare. Ma forse è un problema italiano.
Articolo del
24/02/2020 -
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